Petter Törnberg lavora all’Istituto per le ricerche sulle scienze sociali dell’università di Amsterdam, ma anche all’Istituto di geografia dell’Università di Neuchâtel, in Svizzera. In apparenza, è una strana combinazione disciplinare, ma in realtà Törnberg, oltre a occuparsi di conflitti negli spazi urbani e online, è anche un geografo digitale, ossia uno scienziato che s’interessa della mappatura dei flussi comunicativi e delle dinamiche della Rete, in particolare riguardo ai social media.
In un suo lavoro uscito di recente sulla rivista PNAS[1], Törnberg ha messo in discussione la spiegazione più nota dei fenomeni di polarizzazione digitale, che chiama in causa le cosiddette echo chambers, le camere dell’eco. Secondo questo modello, i social ci porterebbero a isolarci dentro “bolle” di persone che la pensano esattamente come noi, evitando così di essere esposti a idee e argomentazioni diverse dalle nostre. Il fatto di interagire sempre con persone di orientamento simile al nostro, che confermano e rafforzano le nostre opinioni, ci porterebbe quindi a radicalizzarci in posizioni via via sempre più estreme e, appunto, polarizzate.
Tuttavia, secondo Törnberg, il modello delle echo chambers si scontra con due constatazioni empiriche. La prima è che in realtà sui media digitali gli scambi (che peraltro sono in numero superiore a quelli della vita offline) di solito travalicano i confini fra gruppi, ossia la barriera delle camere dell’eco. La seconda è che le interazioni con persone di gruppi diversi dal proprio, per quanto intense, non bastano a diminuire i fenomeni di polarizzazione. Anzi: Törnberg ha notato che al crescere dell’interazione di un soggetto con persone esterne alla sua bolla corrisponde un aumento delle sue posizioni più partigiane, cioè quelle che, sul piano collettivo, hanno per risultato la polarizzazione fra gruppi.
Lo studioso ha quindi formulato un modello alternativo, che parte dal presupposto che i social media siano in primo luogo spazi per la formazione dell’identità e il modo in cui ci si presenta al mondo. L’attenzione, che nel modello precedente era concentrata sulla formazione delle opinioni nelle bolle e sui modi per “dichiararle”, si sposta dunque verso il conflitto e l’identità sociale: elementi che vengono forgiati entrambi dalle interazioni esterne al proprio gruppo digitale.
In questo modo, scrive Törnberg, l’ipotesi delle echo chambers è rovesciata: a causare la polarizzazione non è la mancata esposizione a idee in concorrenza con le proprie, ma, al contrario, è il fatto che i media digitali “costringono” a interagire al di fuori della propria bolla. La “rottura della bolla” diventa quindi pressoché inevitabile e un po’ tutti noi siamo indotti a scegliere, e ad affermare le nostre posizioni sull’uno o sull’altro tema, in maniera più forte e netta di quanto avremmo fatto nella vita reale.
In sostanza, se gli individui interagiscono in nuclei “locali” è più facile sviluppare delle convergenze, e i conflitti attraverseranno i gruppi in modo trasversale. Al contrario, afferma Törnberg, «incoraggiando l'interazione non locale, i media digitali spingono a uniformare i conflitti lungo linee partigiane, annullando così gli effetti di controbilanciamento dell'eterogeneità locale». E le conseguenze saranno molto serie, conclude lo studioso, poiché finiranno per creare «un uragano nel quale identità supplementari, credenze e appartenenze sono risucchiate in una divisione societaria crescente, che abbraccia tutto e che giunge a minacciare le fondamenta stesse della coesione sociale ».
In un suo lavoro uscito di recente sulla rivista PNAS[1], Törnberg ha messo in discussione la spiegazione più nota dei fenomeni di polarizzazione digitale, che chiama in causa le cosiddette echo chambers, le camere dell’eco. Secondo questo modello, i social ci porterebbero a isolarci dentro “bolle” di persone che la pensano esattamente come noi, evitando così di essere esposti a idee e argomentazioni diverse dalle nostre. Il fatto di interagire sempre con persone di orientamento simile al nostro, che confermano e rafforzano le nostre opinioni, ci porterebbe quindi a radicalizzarci in posizioni via via sempre più estreme e, appunto, polarizzate.
Tuttavia, secondo Törnberg, il modello delle echo chambers si scontra con due constatazioni empiriche. La prima è che in realtà sui media digitali gli scambi (che peraltro sono in numero superiore a quelli della vita offline) di solito travalicano i confini fra gruppi, ossia la barriera delle camere dell’eco. La seconda è che le interazioni con persone di gruppi diversi dal proprio, per quanto intense, non bastano a diminuire i fenomeni di polarizzazione. Anzi: Törnberg ha notato che al crescere dell’interazione di un soggetto con persone esterne alla sua bolla corrisponde un aumento delle sue posizioni più partigiane, cioè quelle che, sul piano collettivo, hanno per risultato la polarizzazione fra gruppi.
Lo studioso ha quindi formulato un modello alternativo, che parte dal presupposto che i social media siano in primo luogo spazi per la formazione dell’identità e il modo in cui ci si presenta al mondo. L’attenzione, che nel modello precedente era concentrata sulla formazione delle opinioni nelle bolle e sui modi per “dichiararle”, si sposta dunque verso il conflitto e l’identità sociale: elementi che vengono forgiati entrambi dalle interazioni esterne al proprio gruppo digitale.
In questo modo, scrive Törnberg, l’ipotesi delle echo chambers è rovesciata: a causare la polarizzazione non è la mancata esposizione a idee in concorrenza con le proprie, ma, al contrario, è il fatto che i media digitali “costringono” a interagire al di fuori della propria bolla. La “rottura della bolla” diventa quindi pressoché inevitabile e un po’ tutti noi siamo indotti a scegliere, e ad affermare le nostre posizioni sull’uno o sull’altro tema, in maniera più forte e netta di quanto avremmo fatto nella vita reale.
In sostanza, se gli individui interagiscono in nuclei “locali” è più facile sviluppare delle convergenze, e i conflitti attraverseranno i gruppi in modo trasversale. Al contrario, afferma Törnberg, «incoraggiando l'interazione non locale, i media digitali spingono a uniformare i conflitti lungo linee partigiane, annullando così gli effetti di controbilanciamento dell'eterogeneità locale». E le conseguenze saranno molto serie, conclude lo studioso, poiché finiranno per creare «un uragano nel quale identità supplementari, credenze e appartenenze sono risucchiate in una divisione societaria crescente, che abbraccia tutto e che giunge a minacciare le fondamenta stesse della coesione sociale ».
Note
1) Törnberg, P. “How digital media drive affective polarization through partisan sorting”. In Proceedings of the National Academy of Sciences, 10 ottobre 2022.