Cosa accade quando si preme a casa l'interruttore della luce? Qualcosa di elettrizzante, senza dubbio. Ma anche, per qualcuno almeno, di misterioso, visto che oltre all'illuminarsi della lampadina (o all'accensione dell'elettrodomestico collegato), altro non si riesce a vedere. Allora è il caso di cercare di capirci qualcosa, se non altro per il fatto che siamo ben abituati a fare questa operazione infinite volte.
La pressione dell'interruttore equivale, in termini più tecnici, alla "chiusura di un circuito elettrico". In pratica: si fa in modo che qualcosa accada grazie a una variazione meccanica dello stato di questo aggeggio, l'interruttore, per l'appunto. I più curiosi avranno probabilmente notato che a seguito di questa azione parti di metallo prima distanti fra di loro si trovano in contatto. "Fare contatto" è infatti un classico dell'elettrotecnica: la lampadina si accende se la pila fa contatto. Bene: facciamo contatto. Che succede a questo punto?
Ci sono vari fenomeni da tenere presenti. Anzitutto la chiusura del circuito ovvero dell'interruttore provoca la connessione di un "filo" (metallico, rigorosamente) fra un generatore di qualcosa e l'utilizzatore di questa cosa. Più esplicitamente: il collegamento fra una sorgente di energia (ma cos'è poi l'energia non è molto chiaro) e il cosiddetto carico, ovvero l'oggetto che di energia si nutre, come per esempio la lampadina, oppure l'alimentatore del nostro cellulare, l'asciugacapelli, la televisione e via dicendo.
Rimaniamo per ora sul classico, interruttore e lampadina. Come appena detto, c'è l'energia a disposizione (il lavoratore) e l'utilizzatore finale (fino a qualche anno fa questo termine evocava più inquietanti immagini di malaffare, e forse è ancora di moda, ma lasciamo perdere). Fra questi due c'è la connessione: il filo, come sopra scritto, rigorosamente metallico. Perché non va bene un filo di plastica? O di vetro? Cos'ha un metallo di speciale?
Iniziamo con il chiarire che l'emissione di luce (radiazione elettromagnetica visibile) richiede energia. Più nello specifico, quando un filamento di una vecchia lampadina a incandescenza si illumina , ma vale lo stesso per le più moderne lampade a fluorescenza e diodi a emissione di luce (LED), è perché gli atomi che costituiscono questi materiali assorbono energia (quella elettrica, infatti) e la riemettono (quella luminosa, certo). I meccanismi dettagliati sono differenti, ma sono accomunati da questa caratteristica, "do ut des".
Ti carico di energia e me la restituisci in forma a me utile e interessante. Il meccanismo può essere molto complicato (lo è, di solito, si basa su fenomeni che trovano spiegazione solo nell'ambito della fisica quantistica), ma l'idea generale non è, tutto sommato, troppo sofisticata: gli atomi (tutti gli atomi dell'universo, nessuno escluso) hanno una vita sregolata, si nutrono di scambi di energia, tipicamente di natura elettromagnetica, ovvero basata sullo scambio dei famosi "fotoni", i portatori quantistici che vengono assorbiti o ceduti per pareggiare un bilancio rigoroso (o quasi) in termini di entrate e uscite. Un atomo si "eccita" assorbendo un fotone, oppure subendo senza protestare un calcio meccanico da un altro atomo, o un pezzo di esso, o una vibrazione e, prima o poi, si "diseccita" liberando un altro fotone.
Chiarito o, per meglio dire, accennato a questo fatto, si deve capire chi trasporti questi "calci energetici" agli atomi del filamento della lampadina, o del LED. Ovviamente il conduttore di elettricità, il filo elettrico insomma. Ma cos'è l'elettricità? E come viaggia attraverso questo filo? Chi la convince a trasferire pedate energetiche agli atomi della lampadina? La pila, la centrale, il fotovoltaico, il nucleare, il vento, le pedalate in bicicletta, non c'è dubbio. Senza di almeno uno di questi oggetti (o altri), la nostra piccola lampadina non si accenderebbe nemmeno. Certamente non possiamo sfuggire all'idea atomica generale: anche il filo non può essere fatto che di atomi, per cui qualunque sia il meccanismo misterioso che regola il trasporto "di calci energetici", questo non potrà essere che di natura atomica.
A questo punto però è necessario chiarire quale sia (o in che modo si manifesti) questo meccanismo, ovvero come un atomo sia in grado di accumulare e poi di trasportare energia, cioè quella particolare condizione che alla fine dei conti permetta l'accensione (l'eccitazione) degli atomi del filamento della lampadina.
La storia è lunga e affascinante ma, per ovvi motivi, qui si è costretti a riassumerla in modo deciso. Già i Greci (c'era una volta ... ) avevano osservato e battezzato il fenomeno dell'elettricità al cospetto di forze piuttosto intense in grado di trascinare materiale strofinato verso altro materiale strofinato. In termini più espliciti, la materia di cui tutto è fatto - noi, i sassi, i pianeti, le ali di una farfalla e l'acqua del rubinetto - è composta da atomi che, nonostante il termine significhi "indivisibile", sono parti sostanziali dotate di una proprietà che chiamiamo carica elettrica e che esiste in due modi differenti. Parti "positive" e parti "negative", le prime che attirano le seconde e che respingono loro stesse, come pure per le parti negative, che attirano le prime e che ancora respingono loro stesse. Non c'è nulla di intrinsecamente positivo o negativo (di buono o di cattivo) in queste parti. Si sa, il linguaggio comune non è sempre (anzi, non è quasi mai) quanto di meglio ci sia per descrivere il comportamento della natura, che non ha di per sé nulla di intrinsecamente buono o cattivo: sono leggi della natura, e basta. Resta il fatto che gli atomi sono fatti di parti negative (gli elettroni - elektron vuol dire "ambra", in greco antico, e questo ha a che fare con la proprietà di questa resina fossile di essere "più negativa" di altri materiali quando strofinata a dovere) e di parti positive (i nuclei degli atomi, ovvero la loro parte massiccia, pesante, che fa muovere le nostre bilance, per qualcuno o qualcuna anche troppo).
Allora: atomi che si spezzano per strofinamento, parti positive che vengono attratte da quelle negative e viceversa. In pratica: una grande potenzialità a essere trascinati da una parte e dall'altra se lasciamo fare a madre natura, almeno dopo una buona strofinata. Ed è esattamente quanto scoprono gli studiosi della fisica "romantica", a partire dall'Ottocento, quando per esempio il nostro Alessandro Volta riesce a imprigionare e allo stesso tempo a liberare energia - ovvero disponibilità a compiere lavoro, a essere attività - da una pila (anzi, la Pila) di elementi, di atomi differenti messi a contatto. Questa pila è il motore che permette di sfruttare la differenza intrinseca fra cose positive e negative o, sarebbe meglio dire, di tipo diverso.
Ci siamo quasi. Una pila di Volta è un oggetto fisicamente (e chimicamente) attivo in grado di generare un "potenziale", ovvero una "disponibilità" a compiere lavoro, ovvero ad accelerare materia carica che altrimenti non si sposterebbe nemmeno di un millimetro. Spostare materia accelerandola: è questa la chiave di volta del nostro problema. Il "potenziale" messo a disposizione da una Pila (come quella che abbiamo appena comperato per la nostra torcia elettrica) è quanto serve per mettere in moto cariche elettriche, ovvero i pezzi di segno opposto che lo strofinio dei Greci aveva evidenziato. Un elevato potenziale implica una grande accelerazione, e viceversa. Magari il potenziale, invece che da una Pila di Volta, viene generato da qualche altro meccanismo (dietro alle nostre prese di corrente non c'è mica una pila, c'è una centrale. Ma questo non cambia la sostanza della cosa. La centrale, fotovoltaica o nucleare, per buona pace di tutti, fa esattamente quello che fa la pila, solo che lo fa su scala più ampia, molto più ampia). In pratica: ai capi della "presa di corrente" (termine di uso comune e molto ambiguo) si instaura una "differenza di potenziale" (termine meno consueto ma molto più corretto), ovvero una disponibilità ad accelerare cariche di segno opposto in direzioni opposte. All'interno del filo conduttore (si chiama così mica per caso) ci sono parti negative relativamente molto mobili (gli elettroni del metallo) che vengono strattonati nella direzione del potenziale di segno opposto.
Così facendo vengono lasciati liberi dei posti (come quando un'automobile in un parcheggio si sposta per esempio verso destra e si crea un'area libera alla sua sinistra), che sono visti dunque come parti "positive" che si muovono verso la direzione del potenziale "negativo". Sembrerebbe a questo punto di avere capito tutto: la corrente elettrica è un flusso di cariche accelerate da un potenziale, detto anche voltaggio o tensione elettrica, e queste cariche in moto servono a prendere a calci gli atomi del filamento della lampadina e a farla così accendere ... No. Non è così. Verissimo che gli elettroni vengono accelerati dal potenziale generato dalla pila, ma non sono in un tubo vuoto liberi di scorrere. Sono in un metallo, quello del filo, che è certamente un "conduttore", ma non nel senso dell'idraulica. Gli elettroni, al contrario dell'acqua nel tubo, incontrano un numero immenso di ostacoli contro i quali collidono a ritmo elevatissimo: questi ostacoli inevitabili sono gli atomi di cui è costituito il conduttore (in realtà sono "ioni", ovvero atomi ai quali sono stati strappati gli elettroni che costituiscono una specie di colla che tiene assieme il metallo e che, al contempo, sono gli stessi elettroni che vengono accelerati dall'energia fornita dalla pila).
Il risultato finale è che questi elettroni riescono a fare solo pezzi brevissimi di strada nel filo prima di essere fermati nella loro corsa e dunque, a tutti gli effetti, procedono in media molto lentamente: velocità minori di un millimetro per ogni secondo!
Questa lentezza estrema viene spiegata anche in termini di "resistenza elettrica" del conduttore al passaggio della corrente, ma attenzione: quello che conta in termini di flusso energetico (ciò che accende la lampadina), e che è evidentemente un fenomeno rapidissimo (la luce si accende "subito"), è da imputarsi agli urti che gli elettroni continuano a fare trasferendo in questo modo la loro energia di moto lungo tutto il cavo conduttore. La corrente elettrica dunque è un flusso di energia trasportata da collisioni in sequenza rapidissima, non è un flusso materiale, di qualcosa.
In realtà, come spesso in fisica, le cose sono più complicate: gli elettroni non sono palline di materia, vanno interpretati secondo le leggi della fisica quantistica in termini di più evanescenti "onde" di probabilità. Ma questa è un'altra storia che non cambia (troppo) la sostanza del discorso "classico" appena raccontata.
La pressione dell'interruttore equivale, in termini più tecnici, alla "chiusura di un circuito elettrico". In pratica: si fa in modo che qualcosa accada grazie a una variazione meccanica dello stato di questo aggeggio, l'interruttore, per l'appunto. I più curiosi avranno probabilmente notato che a seguito di questa azione parti di metallo prima distanti fra di loro si trovano in contatto. "Fare contatto" è infatti un classico dell'elettrotecnica: la lampadina si accende se la pila fa contatto. Bene: facciamo contatto. Che succede a questo punto?
Ci sono vari fenomeni da tenere presenti. Anzitutto la chiusura del circuito ovvero dell'interruttore provoca la connessione di un "filo" (metallico, rigorosamente) fra un generatore di qualcosa e l'utilizzatore di questa cosa. Più esplicitamente: il collegamento fra una sorgente di energia (ma cos'è poi l'energia non è molto chiaro) e il cosiddetto carico, ovvero l'oggetto che di energia si nutre, come per esempio la lampadina, oppure l'alimentatore del nostro cellulare, l'asciugacapelli, la televisione e via dicendo.
Rimaniamo per ora sul classico, interruttore e lampadina. Come appena detto, c'è l'energia a disposizione (il lavoratore) e l'utilizzatore finale (fino a qualche anno fa questo termine evocava più inquietanti immagini di malaffare, e forse è ancora di moda, ma lasciamo perdere). Fra questi due c'è la connessione: il filo, come sopra scritto, rigorosamente metallico. Perché non va bene un filo di plastica? O di vetro? Cos'ha un metallo di speciale?
Iniziamo con il chiarire che l'emissione di luce (radiazione elettromagnetica visibile) richiede energia. Più nello specifico, quando un filamento di una vecchia lampadina a incandescenza si illumina , ma vale lo stesso per le più moderne lampade a fluorescenza e diodi a emissione di luce (LED), è perché gli atomi che costituiscono questi materiali assorbono energia (quella elettrica, infatti) e la riemettono (quella luminosa, certo). I meccanismi dettagliati sono differenti, ma sono accomunati da questa caratteristica, "do ut des".
Ti carico di energia e me la restituisci in forma a me utile e interessante. Il meccanismo può essere molto complicato (lo è, di solito, si basa su fenomeni che trovano spiegazione solo nell'ambito della fisica quantistica), ma l'idea generale non è, tutto sommato, troppo sofisticata: gli atomi (tutti gli atomi dell'universo, nessuno escluso) hanno una vita sregolata, si nutrono di scambi di energia, tipicamente di natura elettromagnetica, ovvero basata sullo scambio dei famosi "fotoni", i portatori quantistici che vengono assorbiti o ceduti per pareggiare un bilancio rigoroso (o quasi) in termini di entrate e uscite. Un atomo si "eccita" assorbendo un fotone, oppure subendo senza protestare un calcio meccanico da un altro atomo, o un pezzo di esso, o una vibrazione e, prima o poi, si "diseccita" liberando un altro fotone.
Chiarito o, per meglio dire, accennato a questo fatto, si deve capire chi trasporti questi "calci energetici" agli atomi del filamento della lampadina, o del LED. Ovviamente il conduttore di elettricità, il filo elettrico insomma. Ma cos'è l'elettricità? E come viaggia attraverso questo filo? Chi la convince a trasferire pedate energetiche agli atomi della lampadina? La pila, la centrale, il fotovoltaico, il nucleare, il vento, le pedalate in bicicletta, non c'è dubbio. Senza di almeno uno di questi oggetti (o altri), la nostra piccola lampadina non si accenderebbe nemmeno. Certamente non possiamo sfuggire all'idea atomica generale: anche il filo non può essere fatto che di atomi, per cui qualunque sia il meccanismo misterioso che regola il trasporto "di calci energetici", questo non potrà essere che di natura atomica.
A questo punto però è necessario chiarire quale sia (o in che modo si manifesti) questo meccanismo, ovvero come un atomo sia in grado di accumulare e poi di trasportare energia, cioè quella particolare condizione che alla fine dei conti permetta l'accensione (l'eccitazione) degli atomi del filamento della lampadina.
La storia è lunga e affascinante ma, per ovvi motivi, qui si è costretti a riassumerla in modo deciso. Già i Greci (c'era una volta ... ) avevano osservato e battezzato il fenomeno dell'elettricità al cospetto di forze piuttosto intense in grado di trascinare materiale strofinato verso altro materiale strofinato. In termini più espliciti, la materia di cui tutto è fatto - noi, i sassi, i pianeti, le ali di una farfalla e l'acqua del rubinetto - è composta da atomi che, nonostante il termine significhi "indivisibile", sono parti sostanziali dotate di una proprietà che chiamiamo carica elettrica e che esiste in due modi differenti. Parti "positive" e parti "negative", le prime che attirano le seconde e che respingono loro stesse, come pure per le parti negative, che attirano le prime e che ancora respingono loro stesse. Non c'è nulla di intrinsecamente positivo o negativo (di buono o di cattivo) in queste parti. Si sa, il linguaggio comune non è sempre (anzi, non è quasi mai) quanto di meglio ci sia per descrivere il comportamento della natura, che non ha di per sé nulla di intrinsecamente buono o cattivo: sono leggi della natura, e basta. Resta il fatto che gli atomi sono fatti di parti negative (gli elettroni - elektron vuol dire "ambra", in greco antico, e questo ha a che fare con la proprietà di questa resina fossile di essere "più negativa" di altri materiali quando strofinata a dovere) e di parti positive (i nuclei degli atomi, ovvero la loro parte massiccia, pesante, che fa muovere le nostre bilance, per qualcuno o qualcuna anche troppo).
Allora: atomi che si spezzano per strofinamento, parti positive che vengono attratte da quelle negative e viceversa. In pratica: una grande potenzialità a essere trascinati da una parte e dall'altra se lasciamo fare a madre natura, almeno dopo una buona strofinata. Ed è esattamente quanto scoprono gli studiosi della fisica "romantica", a partire dall'Ottocento, quando per esempio il nostro Alessandro Volta riesce a imprigionare e allo stesso tempo a liberare energia - ovvero disponibilità a compiere lavoro, a essere attività - da una pila (anzi, la Pila) di elementi, di atomi differenti messi a contatto. Questa pila è il motore che permette di sfruttare la differenza intrinseca fra cose positive e negative o, sarebbe meglio dire, di tipo diverso.
Ci siamo quasi. Una pila di Volta è un oggetto fisicamente (e chimicamente) attivo in grado di generare un "potenziale", ovvero una "disponibilità" a compiere lavoro, ovvero ad accelerare materia carica che altrimenti non si sposterebbe nemmeno di un millimetro. Spostare materia accelerandola: è questa la chiave di volta del nostro problema. Il "potenziale" messo a disposizione da una Pila (come quella che abbiamo appena comperato per la nostra torcia elettrica) è quanto serve per mettere in moto cariche elettriche, ovvero i pezzi di segno opposto che lo strofinio dei Greci aveva evidenziato. Un elevato potenziale implica una grande accelerazione, e viceversa. Magari il potenziale, invece che da una Pila di Volta, viene generato da qualche altro meccanismo (dietro alle nostre prese di corrente non c'è mica una pila, c'è una centrale. Ma questo non cambia la sostanza della cosa. La centrale, fotovoltaica o nucleare, per buona pace di tutti, fa esattamente quello che fa la pila, solo che lo fa su scala più ampia, molto più ampia). In pratica: ai capi della "presa di corrente" (termine di uso comune e molto ambiguo) si instaura una "differenza di potenziale" (termine meno consueto ma molto più corretto), ovvero una disponibilità ad accelerare cariche di segno opposto in direzioni opposte. All'interno del filo conduttore (si chiama così mica per caso) ci sono parti negative relativamente molto mobili (gli elettroni del metallo) che vengono strattonati nella direzione del potenziale di segno opposto.
Così facendo vengono lasciati liberi dei posti (come quando un'automobile in un parcheggio si sposta per esempio verso destra e si crea un'area libera alla sua sinistra), che sono visti dunque come parti "positive" che si muovono verso la direzione del potenziale "negativo". Sembrerebbe a questo punto di avere capito tutto: la corrente elettrica è un flusso di cariche accelerate da un potenziale, detto anche voltaggio o tensione elettrica, e queste cariche in moto servono a prendere a calci gli atomi del filamento della lampadina e a farla così accendere ... No. Non è così. Verissimo che gli elettroni vengono accelerati dal potenziale generato dalla pila, ma non sono in un tubo vuoto liberi di scorrere. Sono in un metallo, quello del filo, che è certamente un "conduttore", ma non nel senso dell'idraulica. Gli elettroni, al contrario dell'acqua nel tubo, incontrano un numero immenso di ostacoli contro i quali collidono a ritmo elevatissimo: questi ostacoli inevitabili sono gli atomi di cui è costituito il conduttore (in realtà sono "ioni", ovvero atomi ai quali sono stati strappati gli elettroni che costituiscono una specie di colla che tiene assieme il metallo e che, al contempo, sono gli stessi elettroni che vengono accelerati dall'energia fornita dalla pila).
Il risultato finale è che questi elettroni riescono a fare solo pezzi brevissimi di strada nel filo prima di essere fermati nella loro corsa e dunque, a tutti gli effetti, procedono in media molto lentamente: velocità minori di un millimetro per ogni secondo!
Questa lentezza estrema viene spiegata anche in termini di "resistenza elettrica" del conduttore al passaggio della corrente, ma attenzione: quello che conta in termini di flusso energetico (ciò che accende la lampadina), e che è evidentemente un fenomeno rapidissimo (la luce si accende "subito"), è da imputarsi agli urti che gli elettroni continuano a fare trasferendo in questo modo la loro energia di moto lungo tutto il cavo conduttore. La corrente elettrica dunque è un flusso di energia trasportata da collisioni in sequenza rapidissima, non è un flusso materiale, di qualcosa.
In realtà, come spesso in fisica, le cose sono più complicate: gli elettroni non sono palline di materia, vanno interpretati secondo le leggi della fisica quantistica in termini di più evanescenti "onde" di probabilità. Ma questa è un'altra storia che non cambia (troppo) la sostanza del discorso "classico" appena raccontata.