Hetty Green e il caso della firma falsa

  • In Articoli
  • 29-03-2025
  • di Luca Antonelli e Rosita Sormani
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Union Square, New York, 1880 circa. Sulla destra è visibile il monumento a George Washington. @ Wellcome Collection/Pubblico Dominio
Dai crimini irrisolti alle coincidenze apparentemente inspiegabili, il mondo è ricco di enigmi che ci affascinano. Ma cosa succede quando entra in gioco la matematica e ne facciamo uno strumento d’indagine? In questa nuova rubrica esploreremo come numeri, statistiche, logica e modelli matematici possano fare luce su eventi misteriosi e smascherare inganni. Benvenuti e benvenute ne La formula mancante!

Cominciamo da una domanda: avete mai falsificato una firma? Se non siete troppo giovani per ricordare le giustificazioni cartacee e qualche volta avete saltato di nascosto la scuola, probabilmente sì. Vi siete mai chiesti come avrebbero potuto scoprirvi? Fortunatamente, gli insegnanti che controllavano le giustificazioni non disponevano di strumenti sofisticati: bastava imitare la calligrafia dei genitori per ottenere una firma che, a prima vista, sembrasse autentica. In situazioni più delicate, stabilire con certezza l’autenticità di una firma può essere cruciale. Avrete visto esempi in qualche poliziesco o in casi di cronaca, ma forse vi sorprenderà sapere che questo problema ha radici molto più lontane nel tempo.

Siamo negli ultimi decenni dell’Ottocento e gli Stati Uniti stanno vivendo un periodo di grande crescita economica, la cosiddetta Età dell’Oro. La protagonista di questa vicenda è Hetty Green, una delle prime donne a farsi strada nel mondo della finanza. Nata nel 1834 con il nome di Henrietta Howland Robinson, mostra sin da giovanissima uno spiccato interesse per i numeri e gli affari, ignorando invece le aspettative che la società impone alle donne in quest’epoca: da bambina legge le notizie finanziarie assieme al padre e a soli 13 anni inizia a gestire i conti di famiglia. Pochi anni dopo, entra nell’azienda paterna, finché il suo talento la porta a diventare la donna più ricca d’America e a guadagnarsi il soprannome di “Regina di Wall Street”.

La sua avarizia, d’altro canto, la fa finire nel Guinness dei Primati con il titolo meno lusinghiero di “donna più tirchia del mondo”. Poco dopo il suo fidanzamento con Edward Green nel 1865, una zia di Hetty, Sylvia Ann Howland, muore. Hetty, che pensa di ereditare la sua ingente fortuna, scopre che la zia ha modificato il testamento: una parte del patrimonio andrà in beneficenza, e il resto in un trust a beneficio di Hetty, ovvero un fondo amministrato da uomini di fiducia. Hetty, convinta che saprebbe investire quei beni molto più efficacemente, non apprezza questa mancanza di controllo diretto su quello che considera il proprio denaro. Avvia quindi un procedimento giudiziario e presenta un testamento precedente in cui la zia le lasciava tutto, corredato da una seconda pagina firmata da Howland che invaliderebbe qualunque testamento successivo. Questo documento viene però ritenuto un falso: la firma sulla seconda pagina sembra essere identica a quella sulla prima, suggerendo che Hetty l’avrebbe ricalcata. La difesa di Hetty argomenta che si tratta di un caso e che firme quasi identiche non sono poi così rare, portandone alcuni esempi.

A questo punto il processo diventa uno dei primi casi noti di uso della matematica a scopi forensi: per dirimere la questione, viene coinvolto come consulente Benjamin Pierce, rinomato matematico dell’Università di Harvard. La sua idea è semplice, ma convincente: mette assieme un campione di 42 firme originali di Howland e confronta ciascuna firma con tutte le altre, per un totale di 861 coppie[1]. Ma per raccogliere dati e formulare statistiche, è necessario quantificare in qualche modo la somiglianza fra due firme. Come fare? Contrariamente all’opinione comune, in matematica spesso non esiste una risposta univoca: specialmente quando viene applicata a situazioni reali, possono esistere molti modi diversi e più o meno validi di approcciare un problema. Per ottenere risultati affidabili, la scelta deve essere fatta con cura.

Pierce decide di contare il numero di tratti di penna che si sovrappongono: più tratti corrispondono, più due firme vengono considerate simili. Nella firma di Sylvia Ann Howland, identifica 30 tratti di penna caratteristici e li confronta fra loro in tutte le coppie di firme, registrando in una tabella quante firme condividono 1 tratto, quante ne condividono 2, quante 3, e così via. Scopre che, in media, le coppie di firme condividono circa 6 tratti. Le due firme riportate sul testamento hanno invece tutti i 30 tratti in comune. Si tratta di una pura coincidenza? Come si può calcolare la probabilità di un evento del genere?

Pierce osserva che i numeri riportati nella tabella sono compatibili con una distribuzione binomiale, una funzione molto nota agli statistici che tutti abbiamo incontrato nella vita, magari senza saperlo. Per esempio, prendete quattro dadi comuni e lanciateli: se volete sapere che probabilità avete di ottenere quattro volte il numero 6, il vostro statistico di fiducia vi dirà che, poiché i quattro lanci sono indipendenti tra di loro e in ognuno di essi la probabilità di ottenere 6 è sempre la stessa (1 su 6), si deve applicare la funzione binomiale. Trattandosi di un amico, vi risparmierà la formula e vi dirà che la probabilità è meno dello 0,08%.

La tesi che Pierce porta in tribunale è che lo stesso accada per le firme: ognuno dei 30 tratti sarebbe un evento indipendente, e le sue tabelle indicano che la probabilità che due singoli tratti coincidano è di circa 1 su 5. Applicando questo modello, Pierce stima che la probabilità di avere 30 tratti coincidenti sia di 1 su 2666 milioni di milioni di milioni. Nelle sue parole, “un’improbabilità così vasta da essere praticamente un’impossibilità”: il testamento è un falso. Le argomentazioni di Pierce rimangono agli atti, anche se il tribunale non ne tiene conto. Su basi diverse, decide comunque a sfavore di Hetty, che perde la causa. Avrà modo di rifarsi accumulando negli anni una vasta fortuna.

A distanza di decenni, le argomentazioni di Pierce sono state analizzate e soggette ad alcune critiche. Una prima osservazione è che il suo calcolo era errato: sotto le stesse ipotesi, la probabilità risulta in realtà tre volte più alta, ma questo è un errore scusabile se consideriamo che non esistevano calcolatrici e il conto fu fatto a mano. Inoltre, non inficia le conclusioni, dato che l’evento rimane estremamente improbabile. Ci sono però dubbi molto più rilevanti: per esempio, la distribuzione binomiale si adatta fino a un certo punto alla sua tabella di corrispondenze, e vengono sottostimati proprio quei casi in cui si contano più sovrapposizioni. Anche l’ipotesi che i tratti di penna siano eventi indipendenti non è molto realistica e potrebbero esserci vari fattori che hanno influito sulla somiglianza: due firme fatte nello stesso momento, come quelle del testamento, potrebbero risultare più simili rispetto a firme apposte a distanza di anni, con penne e posizioni della mano differenti.

Tenendo conto di queste e altre variabili, avremmo potuto ottenere risultati molto diversi. Tuttavia, anche con il modello più sofisticato possibile, da questo unico punto di vista non potremo mai sapere con certezza se Hetty abbia o no falsificato la firma: qualunque modello è una rappresentazione utile ma semplificata della realtà e può descriverne solo una parte. E su questo ci possiamo mettere la firma!

Note

1) Per i più curiosi, questa cifra è calcolata mediante il coefficiente binomiale 42 su 2, una formula che conta quanti sottoinsiemi di 2 elementi si possono formare in un insieme di 42 elementi.

LUCA ANTONELLI è matematico e informatico. Nel CICAP è volontario del gruppo Piemonte e tiene incontri divulgativi su matematica, statistica e calcolo della probabilità.
ROSITA SORMANI ha un dottorato in matematica computazionale e svolge attività di ri cerca come postdoc. Volontaria CICAP dal 2013, attualmente collabora con il CICAP Scuola.
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