Provate ad aprire un qualunque aggeggio elettronico, magari evitando di farlo quando il cavo della corrente è inserito. Non fatelo neppure se l’aggeggio è prezioso. Forse è meglio non distruggerlo, in questo caso. Comunque sia, un cacciavite o qualche altro attrezzo vi dovrebbe consentire di scoprire un sacco di cose interessanti e per lo più misteriose. Un carica-batteria, un orologio digitale, uno smartphone, un televisore… oggetti di uso quotidiano che funzionano grazie a leggi fisiche che sono applicate al mondo dell’elettronica, ovvero quella branca tecnologica della scienza che si occupa del progetto, dello studio teorico e sperimentale, dell’ingegneria, dello sviluppo e del funzionamento di circuiti nei quali cariche elettriche obbediscono ai nostri comandi. Velocemente, silenziosamente, quasi mai sbagliando a eseguire un ordine dato da un interruttore che si chiude, da un pulsante premuto, da un sensore che ha percepito una variazione di luminosità, di temperatura, di inclinazione, di accelerazione. Come e meglio di un essere umano.
Come funziona un circuito elettronico? Fondamentalmente grazie all’esistenza di cariche elettriche (elettroni, ma non solo) che trasportano “informazione” fra vari punti di una serie di collegamenti (conduttori) fra parti di una struttura più o meno complicata, che realizza e attua una o più procedure che interessano al costruttore e all’utilizzatore.
Una lampadina si accende se riceve energia “attraverso” dei conduttori che trasportano corrente (qualcosa che ha a che fare con un certo tipo di movimento di cariche) nel momento in cui il generatore di energia (una batteria) viene collegato alla lampadina stessa, tipicamente tramite fili (i conduttori) e un interruttore o un pulsante, che chiude/apre il collegamento. Questo è un circuito elettrico comandato nella sua semplicissima funzione di accendere/spegnere la lampadina.
Ci sono situazioni ovviamente più complesse che, partendo dallo schema della lampada/pila/pulsante, arrivano a far funzionare quasi qualsiasi cosa ci passi per la mente: un computer, per essere chiari, è un ammasso di enorme complessità, costituito da miliardi di interruttori e di altri componenti che, con velocità inaudita (miliardi di volte al secondo), interagiscono realizzando “accensioni e spegnimenti” non tanto di lampadine quanto di “stati” di memoria, ovvero valori logici, simbolici ma al contempo fisici, elettrici, che sono la base per contare, mettere in sequenza istruzioni, comandi, decisioni e altre operazioni necessarie per far funzionare un programma, un sistema operativo.
Questo tipo di struttura è di genere “digitale”, ovvero prevede un’elettronica – come appena accennato – a due livelli (si parla di logica “TT”, transistor-transistor, ovvero di un’algebra – sistema di regole aritmetiche – che sfrutta due valori differenti di tensione o energia elettrica e che viene realizzata con ultra-microscopici elementi circuitali, interruttori e amplificatori che si chiamano per l’appunto transistor).
Molti decenni prima dell’avvento della tecnologia digitale, l’elettronica nasceva in un contesto di tipo “analogico”, cioè senza logiche “vero/falso”, ma basato su variazioni continue di tensioni e correnti elettriche. Continuiamo a utilizzare l’elettronica analogica: dall’alimentatore del computer al caricatore del cellulare, dal motore dell’asciugacapelli al regolatore di temperatura dell’impianto di riscaldamento, i circuiti a supporto di questi e di infiniti altri apparecchi ed elettrodomestici prevedono il passaggio di correnti elettriche che rispondono ancora alle leggi fisiche dell’elettromagnetismo. Si tratta di leggi che, nello specifico, prevedono fenomeni differenti in funzione di vari dispositivi contenuti in questi circuiti.
Una caratteristica comune a tutti i conduttori di elettricità è quella di opporsi al suo passaggio, che piaccia o meno. Si dice che un conduttore presenta una resistenza elettrica che provoca una dissipazione di energia quando è attraversato da corrente. Può essere che questa spesa energetica sia voluta, nel senso che si manifesta come produzione per esempio di energia termica (un fornello elettrico da riscaldamento o una piastra da cottura elettrica in cucina), oppure luminosa (come nelle vecchie lampadine a filamento). In ogni caso è pressoché inevitabile che dell’energia “cada” quando essa viene trasportata tramite cariche in un filo conduttore.
Molti aspetti interessanti e tecnologicamente rilevanti si hanno quando le correnti elettriche variano nel tempo, ovvero presentano un’intensità oscillante, di solito periodicamente. Si parla in questo caso di correnti “alternate”, per distinguerle da quelle “continue” che si osservano – per esempio – quando si utilizza una batteria chimica tradizionale (oppure metallica, come nelle recenti ricaricabili LiPo – polimeri di litio). Se le correnti (e le sorgenti che le generano) sono oscillanti, vi sono altri elementi circuitali, oltre alle resistenze elettriche, che diventano importanti.
I cosiddetti condensatori, tipicamente piccoli rotoli o pastiglie di fogli conduttori affacciati, sono in grado di venire caricati elettricamente da una batteria e di mantenere questo stato come dei minuscoli serbatoi di energia. Se collegati a qualche circuito esterno, i condensatori liberano la carica elettrica che contengono con una certa velocità tipica del circuito complessivo (resistenza dei fili e “capacità” del condensatore): si liberano più o meno lentamente dell’energia contenuta. Se si applica un ciclo periodico, oscillante, di “carica-scarica” ai capi di un condensatore, quello che si osserva è che questo elemento circuitale oppone anch’esso una specie di resistenza al passaggio della corrente alternata (resistenza che i tecnici chiamano impedenza) e, inoltre, induce uno “sfasamento”, una specie di anticipo nei ritmi di oscillazione della corrente elettrica che interessa il condensatore.
Le cariche elettriche (ferme o in moto non importa) producono attorno a sé un campo elettrico, ovvero si fanno sentire come generatrici di forze su eventuali altre cariche avvicinate a esse. Se le cariche sono in moto (ovvero se ci sono correnti elettriche), oltre al campo elettrico nasce un altro tipo di campo, detto di induzione magnetica, che si fa riconoscere in molti modi (forse il più famoso – da secoli – è quello legato alla capacità di orientare l’ago – magnetizzato – di una bussola). Al di là di questioni di navigazione e orientamento, il campo magnetico associato a una corrente può essere immagazzinato, sotto forma di energia, in un altro elemento circuitale: una bobina di filo conduttore, ovvero una serie di spire di rame avvolte sulla superficie di un cilindro, che i tecnici chiamano solenoide, è un serbatoio di energia magnetica esattamente come un condensatore lo è di energia elettrica. Inoltre, esattamente come una corrente oscillante trova impedenza (ostacolo, resistenza) e anticipa attraversando un condensatore (che si carica e scarica con una certa inerzia di campo elettrico), così una corrente oscillante trova un’altra impedenza e sfasamento (ritardo) attraversando un solenoide, per il fenomeno dell’inerzia del ciclo di carica-scarica ora legata all’energia del campo magnetico. L’equivalente della capacità di un condensatore è detta induttanza in una bobina.
Se si collegano in un unico circuito un condensatore (con una certa capacità) e un solenoide (con una certa induttanza) si ottiene una combinazione “LC” (induttanza-capacità) che ha una interessante e importante caratteristica: una corrente in essa iniettata oscilla con un ritmo “naturale”, proprio di questo circuito, dando luogo a un continuo travaso da un’energia di tipo elettrico (nel condensatore) a una di tipo magnetico (nella bobina). Risultato: si è costruito un “oscillatore”, ovvero un sistema che produce alternanza energetica di tipo elettromagnetico che, se opportunamente esposta nell’ambiente, può viaggiare (nel vuoto o nell’aria, poco importa) sotto forma di onda elettromagnetica. Le trasmissioni di qualsiasi genere di informazione basate su onde elettromagnetiche hanno come “motore” irrinunciabile un oscillatore “LC” come quello appena accennato. Senza condensatori e bobine (piccoli o grandi che siano importa poco) non avremmo modo di trasmettere (né ricevere, con circuiti oscillanti “in ascolto”) i segnali che hanno, nel bene e nel male, trasformato la nostra società.
Come funziona un circuito elettronico? Fondamentalmente grazie all’esistenza di cariche elettriche (elettroni, ma non solo) che trasportano “informazione” fra vari punti di una serie di collegamenti (conduttori) fra parti di una struttura più o meno complicata, che realizza e attua una o più procedure che interessano al costruttore e all’utilizzatore.
Una lampadina si accende se riceve energia “attraverso” dei conduttori che trasportano corrente (qualcosa che ha a che fare con un certo tipo di movimento di cariche) nel momento in cui il generatore di energia (una batteria) viene collegato alla lampadina stessa, tipicamente tramite fili (i conduttori) e un interruttore o un pulsante, che chiude/apre il collegamento. Questo è un circuito elettrico comandato nella sua semplicissima funzione di accendere/spegnere la lampadina.
Ci sono situazioni ovviamente più complesse che, partendo dallo schema della lampada/pila/pulsante, arrivano a far funzionare quasi qualsiasi cosa ci passi per la mente: un computer, per essere chiari, è un ammasso di enorme complessità, costituito da miliardi di interruttori e di altri componenti che, con velocità inaudita (miliardi di volte al secondo), interagiscono realizzando “accensioni e spegnimenti” non tanto di lampadine quanto di “stati” di memoria, ovvero valori logici, simbolici ma al contempo fisici, elettrici, che sono la base per contare, mettere in sequenza istruzioni, comandi, decisioni e altre operazioni necessarie per far funzionare un programma, un sistema operativo.
Questo tipo di struttura è di genere “digitale”, ovvero prevede un’elettronica – come appena accennato – a due livelli (si parla di logica “TT”, transistor-transistor, ovvero di un’algebra – sistema di regole aritmetiche – che sfrutta due valori differenti di tensione o energia elettrica e che viene realizzata con ultra-microscopici elementi circuitali, interruttori e amplificatori che si chiamano per l’appunto transistor).
Molti decenni prima dell’avvento della tecnologia digitale, l’elettronica nasceva in un contesto di tipo “analogico”, cioè senza logiche “vero/falso”, ma basato su variazioni continue di tensioni e correnti elettriche. Continuiamo a utilizzare l’elettronica analogica: dall’alimentatore del computer al caricatore del cellulare, dal motore dell’asciugacapelli al regolatore di temperatura dell’impianto di riscaldamento, i circuiti a supporto di questi e di infiniti altri apparecchi ed elettrodomestici prevedono il passaggio di correnti elettriche che rispondono ancora alle leggi fisiche dell’elettromagnetismo. Si tratta di leggi che, nello specifico, prevedono fenomeni differenti in funzione di vari dispositivi contenuti in questi circuiti.
Una caratteristica comune a tutti i conduttori di elettricità è quella di opporsi al suo passaggio, che piaccia o meno. Si dice che un conduttore presenta una resistenza elettrica che provoca una dissipazione di energia quando è attraversato da corrente. Può essere che questa spesa energetica sia voluta, nel senso che si manifesta come produzione per esempio di energia termica (un fornello elettrico da riscaldamento o una piastra da cottura elettrica in cucina), oppure luminosa (come nelle vecchie lampadine a filamento). In ogni caso è pressoché inevitabile che dell’energia “cada” quando essa viene trasportata tramite cariche in un filo conduttore.
Molti aspetti interessanti e tecnologicamente rilevanti si hanno quando le correnti elettriche variano nel tempo, ovvero presentano un’intensità oscillante, di solito periodicamente. Si parla in questo caso di correnti “alternate”, per distinguerle da quelle “continue” che si osservano – per esempio – quando si utilizza una batteria chimica tradizionale (oppure metallica, come nelle recenti ricaricabili LiPo – polimeri di litio). Se le correnti (e le sorgenti che le generano) sono oscillanti, vi sono altri elementi circuitali, oltre alle resistenze elettriche, che diventano importanti.
I cosiddetti condensatori, tipicamente piccoli rotoli o pastiglie di fogli conduttori affacciati, sono in grado di venire caricati elettricamente da una batteria e di mantenere questo stato come dei minuscoli serbatoi di energia. Se collegati a qualche circuito esterno, i condensatori liberano la carica elettrica che contengono con una certa velocità tipica del circuito complessivo (resistenza dei fili e “capacità” del condensatore): si liberano più o meno lentamente dell’energia contenuta. Se si applica un ciclo periodico, oscillante, di “carica-scarica” ai capi di un condensatore, quello che si osserva è che questo elemento circuitale oppone anch’esso una specie di resistenza al passaggio della corrente alternata (resistenza che i tecnici chiamano impedenza) e, inoltre, induce uno “sfasamento”, una specie di anticipo nei ritmi di oscillazione della corrente elettrica che interessa il condensatore.
Le cariche elettriche (ferme o in moto non importa) producono attorno a sé un campo elettrico, ovvero si fanno sentire come generatrici di forze su eventuali altre cariche avvicinate a esse. Se le cariche sono in moto (ovvero se ci sono correnti elettriche), oltre al campo elettrico nasce un altro tipo di campo, detto di induzione magnetica, che si fa riconoscere in molti modi (forse il più famoso – da secoli – è quello legato alla capacità di orientare l’ago – magnetizzato – di una bussola). Al di là di questioni di navigazione e orientamento, il campo magnetico associato a una corrente può essere immagazzinato, sotto forma di energia, in un altro elemento circuitale: una bobina di filo conduttore, ovvero una serie di spire di rame avvolte sulla superficie di un cilindro, che i tecnici chiamano solenoide, è un serbatoio di energia magnetica esattamente come un condensatore lo è di energia elettrica. Inoltre, esattamente come una corrente oscillante trova impedenza (ostacolo, resistenza) e anticipa attraversando un condensatore (che si carica e scarica con una certa inerzia di campo elettrico), così una corrente oscillante trova un’altra impedenza e sfasamento (ritardo) attraversando un solenoide, per il fenomeno dell’inerzia del ciclo di carica-scarica ora legata all’energia del campo magnetico. L’equivalente della capacità di un condensatore è detta induttanza in una bobina.
Se si collegano in un unico circuito un condensatore (con una certa capacità) e un solenoide (con una certa induttanza) si ottiene una combinazione “LC” (induttanza-capacità) che ha una interessante e importante caratteristica: una corrente in essa iniettata oscilla con un ritmo “naturale”, proprio di questo circuito, dando luogo a un continuo travaso da un’energia di tipo elettrico (nel condensatore) a una di tipo magnetico (nella bobina). Risultato: si è costruito un “oscillatore”, ovvero un sistema che produce alternanza energetica di tipo elettromagnetico che, se opportunamente esposta nell’ambiente, può viaggiare (nel vuoto o nell’aria, poco importa) sotto forma di onda elettromagnetica. Le trasmissioni di qualsiasi genere di informazione basate su onde elettromagnetiche hanno come “motore” irrinunciabile un oscillatore “LC” come quello appena accennato. Senza condensatori e bobine (piccoli o grandi che siano importa poco) non avremmo modo di trasmettere (né ricevere, con circuiti oscillanti “in ascolto”) i segnali che hanno, nel bene e nel male, trasformato la nostra società.