Dopo la scomparsa di Giulio Giorello, ho letto molti ricordi a lui dedicati. Uno dei migliori è senz’altro quello di Vincenzo Barone, che compare nelle pagine di questo numero di Query . Ringrazio sentitamente Enzo per avere accettato di scriverlo.
Io vorrei contribuire alla memoria del nostro grande studioso (e amico) sottolineando soltanto uno tra i molti suoi meriti. Giulio era anche un ottimo storico della scienza e delle idee.
Tale merito gli è stato riconosciuto da uno dei maestri del Novecento in questo settore, Paolo Rossi Monti (il cui nome ricorre spesso in questa rubrica e al quale è stato dedicato il primo numero di “Parastoria”, su Query n. 9, ormai otto anni fa). Recensendo uno dei tanti bellissimi libri di Giorello, Prometeo, Ulisse, Gilgameš. Figure del Mito (2004), Rossi scriveva: «Giorello è stato, da giovane, allievo di Ludovico Geymonat. Insegna (e si è prevalentemente occupato di) filosofia della scienza. Attualmente è anche Presidente della Società Italiana di logica e filosofia delle scienze. Come il suo libro dimostra, non solo utilizza una grandissima quantità e varietà di testi, ma anche conosce come pochi (e minutamente) la storia e i luoghi dell’Inghilterra e, più ancora, dell’Irlanda. Giorello è del tutto consapevole del fatto che il suo libro è una sorta di labirinto. Dentro quel labirinto (che ha una struttura geometrica) egli conduce (a volte trascina) il lettore. Le avventure di idee hanno la strana (per alcuni insopportabile) caratteristica di essere un po’ avventurose: di portare molto lontano dall’idea che la filosofia abbia il compito di mettere ordine nel mondo, di trasformarlo (come diceva il mio antico maestro Antonio Banfi) in “una linda casetta”. Una parte consistente della filosofia italiana sembra impegnata a confrontare accuratamente fra loro i testi di cinque o sei rispettabili filosofi di lingua inglese, a commentarli, a commentare i risultati del confronto, a polemizzare con gli altri commentatori tentando, nel più dei casi, arzigogolate mediazioni fra tesi contrapposte. Di una cosa non mi pare lecito dubitare: Giulio Giorello non fa parte della vasta, soporifera e innocua schiera degli oscuri e instancabili “roditori accademici”».[1]
L’espressione “roditori accademici” era un rimando a quanto scritto sul tema da Paul K. Feyerabend,[2] un pensatore con cui Rossi ha spesso polemizzato, ma per il quale nutriva profonda stima.[3] E che anche Giorello, non a caso, come ha ricordato Barone, ben conosceva. Sua la prefazione all’edizione italiana di Against method. Outline of an anarchistic theory of knowledge, edito in originale nel 1975, e pubblicato da Feltrinelli nel 1979.[4]
Rossi citava spesso, con orgoglio, che il suo libro che compendiava decenni di ricerche sui rapporti tra scienza e magia, Il tempo dei maghi. Rinascimento e modernità (2006), fosse uscito nella collana “Scienza e idee” diretta da Giorello per Raffello Cortina.[5] Perché sapeva quanto Giulio avesse chiaro cosa significasse fare storia della scienza, come ricordava nell’analisi del libro di Enrico Bellone, Molte nature. Saggio sull’evoluzione culturale (2008): «La parola chiave del processo storico – come nota Giulio Giorello nella brillante prefazione che ha scritto per questo libro – è imprevedibilità. Accade infatti spesso nel presente (ed è accaduto spesso nel passato) che gli scienziati siano stati costretti a “vedere” cose diverse da quelle che avrebbero invece dovuto scorgere sulla base delle proprie credenze personali».[6]
Come ci ha ricordato Barone, Giulio Giorello era laureato sia in filosofia che in matematica. Per questo motivo, come aveva presente Paolo Rossi, Giorello non ha mai pensato che il semplice fatto di essere scienziati equivalga, per coloro che svolgono tale professione, ad una autorizzazione «a parlare di testi che non hanno letto, a prendere posizioni su questioni che non conoscono, ad esprimere opinioni su problemi che non hanno mai avvicinato».[7] Del resto, già oltre un secolo fa il matematico Paul Tannery, uno dei padri fondatori della storia della scienza come disciplina specifica, affermava che «per essere un buono storico non basta essere scienziato. Bisogna prima di tutto volersi dedicare alla storia, cioè averne il gusto; bisogna sviluppare in sé il senso storico che è essenzialmente differente da quello scientifico; bisogna infine acquisire una serie di conoscenze particolari, di ausilio indispensabile per lo storico, che sono invece del tutto inutili allo scienziato che si interessa solo al progresso della scienza».[8] Anche per questo, Giorello era un fautore delle collaborazioni. Come quella (tra le innumervoli) con il fisico Elio Sindoni, che ha portato alla realizzazione dell’affascinante Un mondo di mondi. Alla ricerca della vita intelligente nell’Universo (2016), dove Giulio, nella parte storica di sua competenza, mostra (anche in questo caso) una conoscenza approfondita e raffinata degli argomenti trattati. Mostrando, ad esempio, in nome di quella “imprevedibilità” alla quale si accennava poco fa, come il “romanziere” Jules Verne avesse, sul tema dell'abitabilità dei mondi, idee molto più chiare e precise dello “scienziato” Camille Flammarion.[9]
Del rapporto tra “le due culture” Giorello ha sempre preso il meglio (non dimentichiamo che il celebre testo di Charles P. Snow sull’argomento fu introdotto in Italia dalla prefazione di Ludovico Geymonat). Ed era consapevole del ruolo decisivo della scuola nello sviluppare un processo di apprendimento diverso rispetto a quello tradizionale: «C’è soprattutto da vincere la scommessa circa “l’avvenire delle nostre scuole”, come direbbe Friedrich Nietzsche. Chi guarda attentamente alle grandi svolte del pensiero scientifico e alla stessa innovazione tecnologica non può non constatare come gli aspetti più creativi abbiano travolto qualsiasi steccato disciplinare. Valeva ieri per le dottrine di Copernico o per quelle di Darwin, vale oggi per le frontiere della cosmologia o per quelle della biologia, per non dire dell’informatica e dell’alta tecnologia. Potremmo dilungarci su non pochi esempi di virtuose contaminazioni nelle scienze come nelle lettere. Ma ci limitiamo qui a ricordare che la separazione delle culture è l’effetto più deplorevole dell’atteggiamento che concepisce le acquisizioni dell’avventura umana come entità fisse, sospese nel cielo platonico delle idee.»[10] Perciò Giulio (sempre utilizzando le parole di Paolo Rossi) provava «una invincibile ripugnanza» per «gli elenchi di scoperte e di ritrovamenti tecnici, per le sfilate di risultati eternamente veri e di errori eternamente falsi».[11] Ancora Giorello: «Cosa c’è di meglio per qualsiasi creazione dello spirito umano che venire utilizzata, contestata, magari stravolta in un dibattito (come è appunto quello scientifico), in cui in linea di principio nessuna opinione è immune da critica o revisione? L’ospitalità che la scienza offre a qualsiasi “straniero” (ricordiamoci delle parole di Milton) è di questo tipo. Non c’è miglior rispetto che quello che prende forma nelle modalità del conflitto».[12] Grazie di tutto, Giulio
Io vorrei contribuire alla memoria del nostro grande studioso (e amico) sottolineando soltanto uno tra i molti suoi meriti. Giulio era anche un ottimo storico della scienza e delle idee.
Tale merito gli è stato riconosciuto da uno dei maestri del Novecento in questo settore, Paolo Rossi Monti (il cui nome ricorre spesso in questa rubrica e al quale è stato dedicato il primo numero di “Parastoria”, su Query n. 9, ormai otto anni fa). Recensendo uno dei tanti bellissimi libri di Giorello, Prometeo, Ulisse, Gilgameš. Figure del Mito (2004), Rossi scriveva: «Giorello è stato, da giovane, allievo di Ludovico Geymonat. Insegna (e si è prevalentemente occupato di) filosofia della scienza. Attualmente è anche Presidente della Società Italiana di logica e filosofia delle scienze. Come il suo libro dimostra, non solo utilizza una grandissima quantità e varietà di testi, ma anche conosce come pochi (e minutamente) la storia e i luoghi dell’Inghilterra e, più ancora, dell’Irlanda. Giorello è del tutto consapevole del fatto che il suo libro è una sorta di labirinto. Dentro quel labirinto (che ha una struttura geometrica) egli conduce (a volte trascina) il lettore. Le avventure di idee hanno la strana (per alcuni insopportabile) caratteristica di essere un po’ avventurose: di portare molto lontano dall’idea che la filosofia abbia il compito di mettere ordine nel mondo, di trasformarlo (come diceva il mio antico maestro Antonio Banfi) in “una linda casetta”. Una parte consistente della filosofia italiana sembra impegnata a confrontare accuratamente fra loro i testi di cinque o sei rispettabili filosofi di lingua inglese, a commentarli, a commentare i risultati del confronto, a polemizzare con gli altri commentatori tentando, nel più dei casi, arzigogolate mediazioni fra tesi contrapposte. Di una cosa non mi pare lecito dubitare: Giulio Giorello non fa parte della vasta, soporifera e innocua schiera degli oscuri e instancabili “roditori accademici”».[1]
L’espressione “roditori accademici” era un rimando a quanto scritto sul tema da Paul K. Feyerabend,[2] un pensatore con cui Rossi ha spesso polemizzato, ma per il quale nutriva profonda stima.[3] E che anche Giorello, non a caso, come ha ricordato Barone, ben conosceva. Sua la prefazione all’edizione italiana di Against method. Outline of an anarchistic theory of knowledge, edito in originale nel 1975, e pubblicato da Feltrinelli nel 1979.[4]
Rossi citava spesso, con orgoglio, che il suo libro che compendiava decenni di ricerche sui rapporti tra scienza e magia, Il tempo dei maghi. Rinascimento e modernità (2006), fosse uscito nella collana “Scienza e idee” diretta da Giorello per Raffello Cortina.[5] Perché sapeva quanto Giulio avesse chiaro cosa significasse fare storia della scienza, come ricordava nell’analisi del libro di Enrico Bellone, Molte nature. Saggio sull’evoluzione culturale (2008): «La parola chiave del processo storico – come nota Giulio Giorello nella brillante prefazione che ha scritto per questo libro – è imprevedibilità. Accade infatti spesso nel presente (ed è accaduto spesso nel passato) che gli scienziati siano stati costretti a “vedere” cose diverse da quelle che avrebbero invece dovuto scorgere sulla base delle proprie credenze personali».[6]
Come ci ha ricordato Barone, Giulio Giorello era laureato sia in filosofia che in matematica. Per questo motivo, come aveva presente Paolo Rossi, Giorello non ha mai pensato che il semplice fatto di essere scienziati equivalga, per coloro che svolgono tale professione, ad una autorizzazione «a parlare di testi che non hanno letto, a prendere posizioni su questioni che non conoscono, ad esprimere opinioni su problemi che non hanno mai avvicinato».[7] Del resto, già oltre un secolo fa il matematico Paul Tannery, uno dei padri fondatori della storia della scienza come disciplina specifica, affermava che «per essere un buono storico non basta essere scienziato. Bisogna prima di tutto volersi dedicare alla storia, cioè averne il gusto; bisogna sviluppare in sé il senso storico che è essenzialmente differente da quello scientifico; bisogna infine acquisire una serie di conoscenze particolari, di ausilio indispensabile per lo storico, che sono invece del tutto inutili allo scienziato che si interessa solo al progresso della scienza».[8] Anche per questo, Giorello era un fautore delle collaborazioni. Come quella (tra le innumervoli) con il fisico Elio Sindoni, che ha portato alla realizzazione dell’affascinante Un mondo di mondi. Alla ricerca della vita intelligente nell’Universo (2016), dove Giulio, nella parte storica di sua competenza, mostra (anche in questo caso) una conoscenza approfondita e raffinata degli argomenti trattati. Mostrando, ad esempio, in nome di quella “imprevedibilità” alla quale si accennava poco fa, come il “romanziere” Jules Verne avesse, sul tema dell'abitabilità dei mondi, idee molto più chiare e precise dello “scienziato” Camille Flammarion.[9]
Del rapporto tra “le due culture” Giorello ha sempre preso il meglio (non dimentichiamo che il celebre testo di Charles P. Snow sull’argomento fu introdotto in Italia dalla prefazione di Ludovico Geymonat). Ed era consapevole del ruolo decisivo della scuola nello sviluppare un processo di apprendimento diverso rispetto a quello tradizionale: «C’è soprattutto da vincere la scommessa circa “l’avvenire delle nostre scuole”, come direbbe Friedrich Nietzsche. Chi guarda attentamente alle grandi svolte del pensiero scientifico e alla stessa innovazione tecnologica non può non constatare come gli aspetti più creativi abbiano travolto qualsiasi steccato disciplinare. Valeva ieri per le dottrine di Copernico o per quelle di Darwin, vale oggi per le frontiere della cosmologia o per quelle della biologia, per non dire dell’informatica e dell’alta tecnologia. Potremmo dilungarci su non pochi esempi di virtuose contaminazioni nelle scienze come nelle lettere. Ma ci limitiamo qui a ricordare che la separazione delle culture è l’effetto più deplorevole dell’atteggiamento che concepisce le acquisizioni dell’avventura umana come entità fisse, sospese nel cielo platonico delle idee.»[10] Perciò Giulio (sempre utilizzando le parole di Paolo Rossi) provava «una invincibile ripugnanza» per «gli elenchi di scoperte e di ritrovamenti tecnici, per le sfilate di risultati eternamente veri e di errori eternamente falsi».[11] Ancora Giorello: «Cosa c’è di meglio per qualsiasi creazione dello spirito umano che venire utilizzata, contestata, magari stravolta in un dibattito (come è appunto quello scientifico), in cui in linea di principio nessuna opinione è immune da critica o revisione? L’ospitalità che la scienza offre a qualsiasi “straniero” (ricordiamoci delle parole di Milton) è di questo tipo. Non c’è miglior rispetto che quello che prende forma nelle modalità del conflitto».[12] Grazie di tutto, Giulio
Note
1) P. Rossi. 2018. A mio non modesto parere. Le recensioni sul “Sole-24 ore”, a cura di R. Bondì e M. Rossi Monti. Bologna: Il Mulino, pp. 224-225.
2) P.K. Feyerabend. 1981. La scienza in una società libera. Feltrinelli: Milano, p. 213.
3) P. Rossi. 1999. Paul K. Feyerabend: un ricordo e una riflessione, in Un altro presente. Saggi sulla storia della filosofia. Bologna: Il Mulino, pp. 161-167.
4) P.K. Feyerabend. 1979. Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza (1975). Prefazione di G. Giorello. Milano: Feltrinelli.
5) Cfr. ad esempio, P. Rossi. 2018. A mio non modesto parere, cit., p. 259.
6) Ivi, p. 389.
7) P. Rossi. 1999. Ci sono molti Galilei? in Un altro presente, cit. p. 134.
8) P. Tannery. 1904. De l'histoire générale des sciences, in “Revue de Synthèse”, 7, n. 12, p. 3.
9) G. Giorello. 2016. Flammarion, lo “scienziato”, sconfitto da Verne, il romanziere, in Un mondo di mondi. Alla ricerca della vita intelligente nell'Universo. Milano: Raffaello Cortina Editore, pp. 62-68.
10) G. Giorello. 2005. Per una Repubblica delle Scienze e delle Lettere, in Le due culture, a cura di A. Lanni. Venezia: Marsilio, pp. 116-117.
11) P. Rossi. 1967. Considerazioni conclusive, in Atti del Convegno sui problemi metodologici di storia della scienza. Firenze: Barbera, p. 182.
12) G. Giorello. 2005. Per una Repubblica delle Scienze e delle Lettere, cit., p. 118.