Dieci anni fa, il 14 gennaio 2012, moriva a Firenze Paolo Rossi Monti, uno dei più importanti storici della filosofia, della scienza e delle idee del Novecento, noto anche a livello internazionale per i suoi numerosi libri e saggi. Qualche mese dopo aprivo il primo numero di questa rubrica (Questioni di metodo, su “Query” n. 9) proprio con un articolo dedicato al maestro scomparso, soprattutto per sottolineare l’importanza dei suoi lavori anche nel campo dei rapporti tra scienza e magia e scienza e pseudoscienza. Argomenti quindi centrali per una associazione come il Cicap. Lecito perciò chiedersi, a distanza di dieci anni, se la lezione di Rossi sia stata recepita, e in quale misura.
L’importanza di conoscere la storia della scienza per poter parlare di scienza dovrebbe ormai essere ovvia e scontata per tutti. Eppure, sia fra gli scienziati che nel mondo della divulgazione, questa consapevolezza non si è sviluppata in maniera adeguata, anzi in certi casi si è assistito addirittura a un regresso, complice il dilagare della comunicazione sui social, che tende a stabilire la validità di un’affermazione solo sulla base di “follower” e “like”. Soprattutto non è ancora chiaro che la storia della scienza, come ogni altra disciplina, è formata da una comunità di specialisti e professionisti, comunità che dovrebbe sempre costituire il punto di riferimento privilegiato di confronto e di verifica delle affermazioni che si fanno. Invece, spesso si assiste alla diffusione di racconti storici della scienza aneddotici, caricaturali ed erronei, che non tengono in alcun conto i risultati della ricerca specialistica, né sembrano avere una minima consapevolezza dell’esistenza di tale comunità e delle sue produzioni (nel n. 45 di Query abbiamo sottolineato la straordinaria eccezione rappresentata da Pietro Greco). Ma comportarsi in questo modo non è un chiaro indice, oltre che di scarsa professionalità, di un comportamento pseudoscientifico? Tutti siamo sempre pronti a indignarci quando vediamo proposte teorie, dalla terra piatta all’omeopatia, che non rispettano i valori e i principi alla base del metodo scientifico. Per quale motivo, invece, dovremmo provare meno indignazione di fronte a clamorosi errori di tipo storico, oppure a interpretazioni storiche della scienza del tutto improponibili? Per quale motivo il parere della comunità degli specialisti non andrebbe tenuto in considerazione in questo caso? Forse si pensa che il mondo “umanistico” sia un territorio nel quale ognuno può dire liberamente la sua, a differenza di quello “scientifico”?
Un’altra cosa ovvia per tutti dovrebbe essere lo stretto legame esistente tra storia della scienza e storia della filosofia, come appunto hanno dimostrato gli studi di Paolo Rossi Monti (ovviamente, non solo i suoi) e, conseguentemente, tra scienza e filosofia, per la quale vale lo stesso discorso appena fatto per la storia: anche ciò che definiamo “filosofia” è un sapere (formato da una comunità di specialisti), che si fonda su regole e principi ben precisi. Per cui, come non ci si improvvisa scienziati o storici, non ci si improvvisa neanche filosofi. Anche in questo caso il pensiero di Paolo Rossi Monti può essere di aiuto per chiarirci le idee. In uno dei suoi libri più famosi, pubblicato nel 1986, I ragni e le formiche. Un’apologia della storia della scienza, Rossi Monti terminava la sua riflessione con un capitolo intitolato Che cosa fanno oggi i filosofi?, che mantiene intatta la sua validità e la sua attualità: «Penso alla filosofia come a un’analisi dei concetti, delle idee, delle ideologie, delle visioni del mondo, delle forme della cultura. In particolare: come un'analisi dei metodi e dei modi di pensare e ragionare che operano nelle cultura e nelle scienze. Ancora più in particolare: come un'analisi e un chiarimento delle 'filosofie' e delle 'metafisiche' che condizionano la crescita delle singole scienze e che 'nascostamente' operano al loro interno».
Paolo Rossi Monti aveva chiaro anche cosa non deve essere la filosofia: «non deve essere ciò che spesso è stata (e che quasi sempre è ancora, agli occhi dei non filosofi): una sorta di tecnica per l’edificazione morale o un’attività predicatoria, o una tecnica di copertura per operazioni ideologiche o politiche, o una forma di consolazione per le ambasce o gli affanni della vita. Contro ogni risoluzione della filosofia in politica e in ideologia, contro ogni sua dissoluzione nella quotidianità, la filosofia va pensata e praticata come un’analisi di problemi oggettivi, come qualcosa che ha a che fare con la verità. In questo senso: che, pur non essendo espressione della verità, esprime tuttavia la tensione verso la verità. La filosofia, o almeno quelle forme di essa che prediligo non è comunque psicologismo: non consiste in una generalizzazione dei propri sentimenti, opinioni, punti di vista. È qualcosa che tende a superarli, anche se non è detto che ci riesca sempre».
Si capisce come l’analisi di Rossi Monti conservi una straordinaria attualità. Infatti, ancora oggi, per molti il “filosofo” è esattamente qualcuno simile a un “sacerdote” che impartisce consigli utili a muoversi nel proprio presente, in politica e nella società, o a raggiungere non ben definite dimensioni spirituali (al pari di quanto accade nel mondo magico ed esoterico). E tutto ciò viene fatto attraverso l’uso di concetti incoerenti e di un linguaggio confuso (che ricorda quello alchemico o profetico), che agli occhi dello specialista non possono che apparire (come minimo) pseudofilosofici, così come allo scienziato appare improponibile una prova sulla terra piatta, o allo storico un racconto basato su documenti inesistenti o non collocati correttamente nel loro contesto. In sostanza, spesso i cosiddetti “filosofi” non hanno niente di diverso da tanti santoni, mistici o predicatori, i cui testi popolano gli scaffali delle librerie nei reparti “esoterismo”, “magia” e “medicine alternative”. Non basta definirsi “filosofi” per diventare automaticamente tali, così come non si assume la qualifica di “scienziati” perché disquisiamo di meccanica quantistica dopo aver letto il Tao della fisica.
Purtroppo anche in questo caso vale la massima di Francis Bacon (che è stato un vero filosofo): «L’uomo crede più facilmente vero ciò che preferisce vero» e respinge «le cose difficili perché è impaziente nella ricerca». La filosofia, come hanno cercato di spiegare Paolo Rossi Monti ed Eugenio Garin, è un sapere “difficile”, nel senso che richiede una specifica preparazione, corposi studi alle spalle e una solida conoscenza della storia del pensiero scientifico e filosofico. Tutto il resto (dai libretti di istruzioni per vivere meglio, ai manuali per la ricerca della felicità), può certamente avere un valore nobile ed essere di utilità, ma non andrebbe chiamato filosofia. Non dimenticando mai l’insegnamento di colui che sicuramente è stato uno dei più grandi filosofi di sempre: «La risposta non la devi cercare fuori, perché la risposta è dentro di te... e però è sbagliata!».
L’importanza di conoscere la storia della scienza per poter parlare di scienza dovrebbe ormai essere ovvia e scontata per tutti. Eppure, sia fra gli scienziati che nel mondo della divulgazione, questa consapevolezza non si è sviluppata in maniera adeguata, anzi in certi casi si è assistito addirittura a un regresso, complice il dilagare della comunicazione sui social, che tende a stabilire la validità di un’affermazione solo sulla base di “follower” e “like”. Soprattutto non è ancora chiaro che la storia della scienza, come ogni altra disciplina, è formata da una comunità di specialisti e professionisti, comunità che dovrebbe sempre costituire il punto di riferimento privilegiato di confronto e di verifica delle affermazioni che si fanno. Invece, spesso si assiste alla diffusione di racconti storici della scienza aneddotici, caricaturali ed erronei, che non tengono in alcun conto i risultati della ricerca specialistica, né sembrano avere una minima consapevolezza dell’esistenza di tale comunità e delle sue produzioni (nel n. 45 di Query abbiamo sottolineato la straordinaria eccezione rappresentata da Pietro Greco). Ma comportarsi in questo modo non è un chiaro indice, oltre che di scarsa professionalità, di un comportamento pseudoscientifico? Tutti siamo sempre pronti a indignarci quando vediamo proposte teorie, dalla terra piatta all’omeopatia, che non rispettano i valori e i principi alla base del metodo scientifico. Per quale motivo, invece, dovremmo provare meno indignazione di fronte a clamorosi errori di tipo storico, oppure a interpretazioni storiche della scienza del tutto improponibili? Per quale motivo il parere della comunità degli specialisti non andrebbe tenuto in considerazione in questo caso? Forse si pensa che il mondo “umanistico” sia un territorio nel quale ognuno può dire liberamente la sua, a differenza di quello “scientifico”?
Un’altra cosa ovvia per tutti dovrebbe essere lo stretto legame esistente tra storia della scienza e storia della filosofia, come appunto hanno dimostrato gli studi di Paolo Rossi Monti (ovviamente, non solo i suoi) e, conseguentemente, tra scienza e filosofia, per la quale vale lo stesso discorso appena fatto per la storia: anche ciò che definiamo “filosofia” è un sapere (formato da una comunità di specialisti), che si fonda su regole e principi ben precisi. Per cui, come non ci si improvvisa scienziati o storici, non ci si improvvisa neanche filosofi. Anche in questo caso il pensiero di Paolo Rossi Monti può essere di aiuto per chiarirci le idee. In uno dei suoi libri più famosi, pubblicato nel 1986, I ragni e le formiche. Un’apologia della storia della scienza, Rossi Monti terminava la sua riflessione con un capitolo intitolato Che cosa fanno oggi i filosofi?, che mantiene intatta la sua validità e la sua attualità: «Penso alla filosofia come a un’analisi dei concetti, delle idee, delle ideologie, delle visioni del mondo, delle forme della cultura. In particolare: come un'analisi dei metodi e dei modi di pensare e ragionare che operano nelle cultura e nelle scienze. Ancora più in particolare: come un'analisi e un chiarimento delle 'filosofie' e delle 'metafisiche' che condizionano la crescita delle singole scienze e che 'nascostamente' operano al loro interno».
Paolo Rossi Monti aveva chiaro anche cosa non deve essere la filosofia: «non deve essere ciò che spesso è stata (e che quasi sempre è ancora, agli occhi dei non filosofi): una sorta di tecnica per l’edificazione morale o un’attività predicatoria, o una tecnica di copertura per operazioni ideologiche o politiche, o una forma di consolazione per le ambasce o gli affanni della vita. Contro ogni risoluzione della filosofia in politica e in ideologia, contro ogni sua dissoluzione nella quotidianità, la filosofia va pensata e praticata come un’analisi di problemi oggettivi, come qualcosa che ha a che fare con la verità. In questo senso: che, pur non essendo espressione della verità, esprime tuttavia la tensione verso la verità. La filosofia, o almeno quelle forme di essa che prediligo non è comunque psicologismo: non consiste in una generalizzazione dei propri sentimenti, opinioni, punti di vista. È qualcosa che tende a superarli, anche se non è detto che ci riesca sempre».
Si capisce come l’analisi di Rossi Monti conservi una straordinaria attualità. Infatti, ancora oggi, per molti il “filosofo” è esattamente qualcuno simile a un “sacerdote” che impartisce consigli utili a muoversi nel proprio presente, in politica e nella società, o a raggiungere non ben definite dimensioni spirituali (al pari di quanto accade nel mondo magico ed esoterico). E tutto ciò viene fatto attraverso l’uso di concetti incoerenti e di un linguaggio confuso (che ricorda quello alchemico o profetico), che agli occhi dello specialista non possono che apparire (come minimo) pseudofilosofici, così come allo scienziato appare improponibile una prova sulla terra piatta, o allo storico un racconto basato su documenti inesistenti o non collocati correttamente nel loro contesto. In sostanza, spesso i cosiddetti “filosofi” non hanno niente di diverso da tanti santoni, mistici o predicatori, i cui testi popolano gli scaffali delle librerie nei reparti “esoterismo”, “magia” e “medicine alternative”. Non basta definirsi “filosofi” per diventare automaticamente tali, così come non si assume la qualifica di “scienziati” perché disquisiamo di meccanica quantistica dopo aver letto il Tao della fisica.
Purtroppo anche in questo caso vale la massima di Francis Bacon (che è stato un vero filosofo): «L’uomo crede più facilmente vero ciò che preferisce vero» e respinge «le cose difficili perché è impaziente nella ricerca». La filosofia, come hanno cercato di spiegare Paolo Rossi Monti ed Eugenio Garin, è un sapere “difficile”, nel senso che richiede una specifica preparazione, corposi studi alle spalle e una solida conoscenza della storia del pensiero scientifico e filosofico. Tutto il resto (dai libretti di istruzioni per vivere meglio, ai manuali per la ricerca della felicità), può certamente avere un valore nobile ed essere di utilità, ma non andrebbe chiamato filosofia. Non dimenticando mai l’insegnamento di colui che sicuramente è stato uno dei più grandi filosofi di sempre: «La risposta non la devi cercare fuori, perché la risposta è dentro di te... e però è sbagliata!».
Riferimenti bibliografici
- Ciardi M. 2014. Galileo e Harry Potter. La magia può aiutare la scienza?. Roma: Carocci.
- Corsi P. 1994. Scienza, in Enciclopedia Italiana, V Appendice. (https://bit.ly/3lJ5e4c )
- Garin E. 1990. La filosofia come sapere storico. Roma-Bari: Laterza, p. 135.
- Rossi P. 1986. I ragni e le formiche. Un'apologia della storia della scienza. Bologna: Il Mulino, pp. 251-252.
- Sagan C. 1997. Il mondo infestato dai demoni. La scienza e il nuovo oscurantismo. Milano: Baldini&Castoldi.