Di frammenti, di collezionisti e di autenticità

image
Un paio di anni fa, con Sofia Lincos abbiamo scritto su Query di un falso contemporaneo che ha fatto parlare di sé nel campo di studi della letteratura cristiana delle origini, il cosiddetto Vangelo della moglie di Gesù[1]. Sta ora esplodendo un problema simile, questa volta però legato ai “Rotoli del Mar Morto”.

Fra il 1947 e il 1956, nelle grotte intorno Qumran, una località della Cisgiordania sulla riva occidentale del Mar Morto, nel deserto della Giudea, dopo una scoperta casuale, furono recuperati una serie di manoscritti che la maggior parte degli studiosi ritiene essere attribuibile ad una comunità di una forma particolare del medio giudaismo, quella essena. Scritti in ebraico, aramaico e (in minima parte) in greco, risalgono a prima del 70 e.v. e si possono suddividere in testi biblici, testi non canonici (come Enoch) e testi “settariani”, cioè relativi alle regole e alle dottrine della comunità stessa. Si tratta di documentazione di estrema importanza per chi si occupa di critica testuale della Bibbia ebraica e per gli storici e gli studiosi di letteratura del medio giudaismo (il periodo fra il III secolo a.e.v. e il II e.v.), conservata principalmente presso l’Israel Museum di Gerusalemme.

I problemi nascono all’inizio del XXI secolo, quando, sul mercato antiquario, iniziano ad apparire una serie di presunti frammenti di rotoli del Mar Morto che vengono presto contesi a prezzi altissimi da collezionisti privati e istituzioni accademiche. È il caso, ad esempio, della raccolta dell’uomo d’affari norvegese Martin Schøyen (1940), oppure di quella del cristiano evangelicale americano Steve Green, il presidente della catena commerciale Hobby Lobby, che nel 2009 inizia a collezionare manoscritti biblici e altro materiale vicino-orientale. Altri frammenti saranno invece acquistati da un’università privata californiana, l’Azusa Pacific University, anch’essa di ispirazione evangelicale o dal Southwestern Baptist Theological Seminary in Texas[2].

Quando però alcuni di questi frammenti finiscono sotto gli occhi degli specialisti, iniziano a sorgere sospetti, per anomalie paleografiche, scribali e testuali.

Nel 2016 è pubblicata, rispettivamente da Bloomsbury e Brill, una parte di quelli delle collezioni Schøyen e del Museum of the Bible di Washington (che sarà inaugurato l’anno successivo): finanziato da Green, aveva all’epoca nelle proprie collezioni tredici frammenti, compresi quelli acquistati dall’americano. A curare i due volumi sono biblisti importanti: Torleif Elgvin (NLA University, Bergen, Norvegia), Kipp Davis (Trinity Western University, Langley, in British Columbia) e Michael Langlois (Université de Strasbourg) per Schøyen[3]; Emanuel Tov (Hebrew University di Gerusalemme), lo stesso Davis e Robert Duke (Azusa Pacific University) per il museo[4]. In entrambi i casi, leggendo i volumi in controluce, si possono notare accenni a stranezze in alcuni dei materiali presentati. Non abbastanza, però, in quello della Brill, per accontentare i più critici: ad esempio Årstein Justnes dell’università norvegese di Agder che in un intervento su The Lying Pen of Scribes ha stigmatizzato l’assenza di una discussione approfondita delle questioni della provenienza e della contraffazione[5].

Alla fine dello scorso anno Davis e colleghi (fra i quali Justnes, Elgvin e Langlois), in un lungo articolo pubblicato sulla rivista accademica Dead Sea Discoveries, hanno spiegato che dal volume sulla collezione Schøyen erano stati esclusi altri nove frammenti perché i sospetti erano estremamente rilevanti, e che, per loro, ci si trovava di fronte a dei falsi contemporanei. Gli autori, in effetti, «continuano a provare dubbi sull’autenticità di un buon numero» dei frammenti apparsi sul mercato dopo il 2002 e chiariscono che «anche un certo numero» di quelli editi nel volume del 2016 di Elgvin et al. e altrove «potrebbero essere non autentici»[6].

Nell’intervento prima citato, poi, Justnes diceva che lui, Elgvin e Langlois pensavano che tutti i frammenti pubblicati nel volume di Tov fossero contraffazioni. E una conferma, seppure per ora solo parziale, è giunta qualche settimana dopo: il 22 ottobre, infatti, il Museo della Bibbia ha annunciato con un comunicato stampa che cinque dei frammenti in suo possesso, sottoposti ad una serie di test, nell’aprile 2017, presso il tedesco Bundesanstalt für Materialforschung und -prüfung (BAM, dove erano stati esaminati anche alcuni di quelli oggetto dell’articolo di Davis et al.), «avevano mostrato caratteristiche incoerenti con un’origine antica e quindi non sarebbero più stati esposti al museo» (dove, peraltro, fin dall’inizio la didascalia segnalava che erano controversi). Davis stesso, citato nel comunicato, aggiungeva altri due frammenti fra quelli che avevano un’alta probabilità di essere dei falsi moderni, portando il totale a 7[7].

Fra gli evangelicali USA, che hanno speso ingenti quantità di denaro per l’acquisto di quelli che apparivano essere parte dei Rotoli del Mar Morto, ora serpeggia la paura di essere rimasti vittima di una truffa, come ha raccontato Daniel Burke per la CNN[8]. Duke, qui nella sua qualità di decano della scuola di Teologia dell’Azusa Pacific University, ha dichiarato che il suo istituto sta pensando di far testare dal BAM i frammenti in suo possesso. Il Southwestern Baptist Theological Seminary lo ha già fatto: degli otto campioni inviati, tre hanno dato risultati non conclusivi, e rimangono in attesa di nuovi test. Non è detto che tutti i frammenti “recenti” siano dei falsi. Ma l’idea di possedere un pezzo di un’antica Bibbia ha fatto chiudere entrambi gli occhi a troppe persone: «è stato il terreno fertile che ha reso non solo facile ma estremamente redditizio vendere falsi frammenti dei Rotoli del Mar Morto» ha chiosato Burke Kipp Davis, aggiungendo che «la mia speranza è che ciò spinga queste istituzioni ad affrontare tali questioni con un occhio più critico».

Note

1) Labanti, R. & Lincos, S. 2017. Il vangelo della moglie di Gesù. “Query” n. 27, disponibile all’url https://bit.ly/2PGjs2t .
2) Justnes, Å. 2016-2018. List of Unprovenanced, Post-2002 Dead Sea Scrolls-like Fragments. “The Lying Pen of Scribes”, disponibile all'url https://bit.ly/2EpIssQ .
3) Elgvin, T., Davis, K. & Langlois, M. (a cura di). 2016. Gleanings from the caves. Dead sea scrolls and artefacts from the Schøyen Collection. London/New York: Bloomsbury T&T Clark.
4) Tov, E., Davis, K. & Duke, R. (a cura di). 2016. Dead Sea Scrolls Fragments in the Museum Collection. Leiden/Boston: Brill.
5) Justnes, Å. 2018, 20 settembre. “Troubling anomalies”, and elements that raise “questions”, “suspicions”, and “concerns” in Dead Sea Scrolls Fragments in the Museum Collection (Brill, 2016). “The Lying Pen of Scribes”, disponibile all'url https://bit.ly/2CihEcH.
6) Davis, K. et al. 2017. Nine Dubious “Dead Sea Scrolls” Fragments from the Twenty-First Century. "Dead Sea Discoveries", vol. 24, n. 2, pp. 189-228.
7) Museum of the Bible Releases Research Findings on Fragments in Its Dead Sea Scrolls Collection. Comunicato stampa del Museum of the Bible del 22 ottobre 2018, disponibile all’url https://bit.ly/2QC0hfQ; BAM Research on the Dead Sea Scrolls fragments for the Museum of the Bible, Washington D.C. Comunicato stampa BAM del 26 ottobre 2018, disponibile all'url https://bit.ly/2PEXWLD.
8) Burke, D. 2018, 27 ottobre. After Bible Museum scandal, more American Christians suspect they bought fake Dead Sea Scrolls. "CNN.Com", disponibile all'url https://cnn.it/2PED5bm .
accessToken: '2206040148.1677ed0.0fda6df7e8ad4d22abe321c59edeb25f',