L'autore è un astrofisico israelo-americano. Il libro tratta, in prospettiva storica, di phi (1,618...), il "numero d'oro", e degli associati numeri di Fibonacci. Il lettore impara poco sul numero e le sue proprietà perché la trattazione matematica è mantenuta a un livello molto elementare. In compenso trova spesso pagine gradevoli con digressioni su episodi storici, schizzi biografici, aneddoti, fino a escursioni nella storia dell'arte o della musica. L'autore dimostra una buona padronanza degli argomenti e ha il merito di tenere un atteggiamento abbastanza critico quando affronta la diffusa leggenda di una presunta valenza estetica di phi. D'altra parte si possono esprimere riserve su due aspetti dell'impostazione che sono già dichiarati in copertina in quel "mistero" e quei "tremila anni" del sottotitolo.
Cominciamo con il mistero. Livio cerca di magnificare le doti del numero phi, che nel sottotitolo dell'edizione americana era definito "il più stupefacente al mondo". Il numero è davvero importante, ma per mostrarlo occorre approfondire il livello della trattazione matematica oltre il limite che si è posto l'autore. Forse come espediente letterario per tenere vivo l'interesse di un pubblico di non matematici, Livio cerca allora di far apparire meraviglie anche dove non ce ne sarebbero.
Per esempio, in una sezione intitolata "Il diabolico undici" (p. 158), presenta, come se si trattasse di una proprietà sorprendente, il fatto che la somma di dieci numeri di Fibonacci consecutivi è sempre un multiplo di undici. In realtà si tratta di una circostanza banale che si ritrova in tutte le successioni in cui un numero si ottiene dalla somma dei due precedenti. E non si tratta di un'esclusiva dell'undici. Sommando, rispettivamente, 6, 12, 14, 16 numeri di Fibonacci consecutivi si ha una somma che è sempre multipla di 4, 8, 29, 21. Tutti numeri diabolici?
A p. 164 scrive: "Per pura curiosità, potreste chiedervi se ci sia un numero di Fibonacci con 666 cifre. Il matematico e scrittore Clifford A. Pickover chiama "apocalittici" i numeri collegati al 666, e ha trovato che il 3184esimo numero di Fibonacci può essere assegnato a questa categoria, avendo 666 cifre". Come se fosse strano che esista un numero di Fibonacci con 666 cifre. In realtà, quale che sia il numero di cifre prescelto, esistono sempre non uno ma diversi numeri di Fibonacci, di solito cinque, che hanno appunto quel numero di cifre. Infatti ce ne sono cinque (dal 3184esimo al 3188esimo) con 666 cifre. Per vederlo è sufficiente una piccola calcolatrice tascabile, tramite una semplice formula, e non c'è bisogno di citare un autore come se si trattasse di una sua scoperta.
In una sezione intitolata "Numeri e meraviglia" (p. 340), Livio osserva che i numeri di Fibonacci seguono la "legge di Benford": quelli che cominciano con la cifra 1 sono più numerosi di quelli che cominciano col 2, e così via fino al 9. Non fornisce una spiegazione lasciando il lettore con l'impressione che qui ci sia un altro mistero. La spiegazione sarebbe intuitiva e dipende semplicemente dal fatto che, procedendo nella successione, aumenta la distanza fra due numeri consecutivi, essendo ogni numero la somma dei due precedenti. Prendiamo per esempio l'ultimo numero prima di mille. Sommato al precedente, deve dare un numero fra 1000 e 2000, che quindi comincia con 1. Procedendo, il passo si allunga ogni volta, dato che vengono sommati numeri sempre più grandi, e quindi non vengono coperte, come cifre iniziali, tutte quelle da 2 a 9. Alcune vengono saltate, con probabilità tanto maggiore quanto più si procede verso il nove. Il gioco si ripete quando si va a superare diecimila, e così via.
Veniamo ai tremila anni. La storia, quella importante, del numero phi non ha tremila anni, se mai trecento. La sezione aurea entra nella storia con Euclide che però ne tratta soltanto come rapporto geometrico, utile per disegnare il pentagono e le figure collegate, ma non sa niente di phi. Per trovare sviluppi matematici significativi bisogna arrivare almeno al Seicento, o specialmente al Sette e Ottocento. Livio dedica molte pagine ai secoli antichi, quando succedeva ben poco, e per contro sorvola sui secoli recenti per i quali sarebbe stata necessaria una trattazione a un livello meno elementare. Per riempire i capitoli relativi a epoche scarse di eventi per phi (o del tutto prive, come per i tre capitoli iniziali su sumeri, pitagorici ed egizi), ricorre abilmente a digressioni che sono piacevoli e ben raccontate, anzi sono forse le cose più interessanti del libro, ma rischiano di disorientare il lettore sull'effettivo corso storico degli studi su phi.
Una sezione porta per titolo il motto della spirale logaritmica che è inciso sulla tomba di un famoso matematico a Basilea, "Eadem mutata resurgo", ma è rimasto anche nella traduzione l'errore dell'originale che riporta mutato. Più serio è il fatto che in questa sezione (pp. 174-86) l'autore sembra giocare sull'ambiguità fra la spirale cosiddetta aurea e la spirale logaritmica e il lettore è portato a credere che phi intervenga in molte forme naturali, dalla conchiglia del nautilo alle galassie, ciò che non è vero.
Matila Ghyka non era un prelato (p. 246) ma un diplomatico. La statua di Fibonacci a Pisa non è più al Giardino Scotto (p. 186) ma è tornata alla sua collocazione originaria nel chiostro del Camposanto Monumentale a Piazza dei Miracoli.