La storia, come la scienza, è piena di misteri, talvolta molto complessi, e gli storici lo sanno bene. La storia, però, come la scienza, ha le sue regole. Per questo motivo un grande storico del Novecento come Carlo M. Cipolla (richiamando la lezione di Arnaldo Momigliano – cfr. Query, n. 12), ha potuto sostenere che la costruzione di una “metodologia rigorosa” in ambito storico ha reso giustificabile «l’uso dell’aggettivo ’scientifico’ applicato allo studio della storia nei nostri giorni». Tale metodologia prevede anche un’analisi rigorosa del curriculum e della professionalità di coloro che trasmettono o riportano le fonti storiche. Infatti, argomenta Cipolla, citando lo storico arabo Ibn Khaldun, vissuto nella seconda metà del XV secolo, una delle cause «di narrazioni menzognere è la cieca fiducia verso chi le riferisce: su chi trasmette notizie andrebbe invece condotta la stessa indagine che i giudici fanno subire ai testimoni».
Questo è un punto molto importante: i lettori di testi che parlano di misteri, archeologia o scienze alternative sono abituati a verificare l’effettiva competenza degli autori nello specifico campo di cui stanno parlando, oppure tendono a fidarsi in maniera acritica delle informazioni che vengono riportate in un testo? E se quelle informazioni non fossero corrette?
Proviamo ad analizzare nel dettaglio alcuni brani dall’Atlante dei Misteri firmato da Irene Bellini e Danilo Grossi (ma a cura di Roberto Giacobbo), in particolare quelli tratti dal capitolo Atlantide e Mu sono solo fantasie? In avvio troviamo la seguente affermazione: «Il primo a parlare di Atlantide è Platone. Nel suo Timeo ci racconta dei viaggi di Solone in Egitto, dove i sacerdoti lo mettono a conoscenza di una guerra combattuta millenni prima tra gli antenati degli Ateniesi e gli Atlantidei». Ora, sorvolando sul fatto che non si indica la data approssimativa in cui Platone compose il Timeo (all’incirca nel 360 a.C.) e che in quel dialogo il tema di Atlantide viene solo brevemente introdotto per essere interamente sviluppato nel dialogo successivo (cioè il Crizia), ciò che la frase iniziale sembra far intendere è che dopo Platone ci siano stati molti altri a fornire testimonianze sull’esistenza di Atlantide. In realtà non è così. È vero che dopo Platone numerosi autori hanno parlato di Atlantide (anzi, la bibliografia sul tema è praticamente incontrollabile); ma tutti coloro che si sono occupati di Atlantide dopo Platone hanno fatto esclusivamente riferimento alla testimonianza del filosofo greco. In sostanza, Platone non è stato il primo a parlare di Atlantide, ma l’unico a parlare di Atlantide. Che è una cosa un po’ diversa.
Andiamo al passo successivo dell’Atlante, dove viene fornita un’informazione del tutto inesistente nel testo di Platone: «Nel centro dell’Oceano Atlantico c’è una grande isola, una sorta di monarchia confederata i cui dieci sovrani governano molti paesi. I domini si estendono a varie regioni dell’Africa, dell’Egitto, dell’Europa e del Sud America». Anche in questo caso, tralasciamo il fatto che dei dieci re di Atlantide si parla nel Crizia e non nel Timeo; e anche che la collocazione di Atlantide nell’Atlantico non è detto che debba essere così scontata (sempre prendendo per vero il racconto di Platone e non, come ormai gli specialisti della sua filosofia tendono a fare, leggendolo semplicemente come una metafora delle vicende politiche dell’Atene del suo tempo). Ma c’è una cosa che proprio nel testo di Platone non viene menzionata: il Sud America. Cosa c’entra il Sud America? Proviamo a leggere il testo di Platone: «Allora, infatti, quel mare lontano era navigabile, giacché vi era un’isola davanti allo stretto che voi chiamate, a quanto dite, Colonne d’Ercole, e questa isola era più grande della Libia e dell’Asia messe insieme, e da essa era possibile ai navigatori di allora passare alle altre isole, e da queste all’intero continente che vi si trova di fronte e che circonda quel mare che è il vero mare. Infatti, tutto ciò che si trova all’interno dello stretto di cui stiamo parlando sembra un porto che abbia un’entrata stretta; mentre, di là dello stretto, quello è davvero mare, e la terra che lo circonda la si può chiamare con verità, e nel modo più proprio, continente. In questa isola Atlantide si era costituita una grande e straordinaria potenza regale, che dominava l’intera isola e molte altre isole e parti del continente; inoltre, all’interno dello stretto, dominava anche la Libia, fino all’Egitto, e l’Europa, fino alla Tirrenia».
In base a quali criteri, leggendo questo passo, deduciamo in maniera così precisa che Platone ci sta parlando del Sud America? Non è che questa idea è stata attinta da una delle tante (e spesso fantastiche) interpretazioni che sono state fornite del mito platonico? Ad esempio, la si ritrova anche nel famoso testo di Ignatius Donnelly, dal titolo Atlantis: The Antediluvian World, pubblicato nel 1882.
Andiamo avanti, perché la libera invenzione del testo platonico non è finita. Così leggiamo nell’Atlante dei Misteri: «Inattaccabile per gli uomini, non per la natura: un grande cataclisma la sprofonda nell’oceano. La caduta di Atlantide provoca un imbarbarimento delle province confederate, dalle cui rovine nascono le civiltà oggi conosciute. Fin qui Platone». Fin qui Platone?
Andiamo a leggere come nel Timeo viene descritta la fine di Atlantide (e dell’antico esercito ateniese), secondo il racconto che i sacerdoti egizi avrebbero fatto a Solone: «Nei tempi che seguirono, a causa di tremendi terremoti e catastrofi naturali, nell’arco di un solo giorno e di una sola notte terribili tutto il vostro esercito fu interamente inghiottito sotto terra, e la stessa isola Atlantide scomparve allo stesso modo sommersa dal mare; ecco perché anche adesso questo mare lontano è impraticabile e inesplorabile, giacché lo impedisce assolutamente il fango affiorante che l’isola ha prodotto inabissandosi».
Confrontiamo quindi questo passo con la descrizione nel Crizia della fine della civiltà degli Atlantidei, popolo di origine divina essendo all’inizio della sua storia sotto il dominio di Poseidone: «Finché dunque ragionarono così e conservarono la natura divina, s’accrebbe ad essi tutto quello che prima abbiamo enumerato. Ma quando l’essenza divina, mescolatasi spesso con molta natura mortale, in essi fu estinta, e la natura mortale prevalse, allora, non potendo sopportare la prosperità presente, degenerarono, e a quelli che sapevano vedere apparvero turpi per aver perduto le più belle delle cose preziose; ma quelli, che non sapevano vedere la vera vita rispetto alla felicità, allora specialmente li giudicarono bellissimi e beati, mentr’eran pieni di ingiusta albagia e prepotenza. Ma Giove, il dio degli dei, che governa secondo le leggi, avendo compreso, come quello che sa vedere queste cose, la degenerazione d’una stirpe già buona, pensò di punirli, affinché castigati divenissero migliori; e convocò tutti gli dei nella loro più augusta sede, ch’è nel centro di tutto l’universo e vede tutto quello che ha sortito di nascere; e convocatili disse …». Con questa frase si interrompeva, incompiuto, il Crizia.
Quale sarebbe dunque il punto in cui Platone (nel Timeo o nel Crizia) afferma che la caduta di Atlantide avrebbe provocato «un imbarbarimento delle province confederate, dalle cui rovine nascono le civiltà oggi conosciute»? È evidente che Platone non hai mai niente detto del genere, ma che, anche in questo caso, ci troviamo di fronte a una rilettura del mito che sarebbe stata fatta molto tempo dopo e che si tenta di far passare come il pensiero originale di Platone.
Si potrebbe andare avanti, ma penso che queste piccole dimostrazioni possano essere sufficienti al nostro scopo.
È giusto deformare fino a tal punto una fonte storica e proporla in un volume di ampia divulgazione?
- Bellini, I., Grossi, D. 2006. Atlante dei Misteri, a cura di R. Giacobbo, Firenze: Giunti
- Ciardi, M. 2011. Le metamorfosi di Atlantide. Storie scientifiche e immaginarie da Platone a Walt Disney, Roma: Carocci.
- Cipolla, C. M. 2005. La storia economica, Bologna: Il Mulino.
Questo è un punto molto importante: i lettori di testi che parlano di misteri, archeologia o scienze alternative sono abituati a verificare l’effettiva competenza degli autori nello specifico campo di cui stanno parlando, oppure tendono a fidarsi in maniera acritica delle informazioni che vengono riportate in un testo? E se quelle informazioni non fossero corrette?
Proviamo ad analizzare nel dettaglio alcuni brani dall’Atlante dei Misteri firmato da Irene Bellini e Danilo Grossi (ma a cura di Roberto Giacobbo), in particolare quelli tratti dal capitolo Atlantide e Mu sono solo fantasie? In avvio troviamo la seguente affermazione: «Il primo a parlare di Atlantide è Platone. Nel suo Timeo ci racconta dei viaggi di Solone in Egitto, dove i sacerdoti lo mettono a conoscenza di una guerra combattuta millenni prima tra gli antenati degli Ateniesi e gli Atlantidei». Ora, sorvolando sul fatto che non si indica la data approssimativa in cui Platone compose il Timeo (all’incirca nel 360 a.C.) e che in quel dialogo il tema di Atlantide viene solo brevemente introdotto per essere interamente sviluppato nel dialogo successivo (cioè il Crizia), ciò che la frase iniziale sembra far intendere è che dopo Platone ci siano stati molti altri a fornire testimonianze sull’esistenza di Atlantide. In realtà non è così. È vero che dopo Platone numerosi autori hanno parlato di Atlantide (anzi, la bibliografia sul tema è praticamente incontrollabile); ma tutti coloro che si sono occupati di Atlantide dopo Platone hanno fatto esclusivamente riferimento alla testimonianza del filosofo greco. In sostanza, Platone non è stato il primo a parlare di Atlantide, ma l’unico a parlare di Atlantide. Che è una cosa un po’ diversa.
Andiamo al passo successivo dell’Atlante, dove viene fornita un’informazione del tutto inesistente nel testo di Platone: «Nel centro dell’Oceano Atlantico c’è una grande isola, una sorta di monarchia confederata i cui dieci sovrani governano molti paesi. I domini si estendono a varie regioni dell’Africa, dell’Egitto, dell’Europa e del Sud America». Anche in questo caso, tralasciamo il fatto che dei dieci re di Atlantide si parla nel Crizia e non nel Timeo; e anche che la collocazione di Atlantide nell’Atlantico non è detto che debba essere così scontata (sempre prendendo per vero il racconto di Platone e non, come ormai gli specialisti della sua filosofia tendono a fare, leggendolo semplicemente come una metafora delle vicende politiche dell’Atene del suo tempo). Ma c’è una cosa che proprio nel testo di Platone non viene menzionata: il Sud America. Cosa c’entra il Sud America? Proviamo a leggere il testo di Platone: «Allora, infatti, quel mare lontano era navigabile, giacché vi era un’isola davanti allo stretto che voi chiamate, a quanto dite, Colonne d’Ercole, e questa isola era più grande della Libia e dell’Asia messe insieme, e da essa era possibile ai navigatori di allora passare alle altre isole, e da queste all’intero continente che vi si trova di fronte e che circonda quel mare che è il vero mare. Infatti, tutto ciò che si trova all’interno dello stretto di cui stiamo parlando sembra un porto che abbia un’entrata stretta; mentre, di là dello stretto, quello è davvero mare, e la terra che lo circonda la si può chiamare con verità, e nel modo più proprio, continente. In questa isola Atlantide si era costituita una grande e straordinaria potenza regale, che dominava l’intera isola e molte altre isole e parti del continente; inoltre, all’interno dello stretto, dominava anche la Libia, fino all’Egitto, e l’Europa, fino alla Tirrenia».
In base a quali criteri, leggendo questo passo, deduciamo in maniera così precisa che Platone ci sta parlando del Sud America? Non è che questa idea è stata attinta da una delle tante (e spesso fantastiche) interpretazioni che sono state fornite del mito platonico? Ad esempio, la si ritrova anche nel famoso testo di Ignatius Donnelly, dal titolo Atlantis: The Antediluvian World, pubblicato nel 1882.
Andiamo avanti, perché la libera invenzione del testo platonico non è finita. Così leggiamo nell’Atlante dei Misteri: «Inattaccabile per gli uomini, non per la natura: un grande cataclisma la sprofonda nell’oceano. La caduta di Atlantide provoca un imbarbarimento delle province confederate, dalle cui rovine nascono le civiltà oggi conosciute. Fin qui Platone». Fin qui Platone?
Andiamo a leggere come nel Timeo viene descritta la fine di Atlantide (e dell’antico esercito ateniese), secondo il racconto che i sacerdoti egizi avrebbero fatto a Solone: «Nei tempi che seguirono, a causa di tremendi terremoti e catastrofi naturali, nell’arco di un solo giorno e di una sola notte terribili tutto il vostro esercito fu interamente inghiottito sotto terra, e la stessa isola Atlantide scomparve allo stesso modo sommersa dal mare; ecco perché anche adesso questo mare lontano è impraticabile e inesplorabile, giacché lo impedisce assolutamente il fango affiorante che l’isola ha prodotto inabissandosi».
Confrontiamo quindi questo passo con la descrizione nel Crizia della fine della civiltà degli Atlantidei, popolo di origine divina essendo all’inizio della sua storia sotto il dominio di Poseidone: «Finché dunque ragionarono così e conservarono la natura divina, s’accrebbe ad essi tutto quello che prima abbiamo enumerato. Ma quando l’essenza divina, mescolatasi spesso con molta natura mortale, in essi fu estinta, e la natura mortale prevalse, allora, non potendo sopportare la prosperità presente, degenerarono, e a quelli che sapevano vedere apparvero turpi per aver perduto le più belle delle cose preziose; ma quelli, che non sapevano vedere la vera vita rispetto alla felicità, allora specialmente li giudicarono bellissimi e beati, mentr’eran pieni di ingiusta albagia e prepotenza. Ma Giove, il dio degli dei, che governa secondo le leggi, avendo compreso, come quello che sa vedere queste cose, la degenerazione d’una stirpe già buona, pensò di punirli, affinché castigati divenissero migliori; e convocò tutti gli dei nella loro più augusta sede, ch’è nel centro di tutto l’universo e vede tutto quello che ha sortito di nascere; e convocatili disse …». Con questa frase si interrompeva, incompiuto, il Crizia.
Quale sarebbe dunque il punto in cui Platone (nel Timeo o nel Crizia) afferma che la caduta di Atlantide avrebbe provocato «un imbarbarimento delle province confederate, dalle cui rovine nascono le civiltà oggi conosciute»? È evidente che Platone non hai mai niente detto del genere, ma che, anche in questo caso, ci troviamo di fronte a una rilettura del mito che sarebbe stata fatta molto tempo dopo e che si tenta di far passare come il pensiero originale di Platone.
Si potrebbe andare avanti, ma penso che queste piccole dimostrazioni possano essere sufficienti al nostro scopo.
È giusto deformare fino a tal punto una fonte storica e proporla in un volume di ampia divulgazione?
Bibliografia
- Bellini, I., Grossi, D. 2006. Atlante dei Misteri, a cura di R. Giacobbo, Firenze: Giunti
- Ciardi, M. 2011. Le metamorfosi di Atlantide. Storie scientifiche e immaginarie da Platone a Walt Disney, Roma: Carocci.
- Cipolla, C. M. 2005. La storia economica, Bologna: Il Mulino.