Il rapporto tra filosofia e scienza non cessa di far discutere. Nelle scorse settimane il dibattito è stato riacceso da un articolo pubblicato sugli atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti (PNAS) con il titolo "Perché la scienza ha bisogno della filosofia" ha riacceso il dibattito. Gli autori sono un gruppo interdisciplinare composto tra gli altri dal fisico Carlo Rovelli, dai filosofi Elliott Sober e Thomas Pradeu e dall’immunologo Alberto Mantovani. L’articolo di PNAS lamenta la scarsa considerazione riservata alla filosofia da molti scienziati e argomenta attraverso tre esempi tratti dalla biologia, dall’immunologia e dalle scienze cognitive che la filosofia può invece dare un prezioso contributo alla scienza in diversi modi. Ne vengono elencati quattro: chiarire concetti scientifici, valutare criticamente gli assunti e i metodi della scienza, formulare nuovi concetti e teorie, e favorire il dialogo tra scienze diverse e tra scienza e società.Per favorire il dialogo tra scienza e filosofia gli autori propongono diversi suggerimenti, tra i quali: dare più spazio alla filosofia nei convegni scientifici, ospitare filosofi nei dipartimenti scientifici, creare corsi di studio misti di scienza e filosofia, creare sezioni filosofiche nelle riviste scientifiche. Ne abbiamo parlato con Vincenzo Crupi, professore di logica e filosofia della scienza all'Università di Torino.Come filosofo della scienza che ha una storia di costruttiva collaborazione con gli scienziati ci sei sembrato la persona ideale per parlare di questo tema.
Che cosa pensi dell'articolo di PNAS? Che cosa pensi dei loro suggerimenti?
L’articolo è ben costruito. Illustra alcuni buoni esempi recenti in cui contributi teorici provenienti dalla filosofia sono stati utili per la ricerca scientifica, e quella lista potrebbe essere allungata di molto. Il caso della definizione teorica delle cellule staminali, che non conoscevo, mi è sembrato molto interessante. L’importanza del rapporto fra filosofia e scienze cognitive — un altro degli esempi discussi, che conosco meglio — è molto evidente. Inoltre fra gli autori ci sono Carlo Rovelli, uno dei pochi fisici degli ultimi decenni che ha parlato della filosofia senza cercare di sminuirla, ed Elliott Sober, un filosofo della scienza che è anche un influente teorico dell’evoluzione biologica. Riguardo ai suggerimenti operativi nella parte finale dell’articolo, sono tutte indicazioni condivisibili. Nel metterle in pratica, occorre molta cura. Per fare solo un esempio, che un po’ conosco, prendiamo l’insegnamento della filosofia della scienza agli studenti di materie scientifiche oltre che a quelli di filosofia. Idea giustissima, ma ci devono essere alcune differenze di metodo importanti, perché gli obiettivi formativi nei due casi sono abbastanza diversi. Se si cerca di promuovere attivamente la comunicazione fra gli ambiti senza tenere conto dei prevedibili ostacoli, gli effetti possono anche essere controproducenti.
È possibile riassumere in poche parole l'importanza della filosofia per la scienza e per la vita quotidiana di oggi, e i pericoli del sottovalutarla?
Proviamo. Per cominciare, direi che la filosofia è un po’ come la figlia illegittima della matematica e della letteratura. Se insegnata nel modo giusto, è un addestramento notevole per il ragionamento, soprattutto per resistere alle argomentazioni fallaci (e non solo quelle degli altri, anche a quelle che vengono in mente a noi). In questa palestra, però, ci si allena in un modo particolare: studiando le opere di menti straordinarie, che hanno scoperto e affrontato senza timore i problemi più difficili e importanti per gli umani. Certo, la matematica è più rigorosa, e la letteratura più emozionante. Diciamo però che io apprezzo le contaminazioni!
La filosofia è importante per le scienze e per la vita nel quotidiano? Riguardo a questo, propongo di usare un’analogia diversa: la filosofia somiglia a un ambulatorio, forse un pronto soccorso. Un posto dove a prima vista c’è parecchia confusione e molti di noi non hanno mai messo piede. Però è lì che si trovano certi esperti e certi strumenti un po’ speciali. Una volta ogni tanto, sono proprio quelli che possono aiutarci a risolvere un problema serio. Oggi, per dire, sentiamo la mancanza di categorie adeguate per comprendere lo spettro delle posizioni politiche. Abbiamo una grave crisi nella replicabilità dei risultati sperimentali, per esempio nella ricerca biomedica. Abbiamo le sfide della scienza e della politica del cambiamento climatico (e le due cose sono ben distinte). Abbiamo nuovi problemi etici e politici con l’intelligenza artificiale. Ah, quasi dimenticavo: dobbiamo anche decidere se costruire un nuovo acceleratore di particelle gigante, decine di volte più potente di quelli attuali, che ovviamente costa molto. Restando all’analogia, di motivi per fare due chiacchiere con un dottore ce ne sono, no? (Altro che post-verità!)
È possibile far cambiare idea a chi pensa che la filosofia sia soltanto aria fritta? Se sì, come?
In effetti, quando sento alcuni agguerriti tele-filosofi, capita persino a me di perdere la pazienza. Ma non è colpa della filosofia (e nemmeno dei tele-filosofi). Per compensare una percezione potenzialmente distorta, mi sembra che la mossa più importante sia quella più semplice da immaginare, molto meno facile da realizzare: insegnare la filosofia, insegnarla bene, insegnarla meglio. Personalmente, considero una gloria da difendere che nel nostro paese la filosofia sia ancora insegnata nelle scuole superiori (non tutte, ma è meglio che niente). E se si usano metodi adatti, i contenuti filosofici possono entrare anche nelle fasi precedenti del ciclo scolastico. Ci sono già molti bei progetti di questo tipo.
Quali sono le responsabilità dei filosofi nel cattivo rapporto tra le due discipline?
Nel Novecento, il rapporto della filosofia con le scienze è stato prevalentemente critico. Ci sono state importanti eccezioni, certo, ma sarebbe inutile negare questa tendenza prevalente. Alla base di questo atteggiamento critico c’erano delle ragioni (in estrema sintesi, l’idea di resistere allo scientismo), ma alla fine diversi influenti pensatori hanno perso il contatto con quello che stava effettivamente accadendo nelle scienze, giungendo talvolta a conclusioni davvero insostenibili. Da questo punto di vista, credo però che oggi le cose vadano meglio.
Puoi citare qualche intellettuale che ha favorito il dialogo tra le discipline, e qualcuno che lo ha ostacolato?
Beh, secondo me, per esempio, l’influenza di una star come Richard Feynman non ha aiutato. Feynman si è beffato dei filosofi in più di un’occasione. (Si considerava un ribelle, ma è diventato una specie di totem, e i suoi ammiratori appena oso criticarlo partono all’attacco.) Feynman aveva una visione della scienza per cui (semplificando un po’) le teorie sono essenzialmente strumenti di calcolo e solo ciò che è misurabile è vero o falso. Era una scappatoia perfetta per non preoccuparsi del fatto che una teoria con uno sconcertante successo empirico come la fisica quantistica lasciasse allo stesso tempo senza risposta profonde questioni teoriche. Ma in realtà, queste idee “antifilosofiche” di Feynman erano state elaborate in modo più sofisticato, indovinate da chi? Già, da alcuni importanti filosofi nella prima metà del Novecento (e per alcuni aspetti anche molto prima). E quando Feynman se ne serviva, negli anni Sessanta, queste idee (poi trasmesse acriticamente a generazioni di studenti di fisica) erano già state discusse a fondo e sottoposte a obiezioni molto importanti. È una situazione descritta con molta efficacia proprio da un filosofo e scienziato cognitivo molto citato nell’articolo su PNAS, Daniel Dennett: “non esiste scienza del tutto indipendente dalla filosofia, ma solo scienza praticata senza considerazione per i suoi assunti filosofici fondamentali”.
Nella tua esperienza personale, come hai trovato la collaborazione tra i filosofi e gli scienziati? Ti capita spesso di scontrarti con pregiudizi sfavorevoli ai filosofi?
Nonostante le apparenze, credo che il conflitto fra filosofi e scienziati non sia la regola, caso mai l’eccezione. Gli ambiti di ricerca che ho frequentato direttamente sono stati soprattutto la psicologia sperimentale e lo studio delle decisioni nella medicina clinica, con una forma di collaborazione molto stretta: obiettivi di indagine condivisi con colleghi non filosofi, che sono interessati a integrare nozioni o strumenti della filosofia (nel mio caso, dell’epistemologia e della filosofia della scienza) per affrontare insieme problemi aperti del loro campo. Non dico che si tratti di una situazione usuale, e in molti casi l’organizzazione istituzionale della ricerca spinge in direzioni del tutto diverse. Però, a giudicare dai posti in cui ho lavorato, non è poi così rara. In effetti, molti miei colleghi al Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione e nel Centro di Logica, Linguaggio e Cognizione dell’Università di Torino sono impegnati in progetti di questo tipo.
Ringraziamo Vincenzo Crupi per la disponibilità e la cortesia dimostrate.
Che cosa pensi dell'articolo di PNAS? Che cosa pensi dei loro suggerimenti?
L’articolo è ben costruito. Illustra alcuni buoni esempi recenti in cui contributi teorici provenienti dalla filosofia sono stati utili per la ricerca scientifica, e quella lista potrebbe essere allungata di molto. Il caso della definizione teorica delle cellule staminali, che non conoscevo, mi è sembrato molto interessante. L’importanza del rapporto fra filosofia e scienze cognitive — un altro degli esempi discussi, che conosco meglio — è molto evidente. Inoltre fra gli autori ci sono Carlo Rovelli, uno dei pochi fisici degli ultimi decenni che ha parlato della filosofia senza cercare di sminuirla, ed Elliott Sober, un filosofo della scienza che è anche un influente teorico dell’evoluzione biologica. Riguardo ai suggerimenti operativi nella parte finale dell’articolo, sono tutte indicazioni condivisibili. Nel metterle in pratica, occorre molta cura. Per fare solo un esempio, che un po’ conosco, prendiamo l’insegnamento della filosofia della scienza agli studenti di materie scientifiche oltre che a quelli di filosofia. Idea giustissima, ma ci devono essere alcune differenze di metodo importanti, perché gli obiettivi formativi nei due casi sono abbastanza diversi. Se si cerca di promuovere attivamente la comunicazione fra gli ambiti senza tenere conto dei prevedibili ostacoli, gli effetti possono anche essere controproducenti.
È possibile riassumere in poche parole l'importanza della filosofia per la scienza e per la vita quotidiana di oggi, e i pericoli del sottovalutarla?
Proviamo. Per cominciare, direi che la filosofia è un po’ come la figlia illegittima della matematica e della letteratura. Se insegnata nel modo giusto, è un addestramento notevole per il ragionamento, soprattutto per resistere alle argomentazioni fallaci (e non solo quelle degli altri, anche a quelle che vengono in mente a noi). In questa palestra, però, ci si allena in un modo particolare: studiando le opere di menti straordinarie, che hanno scoperto e affrontato senza timore i problemi più difficili e importanti per gli umani. Certo, la matematica è più rigorosa, e la letteratura più emozionante. Diciamo però che io apprezzo le contaminazioni!
La filosofia è importante per le scienze e per la vita nel quotidiano? Riguardo a questo, propongo di usare un’analogia diversa: la filosofia somiglia a un ambulatorio, forse un pronto soccorso. Un posto dove a prima vista c’è parecchia confusione e molti di noi non hanno mai messo piede. Però è lì che si trovano certi esperti e certi strumenti un po’ speciali. Una volta ogni tanto, sono proprio quelli che possono aiutarci a risolvere un problema serio. Oggi, per dire, sentiamo la mancanza di categorie adeguate per comprendere lo spettro delle posizioni politiche. Abbiamo una grave crisi nella replicabilità dei risultati sperimentali, per esempio nella ricerca biomedica. Abbiamo le sfide della scienza e della politica del cambiamento climatico (e le due cose sono ben distinte). Abbiamo nuovi problemi etici e politici con l’intelligenza artificiale. Ah, quasi dimenticavo: dobbiamo anche decidere se costruire un nuovo acceleratore di particelle gigante, decine di volte più potente di quelli attuali, che ovviamente costa molto. Restando all’analogia, di motivi per fare due chiacchiere con un dottore ce ne sono, no? (Altro che post-verità!)
È possibile far cambiare idea a chi pensa che la filosofia sia soltanto aria fritta? Se sì, come?
In effetti, quando sento alcuni agguerriti tele-filosofi, capita persino a me di perdere la pazienza. Ma non è colpa della filosofia (e nemmeno dei tele-filosofi). Per compensare una percezione potenzialmente distorta, mi sembra che la mossa più importante sia quella più semplice da immaginare, molto meno facile da realizzare: insegnare la filosofia, insegnarla bene, insegnarla meglio. Personalmente, considero una gloria da difendere che nel nostro paese la filosofia sia ancora insegnata nelle scuole superiori (non tutte, ma è meglio che niente). E se si usano metodi adatti, i contenuti filosofici possono entrare anche nelle fasi precedenti del ciclo scolastico. Ci sono già molti bei progetti di questo tipo.
Quali sono le responsabilità dei filosofi nel cattivo rapporto tra le due discipline?
Nel Novecento, il rapporto della filosofia con le scienze è stato prevalentemente critico. Ci sono state importanti eccezioni, certo, ma sarebbe inutile negare questa tendenza prevalente. Alla base di questo atteggiamento critico c’erano delle ragioni (in estrema sintesi, l’idea di resistere allo scientismo), ma alla fine diversi influenti pensatori hanno perso il contatto con quello che stava effettivamente accadendo nelle scienze, giungendo talvolta a conclusioni davvero insostenibili. Da questo punto di vista, credo però che oggi le cose vadano meglio.
Puoi citare qualche intellettuale che ha favorito il dialogo tra le discipline, e qualcuno che lo ha ostacolato?
Beh, secondo me, per esempio, l’influenza di una star come Richard Feynman non ha aiutato. Feynman si è beffato dei filosofi in più di un’occasione. (Si considerava un ribelle, ma è diventato una specie di totem, e i suoi ammiratori appena oso criticarlo partono all’attacco.) Feynman aveva una visione della scienza per cui (semplificando un po’) le teorie sono essenzialmente strumenti di calcolo e solo ciò che è misurabile è vero o falso. Era una scappatoia perfetta per non preoccuparsi del fatto che una teoria con uno sconcertante successo empirico come la fisica quantistica lasciasse allo stesso tempo senza risposta profonde questioni teoriche. Ma in realtà, queste idee “antifilosofiche” di Feynman erano state elaborate in modo più sofisticato, indovinate da chi? Già, da alcuni importanti filosofi nella prima metà del Novecento (e per alcuni aspetti anche molto prima). E quando Feynman se ne serviva, negli anni Sessanta, queste idee (poi trasmesse acriticamente a generazioni di studenti di fisica) erano già state discusse a fondo e sottoposte a obiezioni molto importanti. È una situazione descritta con molta efficacia proprio da un filosofo e scienziato cognitivo molto citato nell’articolo su PNAS, Daniel Dennett: “non esiste scienza del tutto indipendente dalla filosofia, ma solo scienza praticata senza considerazione per i suoi assunti filosofici fondamentali”.
Nella tua esperienza personale, come hai trovato la collaborazione tra i filosofi e gli scienziati? Ti capita spesso di scontrarti con pregiudizi sfavorevoli ai filosofi?
Nonostante le apparenze, credo che il conflitto fra filosofi e scienziati non sia la regola, caso mai l’eccezione. Gli ambiti di ricerca che ho frequentato direttamente sono stati soprattutto la psicologia sperimentale e lo studio delle decisioni nella medicina clinica, con una forma di collaborazione molto stretta: obiettivi di indagine condivisi con colleghi non filosofi, che sono interessati a integrare nozioni o strumenti della filosofia (nel mio caso, dell’epistemologia e della filosofia della scienza) per affrontare insieme problemi aperti del loro campo. Non dico che si tratti di una situazione usuale, e in molti casi l’organizzazione istituzionale della ricerca spinge in direzioni del tutto diverse. Però, a giudicare dai posti in cui ho lavorato, non è poi così rara. In effetti, molti miei colleghi al Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione e nel Centro di Logica, Linguaggio e Cognizione dell’Università di Torino sono impegnati in progetti di questo tipo.
Ringraziamo Vincenzo Crupi per la disponibilità e la cortesia dimostrate.