Duecento chilometri a sud di Lima, in Perù, la valle di Chincha è un’oasi fertile in un ambiente altrimenti arido. Qui, tra il 1000 e il 1400, fiorì la cultura Chincha, un regno prospero basato sull’agricoltura, la pesca e il commercio. Seppellivano i morti in tombe chiamate chullpas, grandi monumenti funerari che potevano ospitare centinaia di corpi. Nel XV secolo, il regno di Chincha venne incorporato nell’impero Inca, anche se mantenne un certo grado di autonomia: fino all’arrivo dei conquistadores spagnoli, diede origine a un sistema politico ibrido che garantiva il potere sia alle élite Chincha sia a quelle Inca.
Tra i misteri che questa civiltà ci ha lasciato c’è sicuramente quello delle vertebre umane impilate su canne. In molti chullpas e sepolture singole, si trovano infatti scheletri con la spina dorsale “trafitta” per tutta la sua lunghezza da pali di legno. Si trattava di manipolazioni dei cadaveri avvenute al momento della sepoltura, oppure di una realizzazione avvenuta in tempi successivi? E a quale scopo? Negli anni sono state avanzate diverse ipotesi sui motivi delle manipolazioni: dall’idea che si trattasse di un sistema per il trasporto dei resti a quella che avessero scopo cerimoniale, al vandalismo, fino alla teoria per la quale i corpi così trattati sarebbero stati considerati trofei o simboli di un particolare status sociale.
Ora, grazie a uno studio pubblicato a febbraio 2022 su Antiquity[1], è possibile formulare ipotesi più precise. Primo autore dell’articolo è Jacob Bongers, ricercatore presso la University of East Anglia (Inghilterra), che si interessa della cultura Chincha fin dalla sua tesi di dottorato. Insieme ad altri archeologi, ha documentato 192 esempi di vertebre su pali, trovate insieme ad altre ossa e occasionalmente ad altri manufatti. In questo modo, è stato possibile effettuare il primo studio sistematico di questi reperti, e mettere qualche punto fermo.
Tanto per cominciare, si tratta in genere di ossa di adulti, anche se in un sesto dei casi i reperti provengono da individui di età inferiore a 20 anni; non ci sono segni di taglio, e le ossa sembrano essere state impilate quando i corpi erano ormai scheletrizzati. Ogni palo porta su di sé 4-10 vertebre; in qualche caso, queste sono state disposte nell’ordine sbagliato. In un solo reperto Bongers ha notato la presenza di ossa provenienti da due individui diversi, un giovane e un adulto; il più delle volte, però, sembrano appartenere alla spina dorsale di un’unica persona. La datazione al radiocarbonio di nove vertebre, scelte tra i campioni raccolti, ha restituito un intervallo compreso tra il 1520 e il 1550; i pali, invece, risalgono a un periodo successivo, fra il 1550 e il 1590 circa. È evidente quindi che le ossa sono state infilate sui bastoncini molti anni dopo la sepoltura degli individui ai quali appartenevano.
Questa misteriosa manipolazione dei corpi risale dunque al periodo in cui gli spagnoli arrivarono nella valle e devastarono la cultura Chincha. Carestie ed epidemie colpirono la popolazione locale, che diminuì inesorabilmente: nel 1533, c’erano oltre 30.000 capifamiglia; nel 1583, ne erano rimasti solo 979. I conquistadores attuarono anche una politica di repressione durissima nei confronti delle usanze e tradizioni Chincha; molti monumenti funerari furono distrutti e saccheggiati, in parte per cercare ricchezze al loro interno, in parte per estinguere l’“idolatria” rappresentata dal culto dei morti. Nel XVI secolo, il cronista peruviano Pedro Cieza de León afferma che «c’era un numero enorme di tombe in questa valle, sulle colline e nelle lande desolate. Molte di esse furono aperte dagli spagnoli, che portarono via ingenti somme d’oro».
L’ipotesi di Bongers è che le vertebre infilate sui pali fossero una risposta a queste distruzioni: un modo per ricomporre i resti dei corpi spostati e disarticolati dai conquistadores.
L’integrità fisica dei morti era importante in parecchie popolazioni andine, compresa quella dei vicini Chinchorro, che mummificavano i loro defunti. Quando i saccheggiatori entrarono nei chullpas e sparsero le ossa dei defunti, i Chincha decisero forse di “riparare” gli scheletri dei loro antenati, raccolsero le vertebre e ricomposero le spine dorsali, deponendole poi nuovamente all’interno delle tombe. «[Questa pratica] ci parla di un impegno a lungo termine con i morti», ha spiegato Bongers[2]. Fornisce ulteriori indizi sulla loro idea del corpo e su come reagirono alla soppressione della loro cultura.
Il fatto che il sistema sia stato utilizzato in maniera così estesa e in siti funerari impiegati da comunità differenti suggerisce infine che ci sia stata una risposta collettiva alle devastazioni: più gruppi interagirono per ricomporre i loro morti, nel periodo più triste e turbolento della storia dei Chincha.
Tra i misteri che questa civiltà ci ha lasciato c’è sicuramente quello delle vertebre umane impilate su canne. In molti chullpas e sepolture singole, si trovano infatti scheletri con la spina dorsale “trafitta” per tutta la sua lunghezza da pali di legno. Si trattava di manipolazioni dei cadaveri avvenute al momento della sepoltura, oppure di una realizzazione avvenuta in tempi successivi? E a quale scopo? Negli anni sono state avanzate diverse ipotesi sui motivi delle manipolazioni: dall’idea che si trattasse di un sistema per il trasporto dei resti a quella che avessero scopo cerimoniale, al vandalismo, fino alla teoria per la quale i corpi così trattati sarebbero stati considerati trofei o simboli di un particolare status sociale.
Ora, grazie a uno studio pubblicato a febbraio 2022 su Antiquity[1], è possibile formulare ipotesi più precise. Primo autore dell’articolo è Jacob Bongers, ricercatore presso la University of East Anglia (Inghilterra), che si interessa della cultura Chincha fin dalla sua tesi di dottorato. Insieme ad altri archeologi, ha documentato 192 esempi di vertebre su pali, trovate insieme ad altre ossa e occasionalmente ad altri manufatti. In questo modo, è stato possibile effettuare il primo studio sistematico di questi reperti, e mettere qualche punto fermo.
Tanto per cominciare, si tratta in genere di ossa di adulti, anche se in un sesto dei casi i reperti provengono da individui di età inferiore a 20 anni; non ci sono segni di taglio, e le ossa sembrano essere state impilate quando i corpi erano ormai scheletrizzati. Ogni palo porta su di sé 4-10 vertebre; in qualche caso, queste sono state disposte nell’ordine sbagliato. In un solo reperto Bongers ha notato la presenza di ossa provenienti da due individui diversi, un giovane e un adulto; il più delle volte, però, sembrano appartenere alla spina dorsale di un’unica persona. La datazione al radiocarbonio di nove vertebre, scelte tra i campioni raccolti, ha restituito un intervallo compreso tra il 1520 e il 1550; i pali, invece, risalgono a un periodo successivo, fra il 1550 e il 1590 circa. È evidente quindi che le ossa sono state infilate sui bastoncini molti anni dopo la sepoltura degli individui ai quali appartenevano.
Questa misteriosa manipolazione dei corpi risale dunque al periodo in cui gli spagnoli arrivarono nella valle e devastarono la cultura Chincha. Carestie ed epidemie colpirono la popolazione locale, che diminuì inesorabilmente: nel 1533, c’erano oltre 30.000 capifamiglia; nel 1583, ne erano rimasti solo 979. I conquistadores attuarono anche una politica di repressione durissima nei confronti delle usanze e tradizioni Chincha; molti monumenti funerari furono distrutti e saccheggiati, in parte per cercare ricchezze al loro interno, in parte per estinguere l’“idolatria” rappresentata dal culto dei morti. Nel XVI secolo, il cronista peruviano Pedro Cieza de León afferma che «c’era un numero enorme di tombe in questa valle, sulle colline e nelle lande desolate. Molte di esse furono aperte dagli spagnoli, che portarono via ingenti somme d’oro».
L’ipotesi di Bongers è che le vertebre infilate sui pali fossero una risposta a queste distruzioni: un modo per ricomporre i resti dei corpi spostati e disarticolati dai conquistadores.
L’integrità fisica dei morti era importante in parecchie popolazioni andine, compresa quella dei vicini Chinchorro, che mummificavano i loro defunti. Quando i saccheggiatori entrarono nei chullpas e sparsero le ossa dei defunti, i Chincha decisero forse di “riparare” gli scheletri dei loro antenati, raccolsero le vertebre e ricomposero le spine dorsali, deponendole poi nuovamente all’interno delle tombe. «[Questa pratica] ci parla di un impegno a lungo termine con i morti», ha spiegato Bongers[2]. Fornisce ulteriori indizi sulla loro idea del corpo e su come reagirono alla soppressione della loro cultura.
Il fatto che il sistema sia stato utilizzato in maniera così estesa e in siti funerari impiegati da comunità differenti suggerisce infine che ci sia stata una risposta collettiva alle devastazioni: più gruppi interagirono per ricomporre i loro morti, nel periodo più triste e turbolento della storia dei Chincha.
Note
1) Bongers, J., Mejía, J., Harper, T., & Seidensticker, S. “Assembling the dead: Human vertebrae-on-posts in the Chincha Valley, Peru”. Antiquity, 2022. https://tinyurl.com/bdhxaucc
2) Metcalfe, Tom. “Archaeologists seek out mystery behind 500-year-old spines on sticks”, National Geographic, 2 febbraio 2022, https://tinyurl.com/yrxfdp7k