Tra i luoghi comuni che affollano i testi di divulgazione scientifica e la Rete (e nel quale molti anni fa è incappato anche il sottoscritto, riponendo troppa fiducia in testi non basati sulle fonti originali), c’è quello relativo al famoso paradosso dei gemelli. Per presentare la questione ci affidiamo al sito dell’INFN: «Il cosiddetto paradosso dei gemelli è forse una delle conseguenze più popolari (spesse volte anche eccessivamente semplificata) della teoria della relatività di Einstein. In realtà non si tratta di un vero e proprio paradosso, bensì di un esperimento ideale volto a illustrare come alcuni aspetti della teoria di Einstein siano contrari al senso comune. L’esperimento ideale è il seguente: sulla Terra vi sono due gemelli, uno parte per un viaggio interstellare di andata e ritorno per una stella lontana, mentre l’altro rimane ad aspettarlo sulla Terra. Assumendo che il viaggio interstellare possa essere compiuto a velocità prossime a quelle della luce, la teoria prevede che, al ritorno sulla Terra, il gemello “viaggiatore” sia invecchiato molto meno di quello “terrestre”».
Il luogo comune non riguarda l’aspetto tecnico della questione, che dunque non prenderemo in esame, ma l’origine dell’espressione. Per capire a cosa ci stiamo riferendo citiamo un passo preso dal Web, ma senza avanzare una particolare critica al sito al quale facciamo riferimento, YouMath, perché – lo ripetiamo – questo è quanto viene riportato in innumerevoli luoghi: «La legge della dilatazione dei tempi porta a una strana conseguenza che apparentemente non si riesce a spiegare. Si tratta di quello che venne inizialmente definito paradosso degli orologi e che, nel 1911, il fisico francese Paul Langevin ribattezzò più felicemente paradosso dei gemelli». Ma è davvero così? Cerchiamo brevemente di capire come sono andate le cose dal punto di vista storico.
Nel corso del 1905 Einstein realizza una serie di articoli destinati a rivoluzionare la nostra concezione della materia e dell’universo, che vengono pubblicati sulla rivista scientifica tedesca Annalen der Physik. Inoltre, completa la sua tesi di dottorato. In particolare, il 30 giugno consegna alla rivista la memoria Zur Elektrodynamik bewegter Körper (L’elettrodinamica dei corpi in movimento), nella quale descrive per la prima volta la teoria della relatività ristretta o speciale (ovvero limitata ai soli moti rettilinei uniformi), sottoponendo a una profonda revisione i concetti tradizionali di spazio e di tempo.
Il lavoro di Einstein, tuttavia, inizialmente non suscita quell’interesse ed entusiasmo che oggi ci si potrebbe aspettare. Tra i primi a comprendere che Einstein ha effettuato una vera e propria rivoluzione scientifica c’è il fisico francese Paul Langevin, che in quegli anni inizia a interessarsi agli studi sulla relatività. Nell’aprile del 1911 Langevin, che dal 1909 è titolare della cattedra di Physique Générale et Expérimentale al Collège de France, partecipa a Bologna al IV Congresso internazionale di filosofia, organizzato dal matematico Federigo Enriques. Il progetto di Enriques è quello di inserire l’Italia nei più avanzati dibattiti internazionali, promuovendo l’idea che la riflessione filosofica non possa essere disgiunta da quella scientifica. Ciò è all’origine di una dura polemica con Benedetto Croce, che segna in maniera decisiva lo sviluppo della filosofia italiana.
Langevin presenta al convegno bolognese la relazione dal titolo L’évolution de l’espace et du temps, dedicata all’esposizione della nuova teoria di Einstein. Per spiegare gli effetti della relatività ristretta, verso la fine del suo intervento Langevin introduce un esempio che effettivamente rimanda a un viaggio interstellare, ma senza fare riferimento a fantomatici «gemelli». L’esempio di Langevin prevede l’esistenza di un intrepido esploratore spaziale, il quale, a bordo di un «proiettile» (projectile), simile alla «palla di cannone di Jules Verne» (comme dans le boulet de Jules Verne [per la precisione, nel celeberrimo Dalla Terra alla Luna del 1865]), trascorre due anni nello spazio mentre sulla Terra ne passano 200. Non si tratta di un paradosso, perché gli effetti del viaggio rientrano negli effetti dovuti alla relatività. Quindi, come si può facilmente immaginare, il termine «paradosso» non compare nel testo della relazione.
Sarebbe quindi opportuno smettere di riferirsi a Langevin come a colui che ha inventato il paradosso dei gemelli. Ma allora come è nata questa espressione? Per seguire nel dettaglio l’evoluzione della questione rimandiamo all’articolo di Élie During citato in bibliografia, qui sarà sufficiente ricordare che si tratta di un percorso di stratificazione di elementi durato circa un decennio.
Nel 1912 il fisico tedesco Max Von Laue è il primo a utilizzare la parola «paradosso» per inquadrare la questione, mentre è solo nel 1918 che entrano in scena per la prima volta i «gemelli», nel testo di Hermann Weyl intitolato Raum, Zeit, Materie (Tempo, Spazio, Materia). Infatti Weyl (che non fa riferimento ad alcun paradosso), parla esplicitamente di due fratelli, uno che resta sulla Terra, l’altro che viaggia nello spazio a una velocità prossima a quella della luce. Quando il viaggiatore rientra sulla Terra è «significativamente più giovane di suo fratello».
Secondo During il paradosso dei gemelli trova la sua forma compiuta nell’opera Durée et simultanéité, à propos de la théorie d’Einstein, pubblicata dal filosofo francese Henri Bergson all’inizio del 1922. In effetti, in questo testo Bergson utilizza ripetutamente il termine paradoxe per sottolineare gli aspetti di criticità emergenti – a suo avviso – dalla teoria della relatività sotto il profilo filosofico. Inoltre, facendo riferimento alla relazione tenuta da Langevin nel 1911 a Bologna (Bergson era presente al convegno), e richiamando esplicitamente «l’ipotesi del viaggiatore dentro un proiettile», sparato da un cannone (proprio come nel romanzo di Verne), aggiunge al racconto un secondo personaggio, quello appunto destinato a rimanere a Terra. Quindi, per personalizzare ancora di più la storia, attribuisce ai due protagonisti un nome: Paul è colui che viaggia, Pierre quello che resta sul nostro pianeta.
A onor del vero, bisogna dire che Bergson, in Durée et simultanéité, non utilizza mai le parole «gemelli» (jumeaux) e «fratelli» (frères). Tuttavia, considerando che la traduzione francese del testo di Weyl, in cui si parla esplicitamente di «due gemelli» appare proprio nel 1922, si può in effetti individuare quell’anno e l’opera di Bergson come momento di definizione della questione.
Il dibattito sulla relatività continua in primavera, quando Einstein viene invitato a tenere una serie di cinque incontri a Parigi, fra il 31 marzo e il 7 aprile. Il primo e l’ultimo, oltre quello del 3 e 5 aprile, si svolgono al Collège de France, mentre la discussione del 6 aprile, dedicata alle implicazioni filosofiche ed epistemologiche della relatività, e caratterizzata dal celebre confronto tra Einstein e Bergson, ha luogo alla Sorbona, sotto l’egida della Société Française de Philosophie. In seguito a questo incontro Bergson darà vita l’anno successivo a una nuova edizione di Durée et simultanéité, con tre nuove appendici, una delle quali dedicata proprio al «viaggio nella palla di cannone» e a un ulteriore approfondimento della questione.
Il luogo comune non riguarda l’aspetto tecnico della questione, che dunque non prenderemo in esame, ma l’origine dell’espressione. Per capire a cosa ci stiamo riferendo citiamo un passo preso dal Web, ma senza avanzare una particolare critica al sito al quale facciamo riferimento, YouMath, perché – lo ripetiamo – questo è quanto viene riportato in innumerevoli luoghi: «La legge della dilatazione dei tempi porta a una strana conseguenza che apparentemente non si riesce a spiegare. Si tratta di quello che venne inizialmente definito paradosso degli orologi e che, nel 1911, il fisico francese Paul Langevin ribattezzò più felicemente paradosso dei gemelli». Ma è davvero così? Cerchiamo brevemente di capire come sono andate le cose dal punto di vista storico.
Nel corso del 1905 Einstein realizza una serie di articoli destinati a rivoluzionare la nostra concezione della materia e dell’universo, che vengono pubblicati sulla rivista scientifica tedesca Annalen der Physik. Inoltre, completa la sua tesi di dottorato. In particolare, il 30 giugno consegna alla rivista la memoria Zur Elektrodynamik bewegter Körper (L’elettrodinamica dei corpi in movimento), nella quale descrive per la prima volta la teoria della relatività ristretta o speciale (ovvero limitata ai soli moti rettilinei uniformi), sottoponendo a una profonda revisione i concetti tradizionali di spazio e di tempo.
Il lavoro di Einstein, tuttavia, inizialmente non suscita quell’interesse ed entusiasmo che oggi ci si potrebbe aspettare. Tra i primi a comprendere che Einstein ha effettuato una vera e propria rivoluzione scientifica c’è il fisico francese Paul Langevin, che in quegli anni inizia a interessarsi agli studi sulla relatività. Nell’aprile del 1911 Langevin, che dal 1909 è titolare della cattedra di Physique Générale et Expérimentale al Collège de France, partecipa a Bologna al IV Congresso internazionale di filosofia, organizzato dal matematico Federigo Enriques. Il progetto di Enriques è quello di inserire l’Italia nei più avanzati dibattiti internazionali, promuovendo l’idea che la riflessione filosofica non possa essere disgiunta da quella scientifica. Ciò è all’origine di una dura polemica con Benedetto Croce, che segna in maniera decisiva lo sviluppo della filosofia italiana.
Langevin presenta al convegno bolognese la relazione dal titolo L’évolution de l’espace et du temps, dedicata all’esposizione della nuova teoria di Einstein. Per spiegare gli effetti della relatività ristretta, verso la fine del suo intervento Langevin introduce un esempio che effettivamente rimanda a un viaggio interstellare, ma senza fare riferimento a fantomatici «gemelli». L’esempio di Langevin prevede l’esistenza di un intrepido esploratore spaziale, il quale, a bordo di un «proiettile» (projectile), simile alla «palla di cannone di Jules Verne» (comme dans le boulet de Jules Verne [per la precisione, nel celeberrimo Dalla Terra alla Luna del 1865]), trascorre due anni nello spazio mentre sulla Terra ne passano 200. Non si tratta di un paradosso, perché gli effetti del viaggio rientrano negli effetti dovuti alla relatività. Quindi, come si può facilmente immaginare, il termine «paradosso» non compare nel testo della relazione.
Sarebbe quindi opportuno smettere di riferirsi a Langevin come a colui che ha inventato il paradosso dei gemelli. Ma allora come è nata questa espressione? Per seguire nel dettaglio l’evoluzione della questione rimandiamo all’articolo di Élie During citato in bibliografia, qui sarà sufficiente ricordare che si tratta di un percorso di stratificazione di elementi durato circa un decennio.
Nel 1912 il fisico tedesco Max Von Laue è il primo a utilizzare la parola «paradosso» per inquadrare la questione, mentre è solo nel 1918 che entrano in scena per la prima volta i «gemelli», nel testo di Hermann Weyl intitolato Raum, Zeit, Materie (Tempo, Spazio, Materia). Infatti Weyl (che non fa riferimento ad alcun paradosso), parla esplicitamente di due fratelli, uno che resta sulla Terra, l’altro che viaggia nello spazio a una velocità prossima a quella della luce. Quando il viaggiatore rientra sulla Terra è «significativamente più giovane di suo fratello».
Secondo During il paradosso dei gemelli trova la sua forma compiuta nell’opera Durée et simultanéité, à propos de la théorie d’Einstein, pubblicata dal filosofo francese Henri Bergson all’inizio del 1922. In effetti, in questo testo Bergson utilizza ripetutamente il termine paradoxe per sottolineare gli aspetti di criticità emergenti – a suo avviso – dalla teoria della relatività sotto il profilo filosofico. Inoltre, facendo riferimento alla relazione tenuta da Langevin nel 1911 a Bologna (Bergson era presente al convegno), e richiamando esplicitamente «l’ipotesi del viaggiatore dentro un proiettile», sparato da un cannone (proprio come nel romanzo di Verne), aggiunge al racconto un secondo personaggio, quello appunto destinato a rimanere a Terra. Quindi, per personalizzare ancora di più la storia, attribuisce ai due protagonisti un nome: Paul è colui che viaggia, Pierre quello che resta sul nostro pianeta.
A onor del vero, bisogna dire che Bergson, in Durée et simultanéité, non utilizza mai le parole «gemelli» (jumeaux) e «fratelli» (frères). Tuttavia, considerando che la traduzione francese del testo di Weyl, in cui si parla esplicitamente di «due gemelli» appare proprio nel 1922, si può in effetti individuare quell’anno e l’opera di Bergson come momento di definizione della questione.
Il dibattito sulla relatività continua in primavera, quando Einstein viene invitato a tenere una serie di cinque incontri a Parigi, fra il 31 marzo e il 7 aprile. Il primo e l’ultimo, oltre quello del 3 e 5 aprile, si svolgono al Collège de France, mentre la discussione del 6 aprile, dedicata alle implicazioni filosofiche ed epistemologiche della relatività, e caratterizzata dal celebre confronto tra Einstein e Bergson, ha luogo alla Sorbona, sotto l’egida della Société Française de Philosophie. In seguito a questo incontro Bergson darà vita l’anno successivo a una nuova edizione di Durée et simultanéité, con tre nuove appendici, una delle quali dedicata proprio al «viaggio nella palla di cannone» e a un ulteriore approfondimento della questione.
Il proiettile immaginato da Verne in un famoso fotogramma di "Le voyage dans la Lune" di George Méliès © Pubblico dominio
Bibliografia
- Ciardi M., Gasperini A. 2019. Il pianoforte di Einstein. Vite e storie in bilico tra Firenze, Europa e America. Hoepli.
- During E. 2014. "Langevin ou le paradoxe introuvable", in Revue de métaphysique et de morale, 84.
- Langevin P. 1911. "L’évolution de l’espace et du temps", in Atti del IV Congresso Internazionale di Filosofia, Volume 1, Sedute Generale. Formiggini.