«Nel 2009, quando ho iniziato ad acquisire manoscritti e manufatti biblici per quello che alla fine avrebbe formato la raccolta del Museo della Bibbia, sapevo poco del mondo del collezionismo». Inizia così Steve Green, il presidente della catena Hobby Lobby Stores e il patron della collezione Green, in un comunicato che lo scorso 26 marzo è stato diffuso dal Museum of the Bible (MOTB) di Washington, D.C., museo fondato e presieduto dallo stesso Green, noto per le sue convinzioni religiose evangelicali. Il comunicato prosegue in questo modo: «È risaputo che mi fidavo delle persone sbagliate per guidarmi, e in quei primi anni ho trattato inconsapevolmente con fornitori senza scrupoli. Una cosa in cui ho fallito è stato non tenere conto dell'importanza della provenienza degli oggetti che acquistavo».[1] Qualche tempo fa, in un articolo intitolato Di frammenti, di collezionisti e di autenticità (Query 36), avevamo raccontato dei turbamenti che stavano scuotendo un particolare sottocampo dello studio degli importantissimi manoscritti (contenenti testi religiosi - biblici, ma non solo - risalenti al medio-giudaismo), rinvenuti a Qumran, sul Mar Morto, fra il 1947 e il 1956: quello delle ricerche su un discreto gruppo di presunti frammenti dei Rotoli del Mar Morto apparsi sul mercato antiquario dopo il 2002. Frammenti che, spesso, erano stati acquistati da collezionisti europei e statunitensi - come Green - disposti a spendere cifre folli per possedere un pezzettino di un antico manoscritto biblico, o comunque legato alla storia dell'ebraismo intorno ai tempi della predicazione di Gesù.
Per riassumere quanto allora avevamo presentato: nel 2016, in due distinti volumi, era stata pubblicata parte dei frammenti acquistati dalla collezione norvegese Schøyen e dal sopra ricordato Museum of the Bible. Poco dopo, con un articolo sulla rivista Dead Sea Discoveries, i curatori dell'edizione Schøyen (insieme ad altri autori) spiegavano di aver deciso di escludere dalla pubblicazione nove frammenti perché avevano il sospetto, che giudicavano rilevante, che si trattasse di falsi contemporanei; aggiungevano poi di dubitare dell'autenticità di un buon numero dei nuovi frammenti e che anche una parte di quelli da loro pubblicati poteva essere falsa.
Nel mentre, sul Web, erano sollevati forti dubbi anche sui frammenti del MOTB. Come raccontavamo, il museo aveva allora deciso di far effettuare una serie di test che avevano dato ragione ai critici: sette di quei frammenti erano con certezza o con alta probabilità dei falsi. Visti i dubbi, anche un'altra istituzione di matrice evangelicale, questa volta educativa, il Southwestern Baptist Theological Seminary (di Fort Worth, in Texas) aveva a quel punto fatto esaminare i suoi, con risultati inconcludenti.
Sono passati due anni e alcune novità, come il comunicato stampa citato all'inizio, rendono necessario tornare sull'argomento.
Per chiarire una volta per tutte lo status dei sedici frammenti (di cui tredici pubblicati nel volume citato) dei Rotoli del Mar Morto acquistati da Green tra il 2009 e il 2014 da quattro diversi venditori (mercanti internazionali o privati collezionisti), all'inizio del 2019 il MOTB ha chiesto a un'azienda specializzata nelle frodi in campo artistico, la Art Fraud Insights, fondata e diretta da Colette Loll, di esaminarli. Il lungo rapporto finale (200 pagine) è stato consegnato lo scorso novembre: «[d]opo un'esaustiva revisione di tutti i risultati delle analisi per immagini e scientifiche, è conclusione unanime dell'Advisory Team che nessuno dei frammenti testuali nella collezione del Rotoli del Mar Morto del Museum of the Bible è autentico. Inoltre, ciascuno di essi presenta caratteristiche che suggeriscono che siano falsi deliberati creati nel Ventesimo secolo con l'intento di imitare i frammenti autentici dei Rotoli del Mar Morto».[2]
Resa pubblica la cosa a marzo, è presto arrivato anche un comunicato stampa del Southwestern Baptist Theological Seminary, che come abbiamo visto è una delle altre istituzioni statunitensi ad essere in possesso di frammenti “problematici”: nel testo si dice che la nuova dirigenza, in carica dall'inizio del 2019, ha sempre avuto poca fiducia nell'autenticità dei frammenti acquistati da una precedente gestione del seminario, valutazione che usciva rinforzata dai risultati del museo di Washington, perché il materiale ha una provenienza simile: «[s]aremmo lieti di un'indagine indipendente sui frammenti del seminario, sebbene l'istituzione non sia in grado di finanziare tale sforzo. E, dato che sono state spese notevoli risorse istituzionali per l'acquisizione e la promozione dei probabili frammenti fraudolenti, non è prudente per il seminario spendere ulteriori preziosi fondi su di essi».[3]
Nei mesi precedenti la consegna del rapporto, il MOTB era anche finito implicato in un'altra vicenda: si è scoperto che un certo numero (circa 120, ad oggi) di “papiri di Ossirinco”, dal nome greco della località egiziana di el-Bahnasa dove a cavallo fra il XIX e il XX secolo furono recuperati in un'antica discarica un mezzo milione di frammenti di papiro (e, in misura minore, di pergamena) manoscritti, era stato sottratto al legittimo proprietario, la britannica Egypt Exploration Society (EES) ed era finito sul mercato antiquario. Almeno tredici di questi, di argomento biblico o connesso, erano finiti nella collezione del museo di Washington. Altri 6 frammenti erano invece finiti in un'altra collezione privata USA. In entrambi i casi l'EES ha ritenuto che gli acquisti fossero avvenuti in buona fede e ha ottenuto che il materiale le venisse restituito. Le ricerche proseguono per ritrovare gli altri papiri scomparsi.[4]
Le due vicende che abbiamo ricordato, però, erano solo implicite nel comunicato stampa di Green che abbiamo citato all'inizio. Questo, infatti, è dovuto a un'altra storia di materiale raccolto in modo non troppo scrupoloso: nella sua collezione il MOTB ha infatti identificato, si dice nel testo, “circa 5000 frammenti di papiro e 6500 oggetti in argilla con [informazioni] di provenienza insufficienti” e stava lavorando per consegnarli, rispettivamente, all'Egitto e all'Iraq.
È da tempo che alcuni studiosi del Vicino Oriente Antico lanciano allarmi sul pericolo «che un numero crescente di contraffazioni siano accettate nei set di dati su cui basiamo la nostra conoscenza del mondo antico» (come ricordava Arstein Justnes, dell'Università di Agder in Norvegia, in un passaggio di un'intervista che avevamo citato su Query 27 in relazione al cosiddetto “Vangelo della moglie di Gesù”), oppure che si perda il contesto archeologico di un manufatto o di un documento illecitamente scavato o sottratto. «Il modo migliore per i collezionisti e le istituzioni di difendersi dall'inganno, che è costoso sia in termini economici che di reputazione» ha chiosato Colette Loll in un intervento sulla National Review «è quello di insistere su una solida documentazione di provenienza, cioè di sapere esattamente da dove proviene un artefatto o un'opera d'arte. Richiedere firme originali leggibili, informazioni di contatto complete per i precedenti proprietari e la verifica di tutte le dichiarazioni dei venditori su chi possedeva l'arte o il manufatto sono solo alcuni dei passi necessari per garantire che un oggetto abbia una solida provenienza e un titolo legittimo e che sia stato legalmente esportato dal paese di origine».[5] Chissà che quanto accaduto non serva a qualcuno per aprire gli occhi.
Per riassumere quanto allora avevamo presentato: nel 2016, in due distinti volumi, era stata pubblicata parte dei frammenti acquistati dalla collezione norvegese Schøyen e dal sopra ricordato Museum of the Bible. Poco dopo, con un articolo sulla rivista Dead Sea Discoveries, i curatori dell'edizione Schøyen (insieme ad altri autori) spiegavano di aver deciso di escludere dalla pubblicazione nove frammenti perché avevano il sospetto, che giudicavano rilevante, che si trattasse di falsi contemporanei; aggiungevano poi di dubitare dell'autenticità di un buon numero dei nuovi frammenti e che anche una parte di quelli da loro pubblicati poteva essere falsa.
Nel mentre, sul Web, erano sollevati forti dubbi anche sui frammenti del MOTB. Come raccontavamo, il museo aveva allora deciso di far effettuare una serie di test che avevano dato ragione ai critici: sette di quei frammenti erano con certezza o con alta probabilità dei falsi. Visti i dubbi, anche un'altra istituzione di matrice evangelicale, questa volta educativa, il Southwestern Baptist Theological Seminary (di Fort Worth, in Texas) aveva a quel punto fatto esaminare i suoi, con risultati inconcludenti.
Sono passati due anni e alcune novità, come il comunicato stampa citato all'inizio, rendono necessario tornare sull'argomento.
Per chiarire una volta per tutte lo status dei sedici frammenti (di cui tredici pubblicati nel volume citato) dei Rotoli del Mar Morto acquistati da Green tra il 2009 e il 2014 da quattro diversi venditori (mercanti internazionali o privati collezionisti), all'inizio del 2019 il MOTB ha chiesto a un'azienda specializzata nelle frodi in campo artistico, la Art Fraud Insights, fondata e diretta da Colette Loll, di esaminarli. Il lungo rapporto finale (200 pagine) è stato consegnato lo scorso novembre: «[d]opo un'esaustiva revisione di tutti i risultati delle analisi per immagini e scientifiche, è conclusione unanime dell'Advisory Team che nessuno dei frammenti testuali nella collezione del Rotoli del Mar Morto del Museum of the Bible è autentico. Inoltre, ciascuno di essi presenta caratteristiche che suggeriscono che siano falsi deliberati creati nel Ventesimo secolo con l'intento di imitare i frammenti autentici dei Rotoli del Mar Morto».[2]
Resa pubblica la cosa a marzo, è presto arrivato anche un comunicato stampa del Southwestern Baptist Theological Seminary, che come abbiamo visto è una delle altre istituzioni statunitensi ad essere in possesso di frammenti “problematici”: nel testo si dice che la nuova dirigenza, in carica dall'inizio del 2019, ha sempre avuto poca fiducia nell'autenticità dei frammenti acquistati da una precedente gestione del seminario, valutazione che usciva rinforzata dai risultati del museo di Washington, perché il materiale ha una provenienza simile: «[s]aremmo lieti di un'indagine indipendente sui frammenti del seminario, sebbene l'istituzione non sia in grado di finanziare tale sforzo. E, dato che sono state spese notevoli risorse istituzionali per l'acquisizione e la promozione dei probabili frammenti fraudolenti, non è prudente per il seminario spendere ulteriori preziosi fondi su di essi».[3]
Nei mesi precedenti la consegna del rapporto, il MOTB era anche finito implicato in un'altra vicenda: si è scoperto che un certo numero (circa 120, ad oggi) di “papiri di Ossirinco”, dal nome greco della località egiziana di el-Bahnasa dove a cavallo fra il XIX e il XX secolo furono recuperati in un'antica discarica un mezzo milione di frammenti di papiro (e, in misura minore, di pergamena) manoscritti, era stato sottratto al legittimo proprietario, la britannica Egypt Exploration Society (EES) ed era finito sul mercato antiquario. Almeno tredici di questi, di argomento biblico o connesso, erano finiti nella collezione del museo di Washington. Altri 6 frammenti erano invece finiti in un'altra collezione privata USA. In entrambi i casi l'EES ha ritenuto che gli acquisti fossero avvenuti in buona fede e ha ottenuto che il materiale le venisse restituito. Le ricerche proseguono per ritrovare gli altri papiri scomparsi.[4]
Le due vicende che abbiamo ricordato, però, erano solo implicite nel comunicato stampa di Green che abbiamo citato all'inizio. Questo, infatti, è dovuto a un'altra storia di materiale raccolto in modo non troppo scrupoloso: nella sua collezione il MOTB ha infatti identificato, si dice nel testo, “circa 5000 frammenti di papiro e 6500 oggetti in argilla con [informazioni] di provenienza insufficienti” e stava lavorando per consegnarli, rispettivamente, all'Egitto e all'Iraq.
È da tempo che alcuni studiosi del Vicino Oriente Antico lanciano allarmi sul pericolo «che un numero crescente di contraffazioni siano accettate nei set di dati su cui basiamo la nostra conoscenza del mondo antico» (come ricordava Arstein Justnes, dell'Università di Agder in Norvegia, in un passaggio di un'intervista che avevamo citato su Query 27 in relazione al cosiddetto “Vangelo della moglie di Gesù”), oppure che si perda il contesto archeologico di un manufatto o di un documento illecitamente scavato o sottratto. «Il modo migliore per i collezionisti e le istituzioni di difendersi dall'inganno, che è costoso sia in termini economici che di reputazione» ha chiosato Colette Loll in un intervento sulla National Review «è quello di insistere su una solida documentazione di provenienza, cioè di sapere esattamente da dove proviene un artefatto o un'opera d'arte. Richiedere firme originali leggibili, informazioni di contatto complete per i precedenti proprietari e la verifica di tutte le dichiarazioni dei venditori su chi possedeva l'arte o il manufatto sono solo alcuni dei passi necessari per garantire che un oggetto abbia una solida provenienza e un titolo legittimo e che sia stato legalmente esportato dal paese di origine».[5] Chissà che quanto accaduto non serva a qualcuno per aprire gli occhi.
Note
2) Museum of the Bible Dead Sea Scroll Collection Scientific Research and Analysis. Final Report, ArtFraudInsights, November 2019, disponibile all'url https://bit.ly/3gB0wjU
5) Loll, C. 2020. Ask Museum of the Bible: The Truth Shall Set You Free. “National Review”, 28 marzo, disponibile all'url https://bit.ly/38vjuFG