La cappella di Nostra Signora Maria di Sion di Axum, in Etiopia, dove sarebbe conservata l’Arca dell’Alleanza © JensiS65/Wikimedia/CC BY-SA 3.0
Costruita in legno d’acacia e oro puro per contenere i Dieci Comandamenti incisi sulla pietra da Dio e consegnati a Mosè, l’Arca dell’Alleanza è citata per la prima volta nell’Antico Testamento. Gli ebrei la trasportano di peso nel corso del loro peregrinare nel deserto, fino a depositarla dentro il Tempio di Salomone a Gerusalemme. Secondo la tradizione, l’Arca, in quanto manifestazione fisica di Dio, sarebbe stata dotata di un potere straordinario, capace di provocare disastri e infliggere sconfitte ai nemici degli ebrei. È grazie all’Arca che le acque del Giordano si separano per fare passare gli ebrei e che le mura di Gerico crollano per permettere loro di conquistare la città.
Il racconto biblico vuole l’Arca scomparire in cielo: «Allora si aprì il tempio di Dio nel cielo e apparve nel tempio l’Arca dell’Alleanza». Tuttavia, chi è convinto che l’Arca sia davvero esistita crede anche che sia tuttora nascosta sulla Terra. Dove?
Stando all’interpretazione comune degli storici biblici l’Arca sarebbe andata distrutta nel 587 a.C., quando i Babilonesi conquistarono Gerusalemme e distrussero il Tempio. Non tutti, però, accettano questa interpretazione. C’è chi pensa che l’arca sia stata sottratta dal Tempio prima dell’arrivo dei Babilonesi. Nel Secondo Libro delle Cronache si legge: «L’anno quinto del regno di Roboamo a.C. Sesac, Re d’Egitto I, della XIII Dinastia marciò contro Gerusalemme… e portò via i tesori del tempio del Signore. Portò via ogni cosa, anche gli scudi d’oro lasciati da Salomone». E se portò via ogni cosa, se ne deduce, avrà portato via anche l’Arca. Questa è l’ipotesi de I predatori dell’Arca perduta, il film che ha reso celebre la figura dell’archeologo avventuriero Indiana Jones. Al tempo di Soshenq, la capitale dell’Egitto era Bubasti, sul delta del Nilo, accanto alla quale sorgeva Tanis. Ed è lì che Jones ritrova l’arca.
Per altri, sarebbero stati i Cavalieri Templari a prelevare l’Arca, convenientemente nascosta in un sotterraneo del tempio di Salomone, per trasportarla in un altro luogo segreto. Più intrigante e concreta è la scoperta fatta dall’archeologo James Bruce intorno al 1760. Bruce, pioniere dell’esplorazione africana, rinvenne un documento dal quale si desumeva un possibile legame tra l’Etiopia e gli ebrei. Stando a quei testi, l’etiope regina di Saba avrebbe avuto un figlio da re Salomone che fu chiamato Menelik. Secondo la leggenda, intorno al 950 a.C. Menelik rubò l’Arca dal Tempio e la portò in Etiopia.
Questa notizia rimase una curiosità poco nota finché, circa negli anni '90 del secolo scorso, il giornalista Graham Hancock decise di indagare più a fondo. In Etiopia, e più precisamente ad Axum, infatti, esiste un tempio in cui si dice sarebbe conservata l’Arca. Hancock condusse le sue ricerche per due anni, ma le sue conclusioni sono deludenti. Al termine del viaggio, infatti, si ritrova a scambiare quattro chiacchiere con il guardiano del tempio di Axum che però gli impedisce l’ingresso: nessuno oltre al guardiano può vedere l’Arca. E, dunque, l’unica prova della sua esistenza resta la parola del guardiano. Nessuno sa che cosa contenga il tempio, nemmeno se ospiti una copia rifatta sulla base delle indicazioni bibliche.
Tuttavia, è possibile che considerare l’Arca un oggetto reale sia semplicemente un errore. «Mi sembra che ci sia una sproporzione enorme tra quello che è il fatto storico e la narrazione che se ne fa» osserva Gianantonio Borgonovo, docente di Esegesi del Primo Testamento alla Facoltà teologica dell’Università Cattolica di Milano. «Ogni narrazione, cioè, deve avere un aggancio storico, che però qui è difficile da trovare. Voglio dire che quando c’era l’Arca non se ne parlava, ora che non c’è più se ne parla».
Dell’Arca, infatti, non scrive nessun contemporaneo, se si esclude il profeta Geremia, ma il suo testo è stato riveduto e corretto almeno un secolo dopo, quando il Tempio era già stato distrutto. Un altro contemporaneo, Ezechiele, avrebbe potuto parlare dell’Arca e invece non lo fa. Nei testi biblici, infatti, l’Arca compare solamente dopo che il primo Tempio di Salomone è stato distrutto e l’Arca è sparita.
Ancora Borgonovo: «Probabilmente non c’è mai stato nel tempio di Gerusalemme un oggetto chiamato Arca. È solo un’immagine carica di simboli che, non a caso, diventa in seguito oggetto di riferimento per tutta la tradizione cristiana, quello che contiene una copia delle tavole, della manna e del bastone di Aronne. Perché scegliere proprio l’Arca come simbolo? Probabilmente dipende dalle origini egiziane della tradizione israelitica. Non a caso, fu Tutankhamon, nel XIV secolo a.C. a realizzare la più bella descrizione esistente dell’Arca».
Sulle pareti istoriate del colonnato del palazzo di Ramses II che si estende verso est, a Luxor, si trova infatti una raffigurazione simbolica della festa di Apet, ricorrenza che annunciava il culmine della piena del Nilo. Sul muro si nota un disegno che sembra rappresentare un’arca, sollevata a spalla mediante aste di trasporto da un gruppo di sacerdoti. Ed è una vera e propria imbarcazione in miniatura, sorretta da portantini, come da contesto biblico.
Il legame tra la festa di Apet e l’Arca dell’Alleanza è evidente se si pensa al fatto che gli Egizi usavano portare gli dei in processione all’interno di quei modellini di imbarcazione sostenuti dagli uomini per mezzo di doghe. Durante la festa di Apet, quindi, le “arche” contenevano piccole riproduzioni di pietra delle divinità del pantheon egizio, proprio come, in parallelo, l’Arca degli Ebrei conteneva le tavole di pietra, il simbolo del Dio d’Israele.
MASSIMO POLIDORO è il segretario nazionale del CICAP. Il suo ultimo libro si intitola La scienza dell’incredibile (Feltrinelli) ed è in TV a Noos con Alberto Angela per parlare di bufale e disinformazione.