Una delle prime cose che imparano gli scettici è la classificazione delle cosiddette fallacie logiche. In effetti, esiste addirittura un intero sito web, Your Logical Fallacy Is[1], dedicato a insegnare agli scettici come giocare al gioco delle fallacie. In questa popolare destinazione Internet (che ha già ottenuto 290.000 “mi piace”, ma continuano ad aumentare) si legge che «questo sito è stato concepito per aiutarvi a identificare e a denunciare la logica scorretta ovunque sollevi la sua brutta testa incoerente. Scorrete le icone qui sopra e cliccate per vedere gli esempi. Se vedete qualcuno che commette una fallacia, mandategli il link».
Se solo fosse così facile. Gli scettici vanno giustamente fieri di rimanere sempre aggiornati sulle ultime novità scientifiche; spesso, però, non sono altrettanto propensi a tenersi al passo con le ultime novità in campo filosofico. Anzi, alcuni di loro sono apertamente sprezzanti nei confronti dell'intero settore, che considerano un’inutile contemplazione del proprio ombelico[2].
Ma un fatto poco noto è che la teoria dell’argomentazione ha superato il concetto di fallacie logiche decenni fa perché è profondamente difettoso, scarsamente utile e - per quel che riguarda gli scettici - un'arma a doppio taglio. Anni fa, il mio amico e collega Maarten Boudry ha fornito ai lettori di Skeptical Inquirer una guida su questo tema[3], ma potrebbe essere opportuno un rapido ripasso, soprattutto se si considera che molti lettori sembrano aver gravemente frainteso Boudry, o averlo ingiustamente accantonato[4].
Il primo problema che si presenta con il concetto di fallacie logiche è il modo in cui vengono spesso utilizzate. La prassi sembra essere di usarle non come strumenti per argomentare, ma piuttosto come modi rapidi e semplici per segnare un punto (gotcha! beccato!) contro qualcuno che percepiamo come avversario. Il secondo problema è che il gioco della fallacia si può giocare in due. È diventato sempre più popolare tra i creazionisti, i negazionisti del cambiamento climatico, i no vax e simili, giocare al nostro stesso gioco del gotcha!, spesso con (retorico) successo.
Come è possibile questo successo? Gli scettici non sono forse ben attrezzati per individuare le fallacie logiche nei ragionamenti altrui e allo stesso tempo abili nell'evitarle? Non proprio. Questo mi porta alla terza complicazione: le fallacie logiche non sono necessariamente fallaci: non sempre e non in tutte le circostanze.
In effetti, Boudry e io, insieme a Fabio Paglieri, abbiamo proposto un dilemma che chiamiamo the fallacy fork, la forchetta della fallacia[5]. Funziona così. Da un lato (primo punto), se descriviamo le fallacie logiche per mezzo di uno schema argomentativo formale che è chiaramente non valido, non troveremo molti esempi di persone che commettono davvero la fallacia corrispondente. Per contro (secondo punto), se adattiamo lo schema argomentativo in modo che catturi gli esempi di ragionamento della vita reale, la sua validità (o la sua non validità) risulterà essere una questione di circostanze epistemiche specifiche.
Facciamo un esempio per chiarire. Una delle fallacie più popolari tra gli scettici è post hoc ergo propter hoc, che in latino significa "dopo questo, quindi a causa di questo". Supponiamo che qualcuno prenda una pillola omeopatica e noti che poche ore dopo la febbre è sparita. La persona in questione è propensa a considerare questa sequenza di eventi come un'ipotesi di nesso causale tra la pillola e la scomparsa della febbre. A questo punto, lo scettico dichiara compiaciuto post hoc ergo propter hoc come se fosse uno degli incantesimi di Harry Potter, e se ne va convinto di aver liquidato l'ennesima affermazione ridicola di un buzzurro ignorante. Più tardi, lo stesso scettico va a cena in un ristorante e ordina un piatto di funghi selvatici. Quando torna a casa, ha i crampi allo stomaco e passa la notte in ospedale con un caso di intossicazione alimentare. Quando il medico gli chiede cos’è successo, risponde con sicurezza: «Ho mangiato funghi selvatici; probabilmente erano velenosi».
Il problema è che lo scettico ha utilizzato esattamente lo stesso schema argomentativo del paziente omeopatico. Ecco lo schema:
si verifica A; qualche tempo dopo A, si verifica B; di conseguenza, A ha causato B
Questo ragionamento è fallace o no? La risposta è: dipende. Se la tesi è che il nesso causale tra A e B si deduce unicamente sulla base della sequenza temporale, allora il ragionamento non è valido e siamo di fronte a una fallacia. Ma pochissime persone, se non nessuna, usano l'inferenza in questo modo (nemmeno gli omeopati). Piuttosto, in entrambi i casi, quello che succede è che il ragionatore aggiunge - implicitamente o meno - ulteriori elementi a quello schema. Qualcosa come:
si verifica A (ho prove/ragioni indipendenti per pensare che A di solito/spesso causa B);
B si è verificato qualche tempo dopo A; di conseguenza, A (probabilmente) ha causato B.
Ora, questo è un esempio perfetto di inferenza non fallace. La differenza tra l'omeopata e lo scettico, quindi, è che l'omeopata non ha una valida prova indipendente di un legame causale tra le pillole assunte e il calo della febbre. Lo scettico, al contrario, ha buone ragioni per pensare che alcuni tipi di funghi selvatici provocano intossicazioni alimentari e che i funghi mangiati a cena fossero sospettosamente simili alla varietà velenosa, quindi probabilmente il cuoco ha commesso un errore. In altre parole: che il post hoc ergo propter hoc sia fallace o meno è una funzione delle specifiche circostanze epistemiche. La forma di ragionamento non è sempre fallace né sempre valida: dipende.
La stessa analisi può essere facilmente applicata a molte altre presunte fallacie. Boudry, Paglieri e io esaminiamo esempi di ad hominem, argumentum ad ignorantiam, fallacia genetica, fallacia naturalistica e argumentum ad verecundiam, per citarne solo alcuni. Ecco una presunta fallacia che i sostenitori delle pseudoscienze hanno imparato a rinfacciare agli scettici. Quando mettiamo in dubbio un'affermazione basata sulle Sacre Scritture e la persona religiosa dice di crederci perché l'ha detto Dio, andiamo nel sito del gioco delle fallacie e clicchiamo su "appello all’autorità". Ma poi ci giriamo e dichiariamo di esserci vaccinati contro il COVID-19 perché gli esperti ci dicono che è la linea d’azione più sensata. Ancora una volta, la struttura formale dell'argomentazione è esattamente la stessa nei due casi. Qual è la differenza tra noi e i seguaci della Bibbia? Ancora una volta sta nelle ipotesi di fondo e nelle connessioni causali, spesso non esplicite.
Se avessimo buone ragioni per pensare che Dio esiste e comunica dettando testi agli esseri umani, allora sarebbe sicuramente molto razionale prendere in seria considerazione le sue parole. Lo scettico, però, rifiuta la possibilità stessa dell’esistenza di Dio oppure presume, per una serie di motivi, che Dio non parlerebbe in quel modo, attraverso quei mezzi e quelle persone. Al contrario, abbiamo una montagna di ottime ragioni per pensare che esperti virologi ed epidemiologi sappiano quello che fanno. Naturalmente, questo non significa che siano infallibili; significa solo che, a parità di condizioni, è più razionale seguire i loro consigli che andare contro di essi.
Quel che occorre, quindi, è un po' più di umiltà e una maggiore familiarità con la logica così come viene praticata dai filosofi contemporanei, non come è stata originariamente stabilita da Aristotele (un filosofo, tra l'altro!) più di due millenni fa. Dopo tutto, quando si cerca qualcosa sull'astronomia, ci si ferma a Copernico? O, peggio, a Tolomeo?
Tutto questo, però, ha anche un risvolto positivo. Ora siamo in una posizione nettamente migliore per affrontare in modo serio e costruttivo i sostenitori della pseudoscienza. Invece di pronunciare un mucchio di parole latine e andarcene convinti di aver appena assestato un (metaforico) colpo mortale a un idiota, possiamo sederci e rivolgerci seriamente all’omeopata o al sostenitore dell’intelligent design. Per esempio, potremmo suggerire di lasciare da parte la questione dell’efficacia di omeopatia e vaccini e discutere invece dei nostri rispettivi presupposti di base. Quali nessi causali diamo per scontati e perché? Di quali autorità ci fidiamo e su quali basi? Perché è chiaro che tutti noi ci fidiamo di alcune autorità e ne rifiutiamo altre.
Dopo tutto, scettico significa indagatore. E l’indagine è un processo, non una serie di risposte preconfezionate destinate a mettere a tacere il proprio interlocutore. Impegniamoci nell’argomentazione costruttiva anziché nella prepotenza epistemica.
L’originale di questo articolo è stato pubblicato su Skeptical Inquirer, volume 47, n. 3, 2023. Traduzione di Fara di Maio. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.
Se solo fosse così facile. Gli scettici vanno giustamente fieri di rimanere sempre aggiornati sulle ultime novità scientifiche; spesso, però, non sono altrettanto propensi a tenersi al passo con le ultime novità in campo filosofico. Anzi, alcuni di loro sono apertamente sprezzanti nei confronti dell'intero settore, che considerano un’inutile contemplazione del proprio ombelico[2].
Ma un fatto poco noto è che la teoria dell’argomentazione ha superato il concetto di fallacie logiche decenni fa perché è profondamente difettoso, scarsamente utile e - per quel che riguarda gli scettici - un'arma a doppio taglio. Anni fa, il mio amico e collega Maarten Boudry ha fornito ai lettori di Skeptical Inquirer una guida su questo tema[3], ma potrebbe essere opportuno un rapido ripasso, soprattutto se si considera che molti lettori sembrano aver gravemente frainteso Boudry, o averlo ingiustamente accantonato[4].
Il primo problema che si presenta con il concetto di fallacie logiche è il modo in cui vengono spesso utilizzate. La prassi sembra essere di usarle non come strumenti per argomentare, ma piuttosto come modi rapidi e semplici per segnare un punto (gotcha! beccato!) contro qualcuno che percepiamo come avversario. Il secondo problema è che il gioco della fallacia si può giocare in due. È diventato sempre più popolare tra i creazionisti, i negazionisti del cambiamento climatico, i no vax e simili, giocare al nostro stesso gioco del gotcha!, spesso con (retorico) successo.
Come è possibile questo successo? Gli scettici non sono forse ben attrezzati per individuare le fallacie logiche nei ragionamenti altrui e allo stesso tempo abili nell'evitarle? Non proprio. Questo mi porta alla terza complicazione: le fallacie logiche non sono necessariamente fallaci: non sempre e non in tutte le circostanze.
In effetti, Boudry e io, insieme a Fabio Paglieri, abbiamo proposto un dilemma che chiamiamo the fallacy fork, la forchetta della fallacia[5]. Funziona così. Da un lato (primo punto), se descriviamo le fallacie logiche per mezzo di uno schema argomentativo formale che è chiaramente non valido, non troveremo molti esempi di persone che commettono davvero la fallacia corrispondente. Per contro (secondo punto), se adattiamo lo schema argomentativo in modo che catturi gli esempi di ragionamento della vita reale, la sua validità (o la sua non validità) risulterà essere una questione di circostanze epistemiche specifiche.
Facciamo un esempio per chiarire. Una delle fallacie più popolari tra gli scettici è post hoc ergo propter hoc, che in latino significa "dopo questo, quindi a causa di questo". Supponiamo che qualcuno prenda una pillola omeopatica e noti che poche ore dopo la febbre è sparita. La persona in questione è propensa a considerare questa sequenza di eventi come un'ipotesi di nesso causale tra la pillola e la scomparsa della febbre. A questo punto, lo scettico dichiara compiaciuto post hoc ergo propter hoc come se fosse uno degli incantesimi di Harry Potter, e se ne va convinto di aver liquidato l'ennesima affermazione ridicola di un buzzurro ignorante. Più tardi, lo stesso scettico va a cena in un ristorante e ordina un piatto di funghi selvatici. Quando torna a casa, ha i crampi allo stomaco e passa la notte in ospedale con un caso di intossicazione alimentare. Quando il medico gli chiede cos’è successo, risponde con sicurezza: «Ho mangiato funghi selvatici; probabilmente erano velenosi».
Il problema è che lo scettico ha utilizzato esattamente lo stesso schema argomentativo del paziente omeopatico. Ecco lo schema:
si verifica A; qualche tempo dopo A, si verifica B; di conseguenza, A ha causato B
Questo ragionamento è fallace o no? La risposta è: dipende. Se la tesi è che il nesso causale tra A e B si deduce unicamente sulla base della sequenza temporale, allora il ragionamento non è valido e siamo di fronte a una fallacia. Ma pochissime persone, se non nessuna, usano l'inferenza in questo modo (nemmeno gli omeopati). Piuttosto, in entrambi i casi, quello che succede è che il ragionatore aggiunge - implicitamente o meno - ulteriori elementi a quello schema. Qualcosa come:
si verifica A (ho prove/ragioni indipendenti per pensare che A di solito/spesso causa B);
B si è verificato qualche tempo dopo A; di conseguenza, A (probabilmente) ha causato B.
Ora, questo è un esempio perfetto di inferenza non fallace. La differenza tra l'omeopata e lo scettico, quindi, è che l'omeopata non ha una valida prova indipendente di un legame causale tra le pillole assunte e il calo della febbre. Lo scettico, al contrario, ha buone ragioni per pensare che alcuni tipi di funghi selvatici provocano intossicazioni alimentari e che i funghi mangiati a cena fossero sospettosamente simili alla varietà velenosa, quindi probabilmente il cuoco ha commesso un errore. In altre parole: che il post hoc ergo propter hoc sia fallace o meno è una funzione delle specifiche circostanze epistemiche. La forma di ragionamento non è sempre fallace né sempre valida: dipende.
La stessa analisi può essere facilmente applicata a molte altre presunte fallacie. Boudry, Paglieri e io esaminiamo esempi di ad hominem, argumentum ad ignorantiam, fallacia genetica, fallacia naturalistica e argumentum ad verecundiam, per citarne solo alcuni. Ecco una presunta fallacia che i sostenitori delle pseudoscienze hanno imparato a rinfacciare agli scettici. Quando mettiamo in dubbio un'affermazione basata sulle Sacre Scritture e la persona religiosa dice di crederci perché l'ha detto Dio, andiamo nel sito del gioco delle fallacie e clicchiamo su "appello all’autorità". Ma poi ci giriamo e dichiariamo di esserci vaccinati contro il COVID-19 perché gli esperti ci dicono che è la linea d’azione più sensata. Ancora una volta, la struttura formale dell'argomentazione è esattamente la stessa nei due casi. Qual è la differenza tra noi e i seguaci della Bibbia? Ancora una volta sta nelle ipotesi di fondo e nelle connessioni causali, spesso non esplicite.
Se avessimo buone ragioni per pensare che Dio esiste e comunica dettando testi agli esseri umani, allora sarebbe sicuramente molto razionale prendere in seria considerazione le sue parole. Lo scettico, però, rifiuta la possibilità stessa dell’esistenza di Dio oppure presume, per una serie di motivi, che Dio non parlerebbe in quel modo, attraverso quei mezzi e quelle persone. Al contrario, abbiamo una montagna di ottime ragioni per pensare che esperti virologi ed epidemiologi sappiano quello che fanno. Naturalmente, questo non significa che siano infallibili; significa solo che, a parità di condizioni, è più razionale seguire i loro consigli che andare contro di essi.
Quel che occorre, quindi, è un po' più di umiltà e una maggiore familiarità con la logica così come viene praticata dai filosofi contemporanei, non come è stata originariamente stabilita da Aristotele (un filosofo, tra l'altro!) più di due millenni fa. Dopo tutto, quando si cerca qualcosa sull'astronomia, ci si ferma a Copernico? O, peggio, a Tolomeo?
Tutto questo, però, ha anche un risvolto positivo. Ora siamo in una posizione nettamente migliore per affrontare in modo serio e costruttivo i sostenitori della pseudoscienza. Invece di pronunciare un mucchio di parole latine e andarcene convinti di aver appena assestato un (metaforico) colpo mortale a un idiota, possiamo sederci e rivolgerci seriamente all’omeopata o al sostenitore dell’intelligent design. Per esempio, potremmo suggerire di lasciare da parte la questione dell’efficacia di omeopatia e vaccini e discutere invece dei nostri rispettivi presupposti di base. Quali nessi causali diamo per scontati e perché? Di quali autorità ci fidiamo e su quali basi? Perché è chiaro che tutti noi ci fidiamo di alcune autorità e ne rifiutiamo altre.
Dopo tutto, scettico significa indagatore. E l’indagine è un processo, non una serie di risposte preconfezionate destinate a mettere a tacere il proprio interlocutore. Impegniamoci nell’argomentazione costruttiva anziché nella prepotenza epistemica.
L’originale di questo articolo è stato pubblicato su Skeptical Inquirer, volume 47, n. 3, 2023. Traduzione di Fara di Maio. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati.
Note
2) Pigliucci M., 2014. “Neil deGrasse Tyson and the value of philosophy”, in Huffington Post, 16 maggio 2014. https://tinyurl.com/yf4whxkn
3) Boudry M., 2017. “The fallacy fork”, in Skeptical Inquirer, n. 41
4) Boudry M., 2018. “Playing fallacy 'gotcha!’” https://tinyurl.com/2emzvdyc
5) Boudry Maarten, Paglieri Fabio e Pigliucci Massimo, 2015. "The Fake, the Flimsy, and the Fallacious: Demarcating Arguments in Real Life", in Argumentation, n. 29
MASSIMO PIGLIUCCI è titolare della cattedra di filosofia K.D. Irani presso il City College of New York. Socio onorario CICAP, ha pubblicato numerosi volumi, tra cui Nonsense on Stilts (Chicago Press) e, in traduzione italiana, Come essere stoici (Garzanti, 2017). Maggiori informazioni all’indirizzo: http://massimopigliucci.blog/