Alla fine dello scorso ottobre i biologi marini del MBARI (Monterey Bay Aquarium Research Institute) hanno diffuso le immagini della loro più recente scoperta: la Chondrocladia lyra, una spugna che, come dice il nome, somiglia molto a un’arpa. Nonostante l’aspetto innocuo, si tratta di un organismo carnivoro, che usa i suoi rami per catturare i piccoli crostacei di cui si nutre.
La Chondrocladia lyra sembra avere una particolarità tipica di molte specie di spugne: una struttura piuttosto regolare e simmetrica, tanto da farla quasi apparire artificiale. Fu questa l’origine di una strana storia che fece un certo scalpore negli anni sessanta, e che ogni tanto viene ancora portata come prova dell’esistenza di antiche civiltà o di UFO sottomarini[1].
Il 29 agosto 1964 la nave oceanografica americana Eltanin, al largo di Capo Horn, fotografò un curioso oggetto a 13.500 piedi (circa 4.115 m) di profondità. Aveva in tutto e per tutto l’aspetto di un’antenna: un’asta di 60 cm, da cui si dipartivano perpendicolarmente dodici segmenti, terminanti a loro volta con una sfera.
Quando la nave attraccò a Auckland e la storia venne resa nota dal ‟New Zeland Herald”, il 5 dicembre 1964, cominciarono le speculazioni. Cosa poteva essere quella strana struttura sul fondo del mare? Sicuramente non una pianta: secondo il biologo marino Thomas Hopkins, in servizio sulla Eltanin, “l’antenna” si trovava a una profondità troppo elevata per poter effettuare la fotosintesi. Un corallo, allora? La forma eccezionalmente simmetrica sembrava smentire questa ipotesi. E allora, perché non avrebbe potuto trattarsi di un oggetto di origine artificiale?
Il problema è che nel 1964 nessun veicolo avrebbe avuto la tecnologia per installare un’antenna sul fondo dell’oceano, a 4.000 metri di profondità. I sottomarini militari raggiungevano al massimo i 600 metri, e i batiscafi per le esplorazioni scientifiche non erano ancora dotati di bracci meccanici per operare sul fondale. Infine, ben difficilmente poteva trattarsi di qualcosa perduta da una nave: qualunque cosa fosse, l’oggetto sembrava essere ben ancorato al suolo.
Esaurite le possibilità più banali, si passò a quelle più improbabili. Alcuni giornalisti avanzarono l’ipotesi che potesse essere il frutto di un’antica civiltà sommersa: in parole povere, un’antenna di Atlantide. Nel 1968 Brad Steiger pubblicò su “Saga”, un giornale per appassionati di misteri, un articolo in cui identificava l’oggetto con sistema telemetrico per il monitoraggio dell’attività sismica. Messo lì, forse, da entità extraterrestri, oppure da gruppi segreti di potere con una tecnologia superiore alla nostra. Tutte le ipotesi, insomma, si aggiravano intorno a tre spiegazioni: Atlantide, gli alieni, o i “men in black”.
L’oggetto entrò nel campo della numerologia con Bruce Cathie, un pilota neozelandese che, dopo aver osservato un oggetto volante non identificato, aveva iniziato a studiare gli UFO per cercare di scoprire i loro mezzi di propulsione. Cathie suppose che le navicelle extraterrestri alla base del fenomeno sfruttassero una qualche “energia terrestre”, che si estendeva intorno al nostro pianeta secondo una struttura ordinata. Suddivise quindi la Terra in un sistema di griglie le cui le linee principali, nella sua teoria, avrebbero dovuto essere le rotte seguite delle astronavi extraterrestri.
Ma da dove partire, per tracciare questo nuovo sistema di coordinate? Qui entra in gioco “l’antenna”: Cathie scoprì il luogo esatto in cui era stata scattata la fotografia, notò che i segmenti orizzontali della struttura sembravano essere posizionati secondo angoli di circa 15°, e sulla base di queste informazioni elaborò la «griglia globale dell’energia terrestre». Una “scoperta” che, nelle intenzioni dell’autore, avrebbe dovuto non solo spiegare gli avvistamenti, ma definire una nuova fisica moderna, basata sul concetto di griglia energetica. È famosa, per esempio, la sua ridefinizione[2] della celebre formula di Einstein (E=mc^2): a suo parere avrebbe dovuto essere riscritta come E=(c+1/√c)c^2.
Nonostante le basi fossero tutt’altro che scientifiche, la teoria riscosse un certo successo fra i cultori del mistero, e fu ripresa da numerologi e studiosi delle “energie terrestri”. Lo scrittore e artista Gary Val Tenuta, ad esempio, convertì in numeri espressioni come “Eltanin antenna” e “The zero point”, combinandole in modo da trovare alcuni numeri sacri, come il 144, numero della luce.
THE ZERO POINT = 171
ELTANIN ANTENNA = 144
171 + 144 = 315
171 – 144 = 27
315 – 27 = 288, o “doppio” della luce (144x2)
Michael Lawrence Morton, che si definisce “archeocrittografo”, si spinse anche più oltre. Fuse la griglia di Cathie con quella elaborata da un altro ricercatore di “griglie terrestri”, Carl Munck, e associò a ogni punto del nostro pianeta (e, più tardi, anche di Marte) un valore numerico denominato “gpv” (grid point value). Grazie a questi Morton pensò di aver trovato corrispondenze numerologiche tra alcuni luoghi chiave: la posizione in cui era stata fotagrafata “l’antenna Eltanin”, Betlemme, la tour Eiffel, Nazca, Angkor Wat, e così via.
Tra queste derive numerologiche, il mistero dell’antenna di Atlantide finì per essere dimenticato. Fino a quando, nel 2003, fu riscoperto dall’ufologo Joseph Trainor, che ne parlò in una rubrica dedicata ai “misteri vintage” sulla rivista “UFO Rondup[3]. La soluzione, questa volta, non tardò ad arrivare: “un altro ufologo, Tom” DeMary, specialista in acustica sottomarina, scoprì che in realtà il mistero era già stato risolto nel 1971. I biologi Bruce Heezen e Charles Hollister avevano infatti analizzato la fotografia e indentificato “l’antenna” con una spugna, la Cladorhiza concrescens, pubblicando le loro conclusioni in “The Face of the Deep”.
Ebbene sì: la misteriosa antenna che aveva generato così tante congetture, il “punto zero” delle griglie, che Cathie aveva sfruttato per elaborare la sua teoria delle energie terrestri e riformulare la relatività di Einstein, altro non era se non un organismo marino, descritto per la prima volta dal naturalista Alexander Agassiz nel 1888. Ad alimentare il fenomeno era stata sicuramente la simmetria della Cladorhiza concrescens, che aveva dato l’impressione di trovarsi di fronte a un oggetto artificiale, piuttosto che naturale. Una simmetria che si trova anche nella nuova specie individuata dal MBARI. C’è da sperare che questa volta, con l’accesso alle informazioni scientifiche reso possibile da internet, a nessuno venga in mente di identificare la nuova spugna con una reale, autentica “arpa di Atlantide”.
La Chondrocladia lyra sembra avere una particolarità tipica di molte specie di spugne: una struttura piuttosto regolare e simmetrica, tanto da farla quasi apparire artificiale. Fu questa l’origine di una strana storia che fece un certo scalpore negli anni sessanta, e che ogni tanto viene ancora portata come prova dell’esistenza di antiche civiltà o di UFO sottomarini[1].
Il 29 agosto 1964 la nave oceanografica americana Eltanin, al largo di Capo Horn, fotografò un curioso oggetto a 13.500 piedi (circa 4.115 m) di profondità. Aveva in tutto e per tutto l’aspetto di un’antenna: un’asta di 60 cm, da cui si dipartivano perpendicolarmente dodici segmenti, terminanti a loro volta con una sfera.
Quando la nave attraccò a Auckland e la storia venne resa nota dal ‟New Zeland Herald”, il 5 dicembre 1964, cominciarono le speculazioni. Cosa poteva essere quella strana struttura sul fondo del mare? Sicuramente non una pianta: secondo il biologo marino Thomas Hopkins, in servizio sulla Eltanin, “l’antenna” si trovava a una profondità troppo elevata per poter effettuare la fotosintesi. Un corallo, allora? La forma eccezionalmente simmetrica sembrava smentire questa ipotesi. E allora, perché non avrebbe potuto trattarsi di un oggetto di origine artificiale?
Il problema è che nel 1964 nessun veicolo avrebbe avuto la tecnologia per installare un’antenna sul fondo dell’oceano, a 4.000 metri di profondità. I sottomarini militari raggiungevano al massimo i 600 metri, e i batiscafi per le esplorazioni scientifiche non erano ancora dotati di bracci meccanici per operare sul fondale. Infine, ben difficilmente poteva trattarsi di qualcosa perduta da una nave: qualunque cosa fosse, l’oggetto sembrava essere ben ancorato al suolo.
Esaurite le possibilità più banali, si passò a quelle più improbabili. Alcuni giornalisti avanzarono l’ipotesi che potesse essere il frutto di un’antica civiltà sommersa: in parole povere, un’antenna di Atlantide. Nel 1968 Brad Steiger pubblicò su “Saga”, un giornale per appassionati di misteri, un articolo in cui identificava l’oggetto con sistema telemetrico per il monitoraggio dell’attività sismica. Messo lì, forse, da entità extraterrestri, oppure da gruppi segreti di potere con una tecnologia superiore alla nostra. Tutte le ipotesi, insomma, si aggiravano intorno a tre spiegazioni: Atlantide, gli alieni, o i “men in black”.
L’oggetto entrò nel campo della numerologia con Bruce Cathie, un pilota neozelandese che, dopo aver osservato un oggetto volante non identificato, aveva iniziato a studiare gli UFO per cercare di scoprire i loro mezzi di propulsione. Cathie suppose che le navicelle extraterrestri alla base del fenomeno sfruttassero una qualche “energia terrestre”, che si estendeva intorno al nostro pianeta secondo una struttura ordinata. Suddivise quindi la Terra in un sistema di griglie le cui le linee principali, nella sua teoria, avrebbero dovuto essere le rotte seguite delle astronavi extraterrestri.
Ma da dove partire, per tracciare questo nuovo sistema di coordinate? Qui entra in gioco “l’antenna”: Cathie scoprì il luogo esatto in cui era stata scattata la fotografia, notò che i segmenti orizzontali della struttura sembravano essere posizionati secondo angoli di circa 15°, e sulla base di queste informazioni elaborò la «griglia globale dell’energia terrestre». Una “scoperta” che, nelle intenzioni dell’autore, avrebbe dovuto non solo spiegare gli avvistamenti, ma definire una nuova fisica moderna, basata sul concetto di griglia energetica. È famosa, per esempio, la sua ridefinizione[2] della celebre formula di Einstein (E=mc^2): a suo parere avrebbe dovuto essere riscritta come E=(c+1/√c)c^2.
Nonostante le basi fossero tutt’altro che scientifiche, la teoria riscosse un certo successo fra i cultori del mistero, e fu ripresa da numerologi e studiosi delle “energie terrestri”. Lo scrittore e artista Gary Val Tenuta, ad esempio, convertì in numeri espressioni come “Eltanin antenna” e “The zero point”, combinandole in modo da trovare alcuni numeri sacri, come il 144, numero della luce.
THE ZERO POINT = 171
ELTANIN ANTENNA = 144
171 + 144 = 315
171 – 144 = 27
315 – 27 = 288, o “doppio” della luce (144x2)
Michael Lawrence Morton, che si definisce “archeocrittografo”, si spinse anche più oltre. Fuse la griglia di Cathie con quella elaborata da un altro ricercatore di “griglie terrestri”, Carl Munck, e associò a ogni punto del nostro pianeta (e, più tardi, anche di Marte) un valore numerico denominato “gpv” (grid point value). Grazie a questi Morton pensò di aver trovato corrispondenze numerologiche tra alcuni luoghi chiave: la posizione in cui era stata fotagrafata “l’antenna Eltanin”, Betlemme, la tour Eiffel, Nazca, Angkor Wat, e così via.
Tra queste derive numerologiche, il mistero dell’antenna di Atlantide finì per essere dimenticato. Fino a quando, nel 2003, fu riscoperto dall’ufologo Joseph Trainor, che ne parlò in una rubrica dedicata ai “misteri vintage” sulla rivista “UFO Rondup[3]. La soluzione, questa volta, non tardò ad arrivare: “un altro ufologo, Tom” DeMary, specialista in acustica sottomarina, scoprì che in realtà il mistero era già stato risolto nel 1971. I biologi Bruce Heezen e Charles Hollister avevano infatti analizzato la fotografia e indentificato “l’antenna” con una spugna, la Cladorhiza concrescens, pubblicando le loro conclusioni in “The Face of the Deep”.
Ebbene sì: la misteriosa antenna che aveva generato così tante congetture, il “punto zero” delle griglie, che Cathie aveva sfruttato per elaborare la sua teoria delle energie terrestri e riformulare la relatività di Einstein, altro non era se non un organismo marino, descritto per la prima volta dal naturalista Alexander Agassiz nel 1888. Ad alimentare il fenomeno era stata sicuramente la simmetria della Cladorhiza concrescens, che aveva dato l’impressione di trovarsi di fronte a un oggetto artificiale, piuttosto che naturale. Una simmetria che si trova anche nella nuova specie individuata dal MBARI. C’è da sperare che questa volta, con l’accesso alle informazioni scientifiche reso possibile da internet, a nessuno venga in mente di identificare la nuova spugna con una reale, autentica “arpa di Atlantide”.