Salve, vorrei sapere: è vero che un terreno composto principalmente da basalto se si trova in prossimità di un oceano tende a essere instabile e può quindi sprofondare? E se è vero perchè accade questo?
Grazie, cordiali saluti.
Laura
Grazie, cordiali saluti.
Laura
Risponde Mauro Carta
Poiché la domanda è stata posta al CICAP, supponiamo ci si riferisca in particolare alla possibilità che un’isola o un continente, come Atlantide, possa sprofondare sotto la superficie del mare per un qualche cataclisma naturale. Vediamo cosa ne pensa la moderna geologia.
Tutti i terreni, i rilievi rocciosi, i suoli sulla superficie terrestre sono, in un certo senso, instabili, in quanto esposti continuamente all’attacco degli agenti dell’erosione superficiale (vento, acqua, ghiaccio, gravità ), o ai sussulti della Terra (terremoti, eruzioni vulcaniche, faglie), e ciò indipendentemente dal tipo di roccia di cui sono formati, per cui possono franare e talvolta finire in mare.
I fondali oceanici sono costituiti quasi esclusivamente da rocce di tipo basaltico, e da una sottile coltre superficiale di sedimenti. Sino a una sessantina di anni fa si sapeva poco e niente della natura e costituzione dei fondali oceanici, e questo lasciava la porta aperta a ipotesi e teorie alquanto fantasiose, su terre, isole e interi continenti che emergevano dalle acque dalla mattina alla sera per poi scomparire nuovamente nel giro di qualche giorno.
A partire dal secondo dopoguerra le informazioni e i dati provenienti dalle navi oceanografiche hanno consentito agli studiosi di conoscere i fondali di mari e oceani con una certa attendibilità , inquadrandone struttura ed evoluzione nell’ambito di una teoria, “la tettonica delle placche”, che consente di spiegare molto bene l’attuale dinamica interna del pianeta. Secondo questa teoria, ampiamente dimostrata, la superficie del nostro pianeta è frammentata in decine di enormi placche, sovrastanti le rocce calde e plastiche del mantello superiore (lo strato della Terra da dove arrivano i magmi). Queste placche sono in continuo, lentissimo ma inarrestabile movimento (nell’ordine di pochi centimetri all’anno), a causa della spinta di colossali forze che agiscono nel sottosuolo.
Le ricerche oceanografiche hanno consentito di scoprire molte cose sui fondali oceanici. Oggi sappiamo che sono formati per lo più da lave basaltiche, eruttate continuamente attraverso profonde fratture nella crosta, (le “dorsali medio-oceaniche”), che corrono per migliaia di kilometri al centro degli oceani. Sappiamo che gli oceani non si sono formati miliardi di anni fa, come si credeva in precedenza, ma sono molto più giovani: non più di 200 milioni di anni. Sappiamo perché esistono i vulcani, dove è più facile trovarli, e perché si verificano i terremoti, perché in alcune zone non se ne verificano e in altre invece sono frequenti. Infine, sappiamo cosa si trova nei fondali oceanici, e non c’è alcuna traccia di antichi continenti sprofondati.
Nonostante ci sia ancora molto da scoprire, non resta dunque molto spazio per speculazioni fantasiose su isole e continenti che nascono improvvisamente dal mare, per poi altrettanto rapidamente scomparire in un catastrofico ribollire di acque. Ci riferiamo ai prodotti della fantasia come il mito di Atlantide, di cui parlò Platone nei suoi dialoghi, o all’ipotesi di terre improbabili come quella del geologo P. Sclater, che nel diciannovesimo secolo immaginò un continente nell’Oceano Indiano, tra l’India e il Madagascar, che chiamò “Lemuria”, di cui non si è mai trovata traccia. Oggi, alla luce delle nostre conoscenze nel campo delle scienze della Terra e dell’oceanografia, possiamo dire che l’idea di interi continenti sprofondati improvvisamente nel fondo degli oceani è priva di alcun fondamento scientifico.
I terreni, di qualunque natura, possono franare sotto l’azione della forza di gravità e degli agenti erosivi, soprattutto se indeboliti strutturalmente, imbevuti d’acqua, o sottoposti alle enorme spinte di natura geologica (lenti movimenti continentali, eruzioni ed esplosioni vulcaniche) o all’incuria dell’uomo (dissesto idrogeologico, speculazione edilizia, disboscamenti selvaggi). Ma si tratta di eventi su piccola scala, che riguardano non continenti ma colline e pareti rocciose, grossi scogli, barre sabbiose o al massimo piccole isole.
Altre volte la furia della natura si scatena attraverso terremoti ed imponenti eruzioni vulcaniche esplosive, che possono disintegrare intere isole (come nel caso dell’eruzione del vulcano dell’isola di Thera, nel 1400 a.C., o la più recente esplosione del vulcano indonesiano di Krakatoa, nel 1883). Ma neppure questi eventi, per quanto catastrofici, possono arrivare a far sprofondare interi continenti.
Bisogna dire tuttavia che l’idea che piccole isole – non certo continenti - possano nascere dal nulla e poi scomparire in pochi giorni non è poi tanto bizzarra e stravagante. La letteratura scientifica riporta numerosi casi di questo genere. Per fare un esempio, nel 1963 al largo delle coste meridionali dell’Islanda (che sorge in corrispondenza dell’emersione della dorsale medio-atlantica) cominciò una serie di eruzioni vulcaniche sottomarine che nel giro di pochi giorni portarono alla nascita di un’isola, Surtsey, che oggi esiste ancora ed è un vero paradiso per i naturalisti. Altre isole sorsero nelle vicinanze, a distanza di alcuni anni, ma scomparvero subito dopo. Storie simili possiamo trovarle anche in Italia: l’isola Ferdinandea, comparsa nel giro di pochi giorni tra la Sicilia e Pantelleria, nel 1831, e scomparsa completamente dopo pochi mesi, o l’isola Amendolara, nel golfo di Taranto, oppure ancora gli isolotti come Colstrasio, Centranica e Ammianello, nella laguna di Venezia.
Tutte queste piccole isole sono state inghiottite inesorabilmente dal mare, smantellate dal moto ondoso, dalle correnti e dalle piogge. Niente a che fare tuttavia con sprofondamenti improvvisi e disastri su scala planetaria. Non esiste alcun mistero nella scomparsa di isole vulcaniche o di brandelli di terra e sabbia che sporgono dalla superficie delle acque. Non c’è più spazio, alla luce delle nostre attuali conoscenze, per teorie catastrofiche ed estese a territori più vasti di un grosso scoglio o di un’isola: si tratta invece, e più semplicemente, del lento e inesorabile lavorio dell’erosione ondosa, che sbriciola e smantella le isole formate da rocce particolarmente friabili, restituendole al mare. O più raramente, sommerse a causa del sollevamento del livello marino, o di fenomeni bradisismici (abbassamento del suolo, come avviene a Pozzuoli). E non si può neppure affermare che queste isole siano scomparse senza lasciare traccia: al loro posto, infatti, restano sempre dei banchi, bassifondi e secche molto amate dai pescatori subacquei, come il banco di Graham, dove sorgeva l’isola Ferdinandea, o la secca di Amendolara, probabilmente quanto resta dell’isola omonima, sempre che sia mai esistita veramente.
Mauro Carta
Geologo