Come possiamo elevare il livello del dibattito pubblico, rendendolo più ricettivo alla qualità degli argomenti e più aderente ai fatti? La promozione delle conoscenze scientifiche è un contributo necessario ma non sufficiente; bisogna intervenire anche sull’atteggiamento di chi partecipa alla discussione. A questo proposito, una qualità morale che negli ultimi anni ha attirato l’interesse di molti ricercatori è l’umiltà intellettuale.
La ricerca sull’umiltà intellettuale è un settore fortemente multidisciplinare, che coinvolge psicologi, epistemologi, neuroscienziati e pedagogisti e adopera strumenti analitici ed empirici. Non esiste una definizione di umiltà intellettuale condivisa da tutti questi specialisti, ma dalle differenti definizioni in uso emergono alcuni elementi comuni: ammettere i propri limiti intellettuali, essere disponibili a rivedere le proprie opinioni ed essere più interessati a conoscere la verità che ad aver ragione. Non è un comportamento spontaneo. Siamo tutti portati a sopravvalutare le nostre conoscenze e i nostri giudizi: un fenomeno che si chiama overconfidence ed è ben documentato nella letteratura scientifica e nella narrativa.
Le persone intellettualmente umili sanno che le loro convinzioni sono fallibili perché si rendono conto che le prove su cui si basano potrebbero essere errate o che loro stesse potrebbero non riuscire a valutarle correttamente. Non a caso le illusioni cognitive, le false memorie e gli errori della testimonianza sono temi di cui abbiamo parlato spesso su Query. L’umiltà intellettuale non coincide con l’umiltà in senso generale e non comporta una bassa autostima, ma è associata alla curiosità scientifica, cioè alla propensione a cercare e consultare informazioni scientifiche per piacere personale, anche quando sono in contrasto con le proprie convinzioni acquisite. Essere intellettualmente umili significa ascoltare gli altri ed essere disponibili a rivedere le proprie idee, non richiede di rinunciare alle proprie convinzioni e diventare apatici.
Qualche volta l’umiltà intellettuale può essere uno svantaggio, perché porta a riflettere e a informarsi più a lungo prima di fare una scelta e può renderci meno efficienti nel farlo, specialmente quando servono decisioni immediate. Ma in generale coloro che studiano l’umiltà intellettuale ritengono che sia una qualità da promuovere.
Per limitarsi ai temi di cui si occupa il CICAP, l’umiltà intellettuale ha molti benefici sia per i singoli individui sia per la società. A livello individuale, diversi studi mostrano che un buon livello di umiltà intellettuale migliora la capacità di riconoscere le false notizie e le teorie del complotto. Nel dibattito pubblico, quando discutiamo temi controversi e polarizzanti come il cambiamento climatico o l’energia nucleare, l’umiltà intellettuale riduce la faziosità, favorisce la tolleranza verso le opinioni diverse dalle proprie e aumenta la disponibilità al negoziato e alla ricerca di una soluzione condivisa ed efficace. Qualcuno si sente di dire che non ne abbiamo bisogno?
Una maggiore diffusione dell’umiltà intellettuale potrebbe dunque contrastare la disinformazione e migliorare la qualità della discussione politica. È possibile coltivare questo atteggiamento?
Le strategie per sviluppare l’umiltà intellettuale non sono ancora consolidate, non soltanto perché questo argomento è oggetto di ricerca da pochi anni e non sono ancora disponibili molti dati, ma anche perché l’umiltà intellettuale è rappresentata con modelli teorici differenti e a seconda di quali si ritengono le sue cause cambiano le strategie per farla crescere. Per esempio, se si pensa che un fattore chiave sia l’abilità metacognitiva (cioè la capacità di riflettere sui propri processi mentali) si cercherà di intervenire su questo aspetto; si agirà diversamente se invece si pensa che l’umiltà intellettuale dipenda soprattutto dalla curiosità scientifica.
Si possono comunque elencare a titolo di esempio alcune delle strategie in corso di valutazione. Un primo passo può essere mostrare, anche con esempi pratici, che i nostri sensi e la nostra mente, pur essendo generalmente molto efficienti, si possono ingannare facilmente in determinate condizioni e che di conseguenza la nostra percezione del mondo non coincide con la realtà (una visione che potremmo chiamare “realismo ingenuo”) ma è un’interpretazione affetta da errori sistematici.
In ambito scolastico è stata sperimentata la tecnica di organizzare tornei di previsioni e mettere gli studenti di fronte ai propri errori, per renderli consapevoli del loro eccesso di confidenza. Un’altra strategia consiste nell’insegnare a dibattere con la tecnica detta da “uomo d’acciaio”, cioè l’opposto di quella da “uomo di paglia”: presentare l’argomento dell’interlocutore nella forma migliore possibile, anche se non è esattamente quella che ha usato.
Ma accanto agli interventi sulle capacità individuali servono quelli sociali. Per molti aspetti, viviamo in una società che premia l’arroganza e l’eccesso di confidenza: basta pensare alle personalità che spesso si fanno largo in politica o negli affari. Sarebbe fondamentale invece promuovere un ambiente che valorizzi la consapevolezza di incertezza e complessità e premi la capacità di ammettere i propri errori.
Proprio la ricerca scientifica è stata il primo settore a sviluppare procedure volte direttamente o indirettamente a promuovere l’umiltà intellettuale. Per esempio, le collaborazioni interdisciplinari possono favorire l’umiltà intellettuale, perché possono spingere i ricercatori ad ammettere i limiti della propria disciplina. Anche le varie pratiche di preregistrazione che in medicina e nelle scienze sociali richiedono di dichiarare ipotesi di ricerca e metodi di uno studio sperimentale prima di eseguirlo, nascono per altre ragioni che non approfondiamo in questa sede, ma possono avere il beneficio collaterale di diffondere l’idea che gli errori e i ripensamenti facciano parte della vita quotidiana dei ricercatori e non vadano nascosti.
Più esplicitamente rivolto a promuovere la cultura dell’ammettere gli errori è il Loss of Confidence Project ideato dalla psicologa Julia Rohrer per fornire agli scienziati sociali uno spazio sicuro dove dichiarare che non credono più a loro precedenti scoperte.
Infine, l’Intellectual Humility in Public Discourse Project, finanziato dalla John Templeton Foundation, mira a comprendere meglio attraverso la ricerca scientifica gli ostacoli al dialogo costruttivo, promuovere soluzioni alla partigianeria e tradurre così la ricerca in progresso sociale e culturale.
Un atteggiamento di umiltà intellettuale è irrinunciabile per chi si riconosce nel CICAP, perché il CICAP intende proporsi come punto di riferimento per la promozione della mentalità scientifica. Proclamare in astratto i principi della scienza diventa infatti un rito vacuo se allo stesso tempo non se ne mettono in pratica i valori: questo comporta valutare il nostro operato con franchezza, accettare le critiche argomentate e riconoscere gli errori.
La ricerca sull’umiltà intellettuale è un settore fortemente multidisciplinare, che coinvolge psicologi, epistemologi, neuroscienziati e pedagogisti e adopera strumenti analitici ed empirici. Non esiste una definizione di umiltà intellettuale condivisa da tutti questi specialisti, ma dalle differenti definizioni in uso emergono alcuni elementi comuni: ammettere i propri limiti intellettuali, essere disponibili a rivedere le proprie opinioni ed essere più interessati a conoscere la verità che ad aver ragione. Non è un comportamento spontaneo. Siamo tutti portati a sopravvalutare le nostre conoscenze e i nostri giudizi: un fenomeno che si chiama overconfidence ed è ben documentato nella letteratura scientifica e nella narrativa.
Le persone intellettualmente umili sanno che le loro convinzioni sono fallibili perché si rendono conto che le prove su cui si basano potrebbero essere errate o che loro stesse potrebbero non riuscire a valutarle correttamente. Non a caso le illusioni cognitive, le false memorie e gli errori della testimonianza sono temi di cui abbiamo parlato spesso su Query. L’umiltà intellettuale non coincide con l’umiltà in senso generale e non comporta una bassa autostima, ma è associata alla curiosità scientifica, cioè alla propensione a cercare e consultare informazioni scientifiche per piacere personale, anche quando sono in contrasto con le proprie convinzioni acquisite. Essere intellettualmente umili significa ascoltare gli altri ed essere disponibili a rivedere le proprie idee, non richiede di rinunciare alle proprie convinzioni e diventare apatici.
Qualche volta l’umiltà intellettuale può essere uno svantaggio, perché porta a riflettere e a informarsi più a lungo prima di fare una scelta e può renderci meno efficienti nel farlo, specialmente quando servono decisioni immediate. Ma in generale coloro che studiano l’umiltà intellettuale ritengono che sia una qualità da promuovere.
Per limitarsi ai temi di cui si occupa il CICAP, l’umiltà intellettuale ha molti benefici sia per i singoli individui sia per la società. A livello individuale, diversi studi mostrano che un buon livello di umiltà intellettuale migliora la capacità di riconoscere le false notizie e le teorie del complotto. Nel dibattito pubblico, quando discutiamo temi controversi e polarizzanti come il cambiamento climatico o l’energia nucleare, l’umiltà intellettuale riduce la faziosità, favorisce la tolleranza verso le opinioni diverse dalle proprie e aumenta la disponibilità al negoziato e alla ricerca di una soluzione condivisa ed efficace. Qualcuno si sente di dire che non ne abbiamo bisogno?
Una maggiore diffusione dell’umiltà intellettuale potrebbe dunque contrastare la disinformazione e migliorare la qualità della discussione politica. È possibile coltivare questo atteggiamento?
Le strategie per sviluppare l’umiltà intellettuale non sono ancora consolidate, non soltanto perché questo argomento è oggetto di ricerca da pochi anni e non sono ancora disponibili molti dati, ma anche perché l’umiltà intellettuale è rappresentata con modelli teorici differenti e a seconda di quali si ritengono le sue cause cambiano le strategie per farla crescere. Per esempio, se si pensa che un fattore chiave sia l’abilità metacognitiva (cioè la capacità di riflettere sui propri processi mentali) si cercherà di intervenire su questo aspetto; si agirà diversamente se invece si pensa che l’umiltà intellettuale dipenda soprattutto dalla curiosità scientifica.
Si possono comunque elencare a titolo di esempio alcune delle strategie in corso di valutazione. Un primo passo può essere mostrare, anche con esempi pratici, che i nostri sensi e la nostra mente, pur essendo generalmente molto efficienti, si possono ingannare facilmente in determinate condizioni e che di conseguenza la nostra percezione del mondo non coincide con la realtà (una visione che potremmo chiamare “realismo ingenuo”) ma è un’interpretazione affetta da errori sistematici.
In ambito scolastico è stata sperimentata la tecnica di organizzare tornei di previsioni e mettere gli studenti di fronte ai propri errori, per renderli consapevoli del loro eccesso di confidenza. Un’altra strategia consiste nell’insegnare a dibattere con la tecnica detta da “uomo d’acciaio”, cioè l’opposto di quella da “uomo di paglia”: presentare l’argomento dell’interlocutore nella forma migliore possibile, anche se non è esattamente quella che ha usato.
Ma accanto agli interventi sulle capacità individuali servono quelli sociali. Per molti aspetti, viviamo in una società che premia l’arroganza e l’eccesso di confidenza: basta pensare alle personalità che spesso si fanno largo in politica o negli affari. Sarebbe fondamentale invece promuovere un ambiente che valorizzi la consapevolezza di incertezza e complessità e premi la capacità di ammettere i propri errori.
Proprio la ricerca scientifica è stata il primo settore a sviluppare procedure volte direttamente o indirettamente a promuovere l’umiltà intellettuale. Per esempio, le collaborazioni interdisciplinari possono favorire l’umiltà intellettuale, perché possono spingere i ricercatori ad ammettere i limiti della propria disciplina. Anche le varie pratiche di preregistrazione che in medicina e nelle scienze sociali richiedono di dichiarare ipotesi di ricerca e metodi di uno studio sperimentale prima di eseguirlo, nascono per altre ragioni che non approfondiamo in questa sede, ma possono avere il beneficio collaterale di diffondere l’idea che gli errori e i ripensamenti facciano parte della vita quotidiana dei ricercatori e non vadano nascosti.
Più esplicitamente rivolto a promuovere la cultura dell’ammettere gli errori è il Loss of Confidence Project ideato dalla psicologa Julia Rohrer per fornire agli scienziati sociali uno spazio sicuro dove dichiarare che non credono più a loro precedenti scoperte.
Infine, l’Intellectual Humility in Public Discourse Project, finanziato dalla John Templeton Foundation, mira a comprendere meglio attraverso la ricerca scientifica gli ostacoli al dialogo costruttivo, promuovere soluzioni alla partigianeria e tradurre così la ricerca in progresso sociale e culturale.
Un atteggiamento di umiltà intellettuale è irrinunciabile per chi si riconosce nel CICAP, perché il CICAP intende proporsi come punto di riferimento per la promozione della mentalità scientifica. Proclamare in astratto i principi della scienza diventa infatti un rito vacuo se allo stesso tempo non se ne mettono in pratica i valori: questo comporta valutare il nostro operato con franchezza, accettare le critiche argomentate e riconoscere gli errori.
Bibliografia
- Cubelli, R. e Della Sala, S., 2022. “I bias si spiegano, non sono spiegazioni”, in Query n. 49.
- Leary, M., 2021, “What Does Intellectual Humility Look Like?”, in Greater Good Magazine.
- Intellectual Humility - John Templeton Foundation, https://www.templeton.org/discoveries/intellectual-humility