A distanza di qualche mese dalla scomparsa di Giulio Giorello (cfr. Query n. 42), ci troviamo a piangere la perdita di un altro caro, carissimo amico, Pietro Greco, che ci ha lasciato il 18 dicembre 2020. Su Pietro, sulle sue qualità scientifiche e umane, è stato detto e scritto moltissimo in questi mesi. Chi lo conosceva non potrà non essere accompagnato, costantemente, dalla sensazione di un vuoto irreparabile e incolmabile lasciato dalla sua scomparsa. Chi invece non ha mai avuto l’occasione di incontrarlo si sarà reso conto, dai vari ricordi che gli sono stati dedicati, dello spessore di questa persona - una figura di assoluto rilievo nel panorama culturale italiano - e sicuramente rimpiangerà di non avere mai avuto la possibilità di scambiare anche solo qualche parola con lui. Ora più che mai, quindi, è necessario un impegno da parte di tutti affinché l’eredità, enorme, lasciata da Pietro non vada dimenticata e perduta.
Pietro Greco ha espresso i valori migliori del giornalismo scientifico. La sua lezione ci ha fatto capire come il giornalismo scientifico non solo possa, ma debba essere sempre volto alla comunicazione della scienza, dei suoi principi e dei suoi valori, inquadrati all’interno del complesso e sempre mutevole contesto dei rapporti tra scienza e società. Non, dunque, una semplice divulgazione, se per divulgazione si intende la semplificazione di tematiche scientifiche tecnicamente complicate. Ma un racconto della scienza, mai disgiunto dal rapporto con tutti gli altri saperi, dall’arte all’economia. E, soprattutto, senza mai trascurare un aspetto necessario e fondamentale: per effettuare una corretta comunicazione della scienza è necessario conoscere la storia della scienza. Non perché ogni volta si debbano raccontare le cose in modo storico, ma perché è da quella conoscenza che chi comunica, o fa giornalismo, riesce a farsi un’idea chiara dei temi da portare all’attenzione dell’opinione pubblica: valori, principi e metodi della scienza. Cosa che Pietro riusciva a fare in maniera mirabile. Con la pacatezza e la mitezza che lo contraddistinguevano, Pietro era al tempo stesso estremamente fermo e rigoroso nel porre sempre al centro del suo discorso tale fondamentale regola. Sia quando scriveva, che quando conduceva in radio, o durante una conferenza o un dibattito pubblico.
Spesso mi è capitato di dire a Pietro che era uno storico della scienza di alto livello. Lui, con la consueta modestia (caratteristica delle persone che in realtà ne sanno molto, e bene), mi replicava dicendo che ero troppo generoso, e che non era certo un professionista. Certamente la storia della scienza non era la sua attività professionale. Ma la sua conoscenza della materia era davvero invidiabile, basti guardare alla sua bibliografia, ricchissima di testi di impianto storico. Su tutti, i cinque volumi dedicati a La Scienza e l’Europa, i quali, partendo dal 1202, l’anno in cui Leonardo Fibonacci scrisse il Liber abaci, si dipanano, in maniera completa ed esaustiva, in un articolato percorso, sempre attento all’esame di tutte le componenti dell’impresa scientifica (teorica, sperimentale, tecnica, istituzionale, sociale, etica), fino ai giorni nostri. Un’impresa ragguardevole, che metterebbe in difficoltà qualsiasi storico della scienza professionista.
Pietro aveva ben chiaro un punto: se si vuole parlare di un argomento, bisogna mettersi a studiare quell’argomento. Se quindi si vuole parlare di storia della scienza, non è sufficiente andare a raccontare quello che si pensa di sapere (magari perché si ha una formazione scientifica), o leggere qualche articolino divulgativo, scritto da persone che non si occupano di storia della scienza in modo professionale (a questo abbiamo già dedicato vari articoli di questa rubrica). Al contrario, bisogna costruirsi un’ampia bibliografia e studiare le opere prodotte dagli specialisti del settore. Che è quello che Pietro faceva regolarmente, ogni volta che si accingeva a scrivere qualcosa. Esemplari sono, sotto questo profilo, i suoi contributi dedicati a Einstein, tutti sempre di alto livello, a partire da quelli attinenti al pacifismo dello scienziato della relatività.
È impossibile ricordare in questa sede tutti i contributi di argomento storico realizzati da Pietro Greco (ma invitiamo i lettori a fare una semplice ricerca bibliografica per rendersene conto), così come è impossibile fare un elenco di tutte le iniziative che lo hanno visto protagonista in prima persona. Voglio solo ricordare la direzione della collana “Scienza & Società”, promossa dal Centro Pristem dell’Università Bocconi di Milano, che ha proposto una serie di numeri monografici di elevatissima qualità, grazie alla capacità di Pietro di riunire intorno a sé i migliori specialisti sui diversi argomenti trattati dalla rivista, molti dei quali dedicati per l’appunto a tematiche di carattere storico.
Parlavamo dell’eredità lasciata da Pietro Greco. Se dobbiamo attenerci a ciò che abbiamo letto e sentito a partire dallo scoppio della pandemia, la sensazione è che l’insegnamento di Pietro debba ancora essere da molti ben compreso. Numerosi giornalisti, infatti, non sembrano avere gli strumenti adeguati a «parlare di scienza. Non, ovviamente, dal punto di vista tecnico (questo è un altro discorso), ma dal punto di vista dei metodi, principi e valori. Forse la conoscenza delle opere di Pietro, oltreché dei suoi numerosi interventi pubblici, potrebbe essere loro di aiuto. Al tempo stesso, anche nel complesso e variegato universo dei divulgatori e comunicatori scientifici, la lezione di Pietro Greco andrebbe posta come punto fermo della costruzione della propria professione. Troppo spesso, infatti, soprattutto in rete (ma non solo), si assiste alla produzione di contributi improvvisati sotto il profilo dell’accuratezza storica, con descrizioni dello sviluppo storico della scienza inesatte, se non a volte del tutto inventate e caricaturali. A questo proposito, non posso qui non riproporre un’affermazione di uno dei più importanti storici della filosofia e della scienza del Novecento, Paolo Rossi Monti (cfr. Query n. 9 e n. 12), secondo il quale in troppi «ritengono di poter tracciare rapide sintesi, di risolvere questioni che hanno a lungo affaticato gli storici di professione. Non sono minimamente sfiorati dal sospetto che parlare in pubblico di Galilei avendo letto un po’ del Dialogo, un po’ dei Discorsi, la monografia di Geymonat e (nei casi migliori) qualche pagina di Koyré li colloca (agli occhi degli storici di professione) nella identica posizione in cui si troverebbe uno storico che sulla base della memoria di Einstein, della parziale lettura di Sottile è il Signore e de Il signor Robinson e la relatività pretendesse di svolgere un autorevole intervento a un congresso di fisica delle particelle». E magari, aggiungo io, che molti comunicatori che parlano di Galileo avessero letto almeno i testi a cui fa riferimento Rossi. L’impressione è che sia un lavoro ritenuto troppo faticoso, e che in molti casi, ormai, conti assai di più la forma che il contenuto, con l’esclusivo scopo di ottenere maggiori consensi tra i propri followers. Del resto, dei rischi connessi alla spettacolarizzazione della scienza parlava già Marie Curie all’inizio del Novecento.
L’esempio di Pietro Greco dimostra che è possibile evitare tutto ciò. Basta agire secondo alcune regole ben precise, che poi sono le stesse regole alla base del metodo scientifico, e che anche il CICAP da molti anni sta cercando di diffondere (anche al suo interno, perché nessuno è immune dal commettere errori o può evitare di incappare negli atteggiamenti sopra evidenziati). Dunque, se si vuole affrontare un argomento di tipo storico, è necessario: 1) studiare bene il caso, cercando di capire quali sono i testi migliori e più affidabili sull’argomento; 2) confrontarsi sempre con gli storici della scienza professionisti per avere un loro parere e una loro valutazione.
Arnaldo Momigliano ha scritto: «Ogni storico serio nel dubbio consulta i colleghi, soprattutto quei colleghi che hanno fama di essere scettici e inesorabili. Dimmi che amici hai, e ti dirò che storico sei». Per me è stato un privilegio poter essere amico di Pietro Greco.
Pietro Greco ha espresso i valori migliori del giornalismo scientifico. La sua lezione ci ha fatto capire come il giornalismo scientifico non solo possa, ma debba essere sempre volto alla comunicazione della scienza, dei suoi principi e dei suoi valori, inquadrati all’interno del complesso e sempre mutevole contesto dei rapporti tra scienza e società. Non, dunque, una semplice divulgazione, se per divulgazione si intende la semplificazione di tematiche scientifiche tecnicamente complicate. Ma un racconto della scienza, mai disgiunto dal rapporto con tutti gli altri saperi, dall’arte all’economia. E, soprattutto, senza mai trascurare un aspetto necessario e fondamentale: per effettuare una corretta comunicazione della scienza è necessario conoscere la storia della scienza. Non perché ogni volta si debbano raccontare le cose in modo storico, ma perché è da quella conoscenza che chi comunica, o fa giornalismo, riesce a farsi un’idea chiara dei temi da portare all’attenzione dell’opinione pubblica: valori, principi e metodi della scienza. Cosa che Pietro riusciva a fare in maniera mirabile. Con la pacatezza e la mitezza che lo contraddistinguevano, Pietro era al tempo stesso estremamente fermo e rigoroso nel porre sempre al centro del suo discorso tale fondamentale regola. Sia quando scriveva, che quando conduceva in radio, o durante una conferenza o un dibattito pubblico.
Spesso mi è capitato di dire a Pietro che era uno storico della scienza di alto livello. Lui, con la consueta modestia (caratteristica delle persone che in realtà ne sanno molto, e bene), mi replicava dicendo che ero troppo generoso, e che non era certo un professionista. Certamente la storia della scienza non era la sua attività professionale. Ma la sua conoscenza della materia era davvero invidiabile, basti guardare alla sua bibliografia, ricchissima di testi di impianto storico. Su tutti, i cinque volumi dedicati a La Scienza e l’Europa, i quali, partendo dal 1202, l’anno in cui Leonardo Fibonacci scrisse il Liber abaci, si dipanano, in maniera completa ed esaustiva, in un articolato percorso, sempre attento all’esame di tutte le componenti dell’impresa scientifica (teorica, sperimentale, tecnica, istituzionale, sociale, etica), fino ai giorni nostri. Un’impresa ragguardevole, che metterebbe in difficoltà qualsiasi storico della scienza professionista.
Pietro aveva ben chiaro un punto: se si vuole parlare di un argomento, bisogna mettersi a studiare quell’argomento. Se quindi si vuole parlare di storia della scienza, non è sufficiente andare a raccontare quello che si pensa di sapere (magari perché si ha una formazione scientifica), o leggere qualche articolino divulgativo, scritto da persone che non si occupano di storia della scienza in modo professionale (a questo abbiamo già dedicato vari articoli di questa rubrica). Al contrario, bisogna costruirsi un’ampia bibliografia e studiare le opere prodotte dagli specialisti del settore. Che è quello che Pietro faceva regolarmente, ogni volta che si accingeva a scrivere qualcosa. Esemplari sono, sotto questo profilo, i suoi contributi dedicati a Einstein, tutti sempre di alto livello, a partire da quelli attinenti al pacifismo dello scienziato della relatività.
È impossibile ricordare in questa sede tutti i contributi di argomento storico realizzati da Pietro Greco (ma invitiamo i lettori a fare una semplice ricerca bibliografica per rendersene conto), così come è impossibile fare un elenco di tutte le iniziative che lo hanno visto protagonista in prima persona. Voglio solo ricordare la direzione della collana “Scienza & Società”, promossa dal Centro Pristem dell’Università Bocconi di Milano, che ha proposto una serie di numeri monografici di elevatissima qualità, grazie alla capacità di Pietro di riunire intorno a sé i migliori specialisti sui diversi argomenti trattati dalla rivista, molti dei quali dedicati per l’appunto a tematiche di carattere storico.
Parlavamo dell’eredità lasciata da Pietro Greco. Se dobbiamo attenerci a ciò che abbiamo letto e sentito a partire dallo scoppio della pandemia, la sensazione è che l’insegnamento di Pietro debba ancora essere da molti ben compreso. Numerosi giornalisti, infatti, non sembrano avere gli strumenti adeguati a «parlare di scienza. Non, ovviamente, dal punto di vista tecnico (questo è un altro discorso), ma dal punto di vista dei metodi, principi e valori. Forse la conoscenza delle opere di Pietro, oltreché dei suoi numerosi interventi pubblici, potrebbe essere loro di aiuto. Al tempo stesso, anche nel complesso e variegato universo dei divulgatori e comunicatori scientifici, la lezione di Pietro Greco andrebbe posta come punto fermo della costruzione della propria professione. Troppo spesso, infatti, soprattutto in rete (ma non solo), si assiste alla produzione di contributi improvvisati sotto il profilo dell’accuratezza storica, con descrizioni dello sviluppo storico della scienza inesatte, se non a volte del tutto inventate e caricaturali. A questo proposito, non posso qui non riproporre un’affermazione di uno dei più importanti storici della filosofia e della scienza del Novecento, Paolo Rossi Monti (cfr. Query n. 9 e n. 12), secondo il quale in troppi «ritengono di poter tracciare rapide sintesi, di risolvere questioni che hanno a lungo affaticato gli storici di professione. Non sono minimamente sfiorati dal sospetto che parlare in pubblico di Galilei avendo letto un po’ del Dialogo, un po’ dei Discorsi, la monografia di Geymonat e (nei casi migliori) qualche pagina di Koyré li colloca (agli occhi degli storici di professione) nella identica posizione in cui si troverebbe uno storico che sulla base della memoria di Einstein, della parziale lettura di Sottile è il Signore e de Il signor Robinson e la relatività pretendesse di svolgere un autorevole intervento a un congresso di fisica delle particelle». E magari, aggiungo io, che molti comunicatori che parlano di Galileo avessero letto almeno i testi a cui fa riferimento Rossi. L’impressione è che sia un lavoro ritenuto troppo faticoso, e che in molti casi, ormai, conti assai di più la forma che il contenuto, con l’esclusivo scopo di ottenere maggiori consensi tra i propri followers. Del resto, dei rischi connessi alla spettacolarizzazione della scienza parlava già Marie Curie all’inizio del Novecento.
L’esempio di Pietro Greco dimostra che è possibile evitare tutto ciò. Basta agire secondo alcune regole ben precise, che poi sono le stesse regole alla base del metodo scientifico, e che anche il CICAP da molti anni sta cercando di diffondere (anche al suo interno, perché nessuno è immune dal commettere errori o può evitare di incappare negli atteggiamenti sopra evidenziati). Dunque, se si vuole affrontare un argomento di tipo storico, è necessario: 1) studiare bene il caso, cercando di capire quali sono i testi migliori e più affidabili sull’argomento; 2) confrontarsi sempre con gli storici della scienza professionisti per avere un loro parere e una loro valutazione.
Arnaldo Momigliano ha scritto: «Ogni storico serio nel dubbio consulta i colleghi, soprattutto quei colleghi che hanno fama di essere scettici e inesorabili. Dimmi che amici hai, e ti dirò che storico sei». Per me è stato un privilegio poter essere amico di Pietro Greco.
Riferimenti bibliografici
- Greco, P. 2012. Einstein aveva ragione. Mezzo secolo d'impegno per la Scienza. Milano: Scienza Express.
- Id. 2014-2019. La scienza e l'Europa. Vol. 1: Dalle origini al XIII secolo; Vol. 2: Il Rinascimento; Vol. 3: Dal Seicento all'Ottocento; Vol. 4: Il primo Novecento; Vol. 5: Dal secondo dopoguerra a oggi. Roma: L'Asino d'oro.
- Id. 2020. Homo. Arte e Scienza. Roma: Di Renzo Editore.
- Momigliano, A. 1974. Le regole del gioco nello studio della storia antica, in Storia e storiografia antica. Bologna: Il Mulino, 1987, pp. 15-24.
- Rossi, P. 1999. Un altro presente. Bologna: Il Mulino, pp. 134-135.