Nell’estate 2018 i media italiani hanno dedicato ampio spazio alla vincita della medaglia Fields da parte del giovane matematico italiano Alessio Figalli. Il prestigioso riconoscimento (spesso considerato il “premio Nobel della matematica”) non veniva assegnato a un italiano da ben 44 anni (nel 1978, infatti, venne assegnato a Enrico Bombieri).
Il nostro Paese ha sicuramente fornito al mondo grandi matematici (tanto per ricordarne alcuni: Leonardo Pisano detto il Fibonacci, Joseph-Louis Lagrange (Giuseppe Luigi Lagrangia), Tullio Levi Civita, Eugenio Beltrami, Gregorio Ricci Curbastro, Giuseppe Peano, Ennio De Giorgi, Enrico Giusti e diversi altri). Tuttavia il livello medio di cultura matematica nel nostro Paese lascia piuttosto a desiderare. Lo confermano le posizioni, non proprio lusinghiere, che i nostri studenti raggiungono nelle classifiche internazionali riguardanti la mathematical literacy, ovvero le competenze matematiche[1].
Questo basso livello di competenze nel nostro Paese è spesso accompagnato da una vera e propria avversione emotiva nei confronti della matematica. A chi non è capitato di conoscere persone che ricordano con orrore le ore di matematica trascorse a scuola o che esclamano «Io di matematica non ho mai capito nulla»? Un recente studio[2] ha confermato che l’ansia per la matematica è un fenomeno piuttosto diffuso e ha anche cercato di comprenderne l’origine.
I ricercatori del Centre for Neuroscience in Education dell’Università di Cambridge hanno sottoposto ben 2.700 studenti inglesi e italiani (delle scuole primarie e secondarie) a questionari, finalizzati alla valutazione di quale fosse il loro livello di ansia nei confronti della matematica.
Lo studio è nato in seguito alla constatazione che negli ultimi anni il livello di alfabetizzazione funzionale degli adulti in età lavorativa del Regno Unito è progressivamente aumentato. Ma, contemporaneamente, le competenze matematiche degli stessi sono diminuite. La percentuale di adulti che hanno raggiunto competenze matematiche equivalenti al grado C del GCSE (Certificato Generale di Educazione Secondaria) è infatti passata dal 26% nel 2003 al 22% nel 2011. Si tratta di percentuali molto basse, tenendo conto che quella di chi ha raggiunto l’analogo livello di alfabetizzazione funzionale è del 57%.
Lo studio ha fatto emergere che molti individui avvertono sensazioni di ansia, apprensione, tensione o disagio quando devono affrontare un problema matematico[3]. In certi casi si tratta di “emozioni negative travolgenti” che vanno “dalla rabbia alla disperazione”. Altre sensazioni provocate dalla matematica includono anche sintomi fisici quali palpitazioni al cuore e mancanza di fiato.
Tutte queste manifestazioni hanno un’origine prettamente emotiva[4] e non sono necessariamente legate alle difficoltà cognitive incontrate nella risoluzione del problema. Lo studio ha infatti evidenziato che l’ansia non colpisce solamente gli studenti che hanno carenze, ma anche quelli “bravi” che ottengono buoni risultati e voti alti. È vero però che l’ansia può incidere negativamente sulle prestazioni. E questo potrebbe almeno in parte spiegare il basso livello di competenze matematiche nella popolazione.
Lo studio ha inoltre dimostrato che l’atteggiamento ansiogeno nei confronti della matematica è in buona parte acquisito. Il processo di apprendimento è inevitabilmente carico di implicazioni emotive e nell’età evolutiva i ragazzi sono particolarmente sensibili a questo aspetto. Se chi insegna matematica o chi segue i ragazzi nello studio a casa ha già di per sé un atteggiamento negativo nei confronti della disciplina, esiste un’elevata probabilità che tale atteggiamento venga trasmesso. A conferma di ciò, lo studio evidenzia anche che l’ansia nei confronti della matematica è maggiore per le femmine che per i maschi. E questo può sicuramente essere interpretato in riferimento agli stereotipi di genere che considerano le femmine meno portate per la matematica rispetto ai maschi. Stereotipi che naturalmente non hanno alcuna base oggettiva.
Può sembrare strano che un insegnante possa avere atteggiamenti negativi nei confronti della materia che insegna. Ma, almeno nel nostro Paese, questo non è così infrequente. Spesso infatti, almeno fino alle scuole secondarie di primo grado, chi insegna matematica ha una laurea in un’altra disciplina e gli esami di matematica (di solito piuttosto pochi) che ha sostenuto all’università sono stati superati talvolta con non poca fatica. Il discorso ovviamente vale anche per altre discipline.
Lo studio di Cambridge ha messo ancora una volta in evidenza il ruolo fondamentale che le emozioni hanno nei processi di apprendimento. Questo non vale naturalmente solo per la matematica, ma per qualsiasi altra disciplina. Se ciascuno di noi ricorda la propria vita di studente, si renderà facilmente conto di come certi insegnanti riuscivano a far amare la propria materia, mentre altri purtroppo sortivano il risultato diametralmente opposto. Questo evidentemente non riguarda i contenuti e le caratteristiche delle singole discipline, ma solamente la capacità dell’insegnante di suscitare emozioni piacevoli durante la propria attività didattica.
Allargando il discorso, lo stesso vale per la divulgazione scientifica. Se si vuole far sì che il pubblico si avvicini alla scienza e non abbia nei suoi confronti un atteggiamento di paura e diffidenza, occorre attuare una comunicazione che susciti emozioni positive. L’atteggiamento cattedratico e paternalistico di coloro che si presentano come depositari della verità e che si rivolgono con supponenza a chi invece non la possiede non va evidentemente in questa direzione.
Il ruolo delle emozioni, infine, può far comprendere perché le pseudoscienze godano di ampia popolarità. Esse infatti hanno un fortissimo impatto emotivo, molto spesso nettamente superiore a quello delle vere scienze.
La leggenda di Babbo Natale suscita emozioni piacevoli mentre, come ha detto qualcuno, affermare che Babbo Natale non esiste è una brutta notizia. Una buona didattica e una buona divulgazione devono impegnarsi affinché anche la dimostrazione della non esistenza di Babbo Natale diventi emotivamente stimolante. Questa è la sfida che i bravi insegnanti e i bravi divulgatori devono saper cogliere.
Il nostro Paese ha sicuramente fornito al mondo grandi matematici (tanto per ricordarne alcuni: Leonardo Pisano detto il Fibonacci, Joseph-Louis Lagrange (Giuseppe Luigi Lagrangia), Tullio Levi Civita, Eugenio Beltrami, Gregorio Ricci Curbastro, Giuseppe Peano, Ennio De Giorgi, Enrico Giusti e diversi altri). Tuttavia il livello medio di cultura matematica nel nostro Paese lascia piuttosto a desiderare. Lo confermano le posizioni, non proprio lusinghiere, che i nostri studenti raggiungono nelle classifiche internazionali riguardanti la mathematical literacy, ovvero le competenze matematiche[1].
Questo basso livello di competenze nel nostro Paese è spesso accompagnato da una vera e propria avversione emotiva nei confronti della matematica. A chi non è capitato di conoscere persone che ricordano con orrore le ore di matematica trascorse a scuola o che esclamano «Io di matematica non ho mai capito nulla»? Un recente studio[2] ha confermato che l’ansia per la matematica è un fenomeno piuttosto diffuso e ha anche cercato di comprenderne l’origine.
I ricercatori del Centre for Neuroscience in Education dell’Università di Cambridge hanno sottoposto ben 2.700 studenti inglesi e italiani (delle scuole primarie e secondarie) a questionari, finalizzati alla valutazione di quale fosse il loro livello di ansia nei confronti della matematica.
Lo studio è nato in seguito alla constatazione che negli ultimi anni il livello di alfabetizzazione funzionale degli adulti in età lavorativa del Regno Unito è progressivamente aumentato. Ma, contemporaneamente, le competenze matematiche degli stessi sono diminuite. La percentuale di adulti che hanno raggiunto competenze matematiche equivalenti al grado C del GCSE (Certificato Generale di Educazione Secondaria) è infatti passata dal 26% nel 2003 al 22% nel 2011. Si tratta di percentuali molto basse, tenendo conto che quella di chi ha raggiunto l’analogo livello di alfabetizzazione funzionale è del 57%.
Lo studio ha fatto emergere che molti individui avvertono sensazioni di ansia, apprensione, tensione o disagio quando devono affrontare un problema matematico[3]. In certi casi si tratta di “emozioni negative travolgenti” che vanno “dalla rabbia alla disperazione”. Altre sensazioni provocate dalla matematica includono anche sintomi fisici quali palpitazioni al cuore e mancanza di fiato.
Tutte queste manifestazioni hanno un’origine prettamente emotiva[4] e non sono necessariamente legate alle difficoltà cognitive incontrate nella risoluzione del problema. Lo studio ha infatti evidenziato che l’ansia non colpisce solamente gli studenti che hanno carenze, ma anche quelli “bravi” che ottengono buoni risultati e voti alti. È vero però che l’ansia può incidere negativamente sulle prestazioni. E questo potrebbe almeno in parte spiegare il basso livello di competenze matematiche nella popolazione.
Lo studio ha inoltre dimostrato che l’atteggiamento ansiogeno nei confronti della matematica è in buona parte acquisito. Il processo di apprendimento è inevitabilmente carico di implicazioni emotive e nell’età evolutiva i ragazzi sono particolarmente sensibili a questo aspetto. Se chi insegna matematica o chi segue i ragazzi nello studio a casa ha già di per sé un atteggiamento negativo nei confronti della disciplina, esiste un’elevata probabilità che tale atteggiamento venga trasmesso. A conferma di ciò, lo studio evidenzia anche che l’ansia nei confronti della matematica è maggiore per le femmine che per i maschi. E questo può sicuramente essere interpretato in riferimento agli stereotipi di genere che considerano le femmine meno portate per la matematica rispetto ai maschi. Stereotipi che naturalmente non hanno alcuna base oggettiva.
Può sembrare strano che un insegnante possa avere atteggiamenti negativi nei confronti della materia che insegna. Ma, almeno nel nostro Paese, questo non è così infrequente. Spesso infatti, almeno fino alle scuole secondarie di primo grado, chi insegna matematica ha una laurea in un’altra disciplina e gli esami di matematica (di solito piuttosto pochi) che ha sostenuto all’università sono stati superati talvolta con non poca fatica. Il discorso ovviamente vale anche per altre discipline.
Lo studio di Cambridge ha messo ancora una volta in evidenza il ruolo fondamentale che le emozioni hanno nei processi di apprendimento. Questo non vale naturalmente solo per la matematica, ma per qualsiasi altra disciplina. Se ciascuno di noi ricorda la propria vita di studente, si renderà facilmente conto di come certi insegnanti riuscivano a far amare la propria materia, mentre altri purtroppo sortivano il risultato diametralmente opposto. Questo evidentemente non riguarda i contenuti e le caratteristiche delle singole discipline, ma solamente la capacità dell’insegnante di suscitare emozioni piacevoli durante la propria attività didattica.
Allargando il discorso, lo stesso vale per la divulgazione scientifica. Se si vuole far sì che il pubblico si avvicini alla scienza e non abbia nei suoi confronti un atteggiamento di paura e diffidenza, occorre attuare una comunicazione che susciti emozioni positive. L’atteggiamento cattedratico e paternalistico di coloro che si presentano come depositari della verità e che si rivolgono con supponenza a chi invece non la possiede non va evidentemente in questa direzione.
Il ruolo delle emozioni, infine, può far comprendere perché le pseudoscienze godano di ampia popolarità. Esse infatti hanno un fortissimo impatto emotivo, molto spesso nettamente superiore a quello delle vere scienze.
La leggenda di Babbo Natale suscita emozioni piacevoli mentre, come ha detto qualcuno, affermare che Babbo Natale non esiste è una brutta notizia. Una buona didattica e una buona divulgazione devono impegnarsi affinché anche la dimostrazione della non esistenza di Babbo Natale diventi emotivamente stimolante. Questa è la sfida che i bravi insegnanti e i bravi divulgatori devono saper cogliere.
Note
1) Ci si riferisce ai dati OCSE-PISA (Programme for International Student Assessment). Si veda: http://www.oecd.org/pisa/ .
2) E. Carey, A. Devine, F. Hill, A. Dowker, R. McLellan, D. Szucs, “Understanding Mathematics Anxiety: Investigating the experiences of UK primary and secondary school students”, Centre for Neuroscience in Education, University of Cambridge, 2019: https://doi.org/10.17863/CAM.37744 .
3) F.C. Richardson, R.M. Suinn, “The Mathematics Anxiety Rating Scale: Psychometric data”, Journal of Counseling Psychology, 19(6), 551-554, 1972.
4) M.H. Ashcraft, J.A. Krause, “Working memory, math performance and math anxiety”, Psychonomic Bulletin & Review, 14(2), 243-248, 2007.