Le recenti dichiarazioni dei portavoce e ricercatori del CERN relative al bosone e al campo di Higgs hanno – come in altre occasioni – movimentato le prime pagine di quotidiani, cartacei e online, dedicati alle ultime novità in fatto di scienza di frontiera.
La reazione “media” del pubblico non esperto di questo particolarissimo settore (la maggior parte della popolazione mondiale, il sottoscritto incluso) è di cauta curiosità: non è passato poi molto tempo dalla figuraccia cosmica che la nostra compianta ministra Gelmini (compianta come ministra, per fortuna viva e vegeta) aveva fatto (s)parlando di neutrini, tunnel e altre inimmaginabili sciocchezze, sempre collegate al CERN e alla ricerca di frontiera.
Siccome questa volta non è intervenuto il portavoce ufficiale del ministero e Zichichi si è limitato a dire che qualche idea nuova ce l’avrebbe anche in questo caso ma non ha dichiarato che il bosone di Higgs lo ha scoperto in realtà lui molto tempo fa, forse siamo ancora in ambiti seri e di discussione scientifica professionale.
Mi fermo però al termine “campo” (di Higgs o di chi si preferisca) perché immagino che per i non addetti ai lavori questo termine evochi immagini agricole più che di alte energie e di acceleratori immensi e sotterranei. Cos’è in realtà un campo di forze? Anzi: cos’è una forza? Siamo ben consapevoli che i termini usati dagli scienziati ogni tanto non coincidono esattamente con quelli che ci servono nella vita quotidiana. Oppure nella politica, o nello sport: una volta urlare «forza Italia!» era piacevole sfogo da tifoso, per molti anni però sfogo oppresso per note questioni partitiche. La parola “forza”, in ogni caso, non è quella che usano gli scienziati per cercare di capire come funzionano certe parti interessanti del nostro mondo materiale. Lo stesso si potrebbe dire di altri termini, come “lavoro”, “potenza”, “energia”, “flusso”, “carica”, e anche “campo”. Se poi mettiamo assieme questi due termini, ci troviamo al cospetto di un duplice inghippo. Un campo di forza è qualcosa di coltivabile e politicamente orientato?
La storia – come spesso – è lunga e non troverebbe spazio sufficiente in queste poche righe. L’idea fondamentale è però che il nostro universo è una mistura affascinante di radiazione e materia, ovvero di diverse manifestazioni di qualcosa che possiamo (quasi sempre) misurare e che chiamiamo con il nome di energia: già Einstein (ancora lui!) quasi un secolo fa era riuscito a descrivere in un formidabile insieme di teorie la consistenza di massa (materia) ed energia (radiazione) estensibili alle idee di gravitazione universale di newtoniana memoria. Newton aveva dichiarato la sua incapacità di spiegare il cosa stia alla base della sua idea di gravitazione, che però era ben definitiva da un punto di vista del come funzionino le cose. In altre parole: la teoria della gravitazione di Newton non era completa da un punto di vista dei fondamenti fisici dell’interazione fra corpi dotati di massa ma, certamente, spiegava molto bene le orbite dei pianeti (ossia le leggi di Kepler) come pure le orbite delle mele lasciate cadere sulle zucche dei fisici più testardi.
Allora cos’è una forza? Qualcosa che descrive un’interazione fra oggetti (masse, nel caso della forza gravitazionale, cariche, nel caso della forza elettrica) e che, come conseguenza primaria, conduce a modifiche dello stato di movimento degli oggetti stessi. C’è un’interazione? OK, c’è una forza. Che fa questa forza? Accelera gli oggetti. Ne cambia la traiettoria, in qualche modo. Per esempio: un pianeta in prossimità del suo astro è costretto dall’interazione di gravità a deviare da un moto rettilineo percorso a velocità regolare. Che fa? Ruota, percorrendo orbite curve (ellissi, oppure cerchi, che sono ellissi speciali, oppure parabole o iperboli, che sono traiettorie aperte, destinate a condurre gli oggetti a remote, irreversibili distanze). In questa visione classica, la forza di gravità, manifestazione operativa dell’esistenza di una massa, è attiva ovunque attorno a questa stessa massa. La forza che si manifesta attorno a essa è istantaneamente disponibile, sempre, e costituisce quello che si chiama campo di forza. Vale per gli effetti di gravità, come per quelli di natura elettrica. Invece di scomodare Newton, ci si deve fidare della teoria di Coulomb che, in modo non del tutto dissimile, assegna allo spazio una proprietà di campo di forza elettrostatico per la quale un corpo dotato di carica elettrica, collocato in questo campo, risente di una forza – di origini completamente differenti da quella gravitazionale – che è comunque in grado di modificare lo stato di moto del corpo in esame.
Non è stato necessario moltissimo tempo per rendersi conto, dopo le idee rivoluzionarie di Einstein in termini di finitezza e non superabilità della velocità della luce, che questo modo di intendere un campo di forze – istantaneamente e ovunque attivo – non era destinato a duraturo successo. Le interazioni (gli effetti di un campo di forze) si “fanno sentire” a distanza, non immediatamente: hanno bisogno di un po’ di tempo (magari piccolo, ma finito) per viaggiare da un punto all’altro del campo, dello spazio nel quale esse agiscono. La regola generale è che esiste un limite superiore anche per la velocità di propagazione del segnale di interazione che, indovinate un po’, è proprio eguale alla velocità della luce nel vuoto. Il che significa che se in questo istante il Sole scomparisse, per qualche improbabile e imperscrutabile motivo, sia la sua luce che l’azione della sua attrazione gravitazionale cesserebbero di farsi sentire dalle nostre postazioni terrestri non prima di circa otto minuti, il tempo necessario per un segnale che viaggia alla velocità della luce (circa 300.000 km al secondo) a percorre la distanza che ci separa dalla nostra stella (circa 150 milioni di km, distanza nota anche come unità astronomica). Il campo si spegne, certo, ma non come potremmo immaginare all’inizio. Anche quando spegniamo la luce nella nostra stanza, questa luce cessa di illuminare gli oggetti “in ritardo” dopo l’istante in cui si è tolta la corrente elettrica. Prima entrano in ombra gli oggetti vicini alla lampadina, poi, dopo frazioni incredibilmente piccole ma finite di tempo, gli oggetti più lontani.
Ecco che dunque nasce un’idea teorica di campo “che viaggia” nello spazio, ovvero l'idea secondo cui le forze di questo campo sono “trasportate” da qualche messaggero in grado di spiegare tutto ciò che le forze stesse compiono quando incontrano masse, cariche elettriche o chissà che. I campi di forze, in teorie molto complesse da un punto di vista matematico, vengono sostituiti dall’azione di particelle “di scambio” che giustificano gli effetti delle forze. Si pensi, per esempio, alla possibilità di fare sentire la propria presenza a un’altra persona scambiando con essa una stretta di mano (interazione diretta) oppure lanciandole una palla. Io spingo la palla, e con essa dunque interagisco. L’altra persona raccoglie la palla, “la sente”, per cui con essa interagisce. Di fatto, indirettamente, le due persone hanno interagito per il tramite della palla. Senza essersi scambiate strette di mano o altri contatti diretti.
Così vanno le cose anche nel mondo mostruosamente complicato delle interazioni fondamentali (quelle che servono – e nessun’altra – per spiegare il nostro universo), che sono di tipo gravitazionale, elettrodebole (una mistura complessa di elettricità e radioattività) e nucleare. Servono vari tipi di “particelle di scambio”, che viaggiano a velocità finite (comunque non superiori a quella della luce). La forza gravitazionale necessita di gravitoni, che sono l’equivalente gravitazionale dei fotoni, responsabili dello scambio di forze elettriche. Le cose si complicano molto quando ci si interessa di nuclei atomici e, ancor più in profondità, di particelle fondamentali, ovvero quelle non ulteriormente divisibili. Chi vuole saperne di più non ha che da gettarsi nello studio della cromodinamica quantistica (QCD) e del modello standard che permettono la descrizione – raffinata e assai precisa – di un’infinità di fenomeni alla base di tutto ciò che è osservabile in natura. O quasi.
La reazione “media” del pubblico non esperto di questo particolarissimo settore (la maggior parte della popolazione mondiale, il sottoscritto incluso) è di cauta curiosità: non è passato poi molto tempo dalla figuraccia cosmica che la nostra compianta ministra Gelmini (compianta come ministra, per fortuna viva e vegeta) aveva fatto (s)parlando di neutrini, tunnel e altre inimmaginabili sciocchezze, sempre collegate al CERN e alla ricerca di frontiera.
Siccome questa volta non è intervenuto il portavoce ufficiale del ministero e Zichichi si è limitato a dire che qualche idea nuova ce l’avrebbe anche in questo caso ma non ha dichiarato che il bosone di Higgs lo ha scoperto in realtà lui molto tempo fa, forse siamo ancora in ambiti seri e di discussione scientifica professionale.
Mi fermo però al termine “campo” (di Higgs o di chi si preferisca) perché immagino che per i non addetti ai lavori questo termine evochi immagini agricole più che di alte energie e di acceleratori immensi e sotterranei. Cos’è in realtà un campo di forze? Anzi: cos’è una forza? Siamo ben consapevoli che i termini usati dagli scienziati ogni tanto non coincidono esattamente con quelli che ci servono nella vita quotidiana. Oppure nella politica, o nello sport: una volta urlare «forza Italia!» era piacevole sfogo da tifoso, per molti anni però sfogo oppresso per note questioni partitiche. La parola “forza”, in ogni caso, non è quella che usano gli scienziati per cercare di capire come funzionano certe parti interessanti del nostro mondo materiale. Lo stesso si potrebbe dire di altri termini, come “lavoro”, “potenza”, “energia”, “flusso”, “carica”, e anche “campo”. Se poi mettiamo assieme questi due termini, ci troviamo al cospetto di un duplice inghippo. Un campo di forza è qualcosa di coltivabile e politicamente orientato?
La storia – come spesso – è lunga e non troverebbe spazio sufficiente in queste poche righe. L’idea fondamentale è però che il nostro universo è una mistura affascinante di radiazione e materia, ovvero di diverse manifestazioni di qualcosa che possiamo (quasi sempre) misurare e che chiamiamo con il nome di energia: già Einstein (ancora lui!) quasi un secolo fa era riuscito a descrivere in un formidabile insieme di teorie la consistenza di massa (materia) ed energia (radiazione) estensibili alle idee di gravitazione universale di newtoniana memoria. Newton aveva dichiarato la sua incapacità di spiegare il cosa stia alla base della sua idea di gravitazione, che però era ben definitiva da un punto di vista del come funzionino le cose. In altre parole: la teoria della gravitazione di Newton non era completa da un punto di vista dei fondamenti fisici dell’interazione fra corpi dotati di massa ma, certamente, spiegava molto bene le orbite dei pianeti (ossia le leggi di Kepler) come pure le orbite delle mele lasciate cadere sulle zucche dei fisici più testardi.
Allora cos’è una forza? Qualcosa che descrive un’interazione fra oggetti (masse, nel caso della forza gravitazionale, cariche, nel caso della forza elettrica) e che, come conseguenza primaria, conduce a modifiche dello stato di movimento degli oggetti stessi. C’è un’interazione? OK, c’è una forza. Che fa questa forza? Accelera gli oggetti. Ne cambia la traiettoria, in qualche modo. Per esempio: un pianeta in prossimità del suo astro è costretto dall’interazione di gravità a deviare da un moto rettilineo percorso a velocità regolare. Che fa? Ruota, percorrendo orbite curve (ellissi, oppure cerchi, che sono ellissi speciali, oppure parabole o iperboli, che sono traiettorie aperte, destinate a condurre gli oggetti a remote, irreversibili distanze). In questa visione classica, la forza di gravità, manifestazione operativa dell’esistenza di una massa, è attiva ovunque attorno a questa stessa massa. La forza che si manifesta attorno a essa è istantaneamente disponibile, sempre, e costituisce quello che si chiama campo di forza. Vale per gli effetti di gravità, come per quelli di natura elettrica. Invece di scomodare Newton, ci si deve fidare della teoria di Coulomb che, in modo non del tutto dissimile, assegna allo spazio una proprietà di campo di forza elettrostatico per la quale un corpo dotato di carica elettrica, collocato in questo campo, risente di una forza – di origini completamente differenti da quella gravitazionale – che è comunque in grado di modificare lo stato di moto del corpo in esame.
Non è stato necessario moltissimo tempo per rendersi conto, dopo le idee rivoluzionarie di Einstein in termini di finitezza e non superabilità della velocità della luce, che questo modo di intendere un campo di forze – istantaneamente e ovunque attivo – non era destinato a duraturo successo. Le interazioni (gli effetti di un campo di forze) si “fanno sentire” a distanza, non immediatamente: hanno bisogno di un po’ di tempo (magari piccolo, ma finito) per viaggiare da un punto all’altro del campo, dello spazio nel quale esse agiscono. La regola generale è che esiste un limite superiore anche per la velocità di propagazione del segnale di interazione che, indovinate un po’, è proprio eguale alla velocità della luce nel vuoto. Il che significa che se in questo istante il Sole scomparisse, per qualche improbabile e imperscrutabile motivo, sia la sua luce che l’azione della sua attrazione gravitazionale cesserebbero di farsi sentire dalle nostre postazioni terrestri non prima di circa otto minuti, il tempo necessario per un segnale che viaggia alla velocità della luce (circa 300.000 km al secondo) a percorre la distanza che ci separa dalla nostra stella (circa 150 milioni di km, distanza nota anche come unità astronomica). Il campo si spegne, certo, ma non come potremmo immaginare all’inizio. Anche quando spegniamo la luce nella nostra stanza, questa luce cessa di illuminare gli oggetti “in ritardo” dopo l’istante in cui si è tolta la corrente elettrica. Prima entrano in ombra gli oggetti vicini alla lampadina, poi, dopo frazioni incredibilmente piccole ma finite di tempo, gli oggetti più lontani.
Ecco che dunque nasce un’idea teorica di campo “che viaggia” nello spazio, ovvero l'idea secondo cui le forze di questo campo sono “trasportate” da qualche messaggero in grado di spiegare tutto ciò che le forze stesse compiono quando incontrano masse, cariche elettriche o chissà che. I campi di forze, in teorie molto complesse da un punto di vista matematico, vengono sostituiti dall’azione di particelle “di scambio” che giustificano gli effetti delle forze. Si pensi, per esempio, alla possibilità di fare sentire la propria presenza a un’altra persona scambiando con essa una stretta di mano (interazione diretta) oppure lanciandole una palla. Io spingo la palla, e con essa dunque interagisco. L’altra persona raccoglie la palla, “la sente”, per cui con essa interagisce. Di fatto, indirettamente, le due persone hanno interagito per il tramite della palla. Senza essersi scambiate strette di mano o altri contatti diretti.
Così vanno le cose anche nel mondo mostruosamente complicato delle interazioni fondamentali (quelle che servono – e nessun’altra – per spiegare il nostro universo), che sono di tipo gravitazionale, elettrodebole (una mistura complessa di elettricità e radioattività) e nucleare. Servono vari tipi di “particelle di scambio”, che viaggiano a velocità finite (comunque non superiori a quella della luce). La forza gravitazionale necessita di gravitoni, che sono l’equivalente gravitazionale dei fotoni, responsabili dello scambio di forze elettriche. Le cose si complicano molto quando ci si interessa di nuclei atomici e, ancor più in profondità, di particelle fondamentali, ovvero quelle non ulteriormente divisibili. Chi vuole saperne di più non ha che da gettarsi nello studio della cromodinamica quantistica (QCD) e del modello standard che permettono la descrizione – raffinata e assai precisa – di un’infinità di fenomeni alla base di tutto ciò che è osservabile in natura. O quasi.