La Commissione europea ha pubblicato la versione 2008 dell'Eurobarometro che compara ogni anno l'innovazione in tutti gli stati membri. Il livello di innovazione è espresso come un numero indice calcolato in funzione di 29 parametri, i cui valori sono mediati su cinque anni. Fra questi: livello degli investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo (R&S), numero di brevetti per milione di abitanti, bilancia tecnologica dei pagamenti, venture capital, investimenti in informatica, numero di diplomati e laureati in discipline tecnico-scientifiche.
I risultati sono riportati nel diagramma di fig. 1 (qui a sinistra): in ordinate il livello di innovazione, in ascisse il suo trend di crescita. La media del "livello innovazione" è 0,47 (per l'Italia: 0,34) – la media della crescita annua è 2,35 per cento (per l'Italia 1,85 per cento). Nel quadrante sinistro in basso sono raggruppati i Paesi in cui l'innovazione è bassa e cresce poco. Ci si trova l'Italia insieme a Spagna, Norvegia, Croazia e Lituania. È grave che il nostro Paese sia stabilmente relegato da decenni in quella zona arretrata: nel diagramma del 2003 stava insieme alla Bulgaria, in quello del 2004 insieme ad Austria, Estonia e Repubblica Ceca. Questi altri paesi, però, hanno cominciato a innovare robustamente: i loro punti rappresentativi si sono spostati verso destra e verso l'alto. La Bulgaria è una star insieme alla Romania: sono a livelli bassi, ma crescono del 7 per cento all'anno.
I livelli più alti sono di: Svezia, Finlandia, Germania, Regno Unito e Svizzera, che eccelle anche nella crescita. C'è chi sostiene da anni che l'economia si salva aumentando gli investimenti. Ora, con la crisi economica, in America e in Europa si varano piani di migliaia di miliardi per salvare grosse aziende e stimolare la ripresa. Però non sono solo economici gli interventi atti a rinnovare l'economia. Le soluzioni di quasi ogni problema economico, sociale, politico sono culturali. Dovremmo fare lavori difficili e produrre più valore aggiunto. Servono: invenzioni, cultura, scienza, altrimenti declina la prosperità.
La tabella a p. 7 (qui a sinistra) mostra quanto sia drammatico il divario fra Italia e media europea o Regno Unito e naturalmente ancor più dell'Italia con Svezia e Finlandia. Questi dati non sono prodotti da un modello previsionale, ma con rilevazioni estese nel tempo che illustrano bene quali siano le tendenze in corso. Il quadro delineato non è influenzato dai fattori e dagli eventi drammatici che stanno segnando la crisi economica mondiale. È facile intuire quanto più preoccupante appaia la posizione dell'Italia in relazione alla crisi. Essa è particolarmente critica, poi, perché i dibattiti e le posizioni correnti dei politici e degli imprenditori non tengono affatto conto di questo nostro ritardo e, quindi, non sono da ritenere imminenti azioni adeguate per ridurlo o eliminarlo.
Pubblicato su Nòva, Il Sole 24ore. Si ringrazia l’autore per aver concesso il diritto di riproduzione.
I risultati sono riportati nel diagramma di fig. 1 (qui a sinistra): in ordinate il livello di innovazione, in ascisse il suo trend di crescita. La media del "livello innovazione" è 0,47 (per l'Italia: 0,34) – la media della crescita annua è 2,35 per cento (per l'Italia 1,85 per cento). Nel quadrante sinistro in basso sono raggruppati i Paesi in cui l'innovazione è bassa e cresce poco. Ci si trova l'Italia insieme a Spagna, Norvegia, Croazia e Lituania. È grave che il nostro Paese sia stabilmente relegato da decenni in quella zona arretrata: nel diagramma del 2003 stava insieme alla Bulgaria, in quello del 2004 insieme ad Austria, Estonia e Repubblica Ceca. Questi altri paesi, però, hanno cominciato a innovare robustamente: i loro punti rappresentativi si sono spostati verso destra e verso l'alto. La Bulgaria è una star insieme alla Romania: sono a livelli bassi, ma crescono del 7 per cento all'anno.
I livelli più alti sono di: Svezia, Finlandia, Germania, Regno Unito e Svizzera, che eccelle anche nella crescita. C'è chi sostiene da anni che l'economia si salva aumentando gli investimenti. Ora, con la crisi economica, in America e in Europa si varano piani di migliaia di miliardi per salvare grosse aziende e stimolare la ripresa. Però non sono solo economici gli interventi atti a rinnovare l'economia. Le soluzioni di quasi ogni problema economico, sociale, politico sono culturali. Dovremmo fare lavori difficili e produrre più valore aggiunto. Servono: invenzioni, cultura, scienza, altrimenti declina la prosperità.
La tabella a p. 7 (qui a sinistra) mostra quanto sia drammatico il divario fra Italia e media europea o Regno Unito e naturalmente ancor più dell'Italia con Svezia e Finlandia. Questi dati non sono prodotti da un modello previsionale, ma con rilevazioni estese nel tempo che illustrano bene quali siano le tendenze in corso. Il quadro delineato non è influenzato dai fattori e dagli eventi drammatici che stanno segnando la crisi economica mondiale. È facile intuire quanto più preoccupante appaia la posizione dell'Italia in relazione alla crisi. Essa è particolarmente critica, poi, perché i dibattiti e le posizioni correnti dei politici e degli imprenditori non tengono affatto conto di questo nostro ritardo e, quindi, non sono da ritenere imminenti azioni adeguate per ridurlo o eliminarlo.
Pubblicato su Nòva, Il Sole 24ore. Si ringrazia l’autore per aver concesso il diritto di riproduzione.