O tempora, o mores! Ovvero, una volta le persone erano migliori: una convinzione diffusa, anche se possono variare molto sia gli anni in cui sarebbe iniziato questo presunto declino, sia gli eventi che l’avrebbero causato, magari in funzione delle convinzioni politiche di chi parla (per esempio il '68, le TV commerciali, e così via). Ma quanto è diffusa l’idea che, in tempi passati, il “clima morale” fosse più sano di oggi in termini di etica, onestà e buoni comportamenti? Quanto può corrispondere alla realtà e quali sono le sue cause? Sono le domande che si sono posti due psicologi americani, Adam Mastroianni e David Gilbert, che a giugno 2023 hanno pubblicato il loro lavoro di metanalisi su Nature.
I due studiosi hanno selezionato 177 sondaggi specifici condotti negli Stati Uniti in un arco di tempo molto ampio (fra il 1949 e il 2019) e hanno scoperto che, nel complesso, l’84% degli intervistati riteneva che le cose “andassero peggio di una volta”. Un valore non troppo diverso (l’86%) è emerso analizzando 59 sondaggi più recenti condotti in altri paesi. Tuttavia, l’evidenza indica che la percezione di una decadenza morale progressiva è frutto di errori di prospettiva: confrontando questionari presentati in tempi diversi alle stesse persone, la media delle risposte non era peggiorata. In pratica, la decadenza era... la stessa di una volta.
Ma c’è un altro particolare che conferma come la percezione del “disastro progressivo” sia presente in modo stabile da lungo tempo: se si domanda da quando è iniziato questo processo, molti lo collocheranno… intorno al loro anno di nascita. E non c’è nemmeno un effetto anagrafico: il mondo sta andando verso la barbarie più o meno secondo tutte le classi di età. In altri termini, al contrario di quanto sostiene il luogo comune, non sono solo gli anziani ad affidarsi alla retorica dei “bei tempi andati”. Lo stesso vale per le opinioni politiche, il grado d’istruzione e per altre variabili: nessuna di esse influisce troppo sui risultati.
Tuttavia, quando agli intervistati non viene chiesto un giudizio sul complesso della società ma solo sui propri conoscenti, l’impressione di decadimento morale scompare. In altri termini: il mondo sta peggiorando, ma la propria cerchia di amici e conoscenti è sempre immune da questo effetto. Secondo gli autori del lavoro, del resto, ci sono ambiguità anche su che cosa intendono le persone quando parlano di “decadimento morale”. L’analisi dei sondaggi indica infatti che di solito gli intervistati fanno riferimento a una percezione individuale e “locale” del fenomeno (la gentilezza fra vicini, il decoro urbano, il rispetto degli stop agli incroci, eccetera) e non a fenomeni di grande portata (guerre, genocidi, limitazioni delle libertà da parte di dittature, e così via). Il punto è che, nella sua accezione “locale”, la decadenza morale appare assai difficile da valutare e documentare in maniera rigorosa: come misurare se quarant’anni fa, rispetto a oggi, ci si salutava di più tra vicini?
Le principali ipotesi avanzate dai ricercatori per spiegare questi risultati fanno in larga misura appello a meccanismi di tipo psicologico. Il primo è quello della ricerca di un colpevole per anticipare l’eventualità di fatti negativi nella propria vita o per spiegare i rovesci economici, l’insuccesso della propria parte politica, e così via; il secondo meccanismo riguarda invece la selettività della memoria. Di norma, il bias di positività fa dimenticare con maggior facilità i fatti negativi rispetto a quelli gradevoli. Di conseguenza, nel ricordare il passato, sia individuale sia collettivo, si tenderà a fornirne un quadro idilliaco, privo o quasi di inconvenienti. Se si aggiunge che nel presente siamo bombardati da mass media che tendono a riportare per lo più notizie negative, si capirà come fanno ad avere successo gli slogan e i movimenti politici che fanno appello a dei presunti “bei vecchi tempi”.
I due studiosi hanno selezionato 177 sondaggi specifici condotti negli Stati Uniti in un arco di tempo molto ampio (fra il 1949 e il 2019) e hanno scoperto che, nel complesso, l’84% degli intervistati riteneva che le cose “andassero peggio di una volta”. Un valore non troppo diverso (l’86%) è emerso analizzando 59 sondaggi più recenti condotti in altri paesi. Tuttavia, l’evidenza indica che la percezione di una decadenza morale progressiva è frutto di errori di prospettiva: confrontando questionari presentati in tempi diversi alle stesse persone, la media delle risposte non era peggiorata. In pratica, la decadenza era... la stessa di una volta.
Ma c’è un altro particolare che conferma come la percezione del “disastro progressivo” sia presente in modo stabile da lungo tempo: se si domanda da quando è iniziato questo processo, molti lo collocheranno… intorno al loro anno di nascita. E non c’è nemmeno un effetto anagrafico: il mondo sta andando verso la barbarie più o meno secondo tutte le classi di età. In altri termini, al contrario di quanto sostiene il luogo comune, non sono solo gli anziani ad affidarsi alla retorica dei “bei tempi andati”. Lo stesso vale per le opinioni politiche, il grado d’istruzione e per altre variabili: nessuna di esse influisce troppo sui risultati.
Tuttavia, quando agli intervistati non viene chiesto un giudizio sul complesso della società ma solo sui propri conoscenti, l’impressione di decadimento morale scompare. In altri termini: il mondo sta peggiorando, ma la propria cerchia di amici e conoscenti è sempre immune da questo effetto. Secondo gli autori del lavoro, del resto, ci sono ambiguità anche su che cosa intendono le persone quando parlano di “decadimento morale”. L’analisi dei sondaggi indica infatti che di solito gli intervistati fanno riferimento a una percezione individuale e “locale” del fenomeno (la gentilezza fra vicini, il decoro urbano, il rispetto degli stop agli incroci, eccetera) e non a fenomeni di grande portata (guerre, genocidi, limitazioni delle libertà da parte di dittature, e così via). Il punto è che, nella sua accezione “locale”, la decadenza morale appare assai difficile da valutare e documentare in maniera rigorosa: come misurare se quarant’anni fa, rispetto a oggi, ci si salutava di più tra vicini?
Le principali ipotesi avanzate dai ricercatori per spiegare questi risultati fanno in larga misura appello a meccanismi di tipo psicologico. Il primo è quello della ricerca di un colpevole per anticipare l’eventualità di fatti negativi nella propria vita o per spiegare i rovesci economici, l’insuccesso della propria parte politica, e così via; il secondo meccanismo riguarda invece la selettività della memoria. Di norma, il bias di positività fa dimenticare con maggior facilità i fatti negativi rispetto a quelli gradevoli. Di conseguenza, nel ricordare il passato, sia individuale sia collettivo, si tenderà a fornirne un quadro idilliaco, privo o quasi di inconvenienti. Se si aggiunge che nel presente siamo bombardati da mass media che tendono a riportare per lo più notizie negative, si capirà come fanno ad avere successo gli slogan e i movimenti politici che fanno appello a dei presunti “bei vecchi tempi”.
Bibliografia
- Mastroianni, A. A., Gilbert D. T., 2023. “The Illusion of Moral Decline”. In Nature, n. 618