Nel primo dei suoi romanzi dedicati al nostro satellite, Dalla Terra alla Luna (1865), Jules Verne immaginò di poter spedire degli uomini nello spazio a bordo di un grande proiettile (per la precisione una granata di alluminio del diametro di circa due metri e mezzo, pesante quasi nove tonnellate), sparato da un gigantesco cannone. La fonte di ispirazione di Verne fu costituita dal Columbiad, inventato nel 1811 e impiegato nella guerra di Secessione americana. Modificato poco prima del conflitto dall’ufficiale Thomas Jackson Rodman (da cui la denominazione Rodman Columbiad) il cannone venne utilizzato in particolare dall’esercito nordista. I modelli più grandi, con un diametro interno di circa 50 centimetri, erano impressionanti: pesavano oltre 60 tonnellate e sparavano proiettili di quasi 50 chilogrammi alla distanza di 9 chilometri, con una velocità iniziale di mezzo miglio (0,8 chilometri) al secondo, prodotta grazie a un nuovo tipo di esplosivo, la nitrocellulosa, o fulmicotone, scoperto nel 1845 dal chimico tedesco Christian Friedrich Schönbein.
Naturalmente il cannone immaginato da Verne era molto più imponente: un Columbiad in ghisa di ferro lungo 274 metri, colato direttamente nel suolo. Lo scrittore francese non fu tuttavia il primo a pensare una simile soluzione per inviare esseri umani sulla Luna. Nel 1857, infatti, l’astronomo napoletano Ernesto Capocci, nella sua Relazione del primo viaggio alla Luna fatto da una donna l’anno di grazia 2057, aveva scritto: «questo cannone o mortaio che voglia dirsi, è veramente un mortaio mostro. Basta dire che si è dovuto fondere entro la terra, nella precisa posizione verticale in cui dovea adoperarsi, poiché niuna forza umana avrebbe potuto più smuoverlo di un pelo, dopo fattone il getto». Il racconto di Capocci, tuttavia, ebbe una circolazione assai limitata e venne dimenticato, mentre le opere di Verne riscossero (e continueranno a riscuotere) un successo mondiale. Tutti i pionieri della missilistica, da Konstantin Eduardovič Ciolkovskij a Hermann Julius Oberth, da Robert Goddard a Wernher von Braun dichiareranno il loro debito nei confronti del maestro francese, la cui influenza sull’immaginario spaziale si eserciterà in maniera costante non solo su scrittori di fantascienza e autori di fumetti, ma anche sui protagonisti della corsa allo spazio, da Jurij Gagarin agli astronauti dell’Apollo 11, Neil Alden Armstrong, Edwin “Buzz” Aldrin e Michael Collins, i quali saranno però al centro di un simpatico equivoco.
Come si legge nell’edizione italiana (ottobre 2018) di First Man, la biografia di Neil Armstrong scritta da James R. Hansen (dalla quale ha tratto spunto il regista Damien Chazelle per l’omonimo recente film), nella conferenza stampa del 5 luglio 1969 Armstrong annunciò per la prima volta i soprannomi del modulo lunare e del modulo di comando: «Sì, useremo segnali di chiamata diversi da quelli che avete forse sentito nelle simulazioni. Il segnale di chiamata del modulo lunare è Eagle. Quello del modulo di comando invece è Columbia... Columbia ha un valore simbolico nazionale. È lei che svetta sul Campidoglio e, come risaputo, è il nome della navicella che Jules Verne mandò sulla Luna nel libro che scrisse cent’anni fa» (pp. 293-294). Columbia, infatti, non rappresentava solo il nome popolare a lungo utilizzato per designare gli Stati Uniti d’America, ma costituiva una vera e propria personificazione femminile della nazione, alla quale anche la “Statue of Freedom” citata da Armstrong si ispirava. L’accostamento tra il simbolo americano e l’opera di Jules Verne presentava tuttavia qualche problema. Prima di tutto lo scrittore francese aveva utilizzato un termine leggermente diverso, cioè Columbiad. Ma, soprattutto, la navicella (cioè il proiettile) non aveva alcun nome nei suoi romanzi, mentre Columbiad era la denominazione del cannone. L’errore venne ripetuto da Armstrong anche nell’ultima diretta dallo spazio: «Buonasera. Sono il comandante dell’Apollo 11. Cento anni fa, Jules Verne scrisse un libro che parlava di un viaggio sulla Luna. La sua astronave si chiamava Columbia» (p. 440).
Stranamente, nel libro Hansen non fa alcun commento in merito agli errori commessi da Armstrong. Come mai? Me lo sono chiesto assieme a Maria Giulia Andretta, la coautrice di Stregati dalla Luna, il libro che abbiamo realizzato in occasione del 50° anniversario dell'allunaggio (con la prefazione di Piero Angela, che vogliamo ringraziare, ancora una volta, dalle pagine di Query). Abbiamo in primo luogo verificato se la traduzione italiana rispettasse fedelmente il testo originale e ne abbiamo avuto conferma. Siamo quindi andati a controllare le precedenti versioni della biografia, la cui prima edizione risale al 2005, quando Armstrong era ancora in vita (la seconda venne invece pubblicata poco dopo la morte dell’astronauta, avvenuta il 25 agosto 2012), per verificare se ci fossero delle difformità rispetto all’edizione del 2018. E, in effetti, abbiamo potuto riscontrare che la prima versione della biografia (così come la seconda) è molto più ampia della terza edizione, edita in occasione dell’uscita del film. In particolare, nel punto in cui Hansen presenta il contenuto della conferenza stampa del 5 luglio 1969, non solo è omessa una parte della dichiarazione di Armstrong (come facevano intuire i punti di sospensione...), ma sono presenti ben venti righe in più rispetto alla versione del 2018, ricche di dettagli interessanti (ad esempio il fatto che fu inizialmente Collins a suggerire il nome Columbia per il modulo di comando). Ma ciò che più interessa nel contesto del nostro articolo è appunto il commento di Hansen eliminato dall’ultima edizione della biografia di Armstrong: «Actually, Verne named his Moon rocket Columbiad, a fact that Armstrong knew from his own reading of the book, done in his late teens. “We thought that Columbia was better”, Neil explains today. “Columbia was well known in the American lexicon. It had been a candidate for the name of our country, so it was a natural» (pp. 392-393). Nell’edizione del 2005 Hansen ci parla dunque di un Armstrong, lettore di Verne, consapevole dell’uso del nome Columbiad (e non Columbia) da parte dello scrittore francese. Tuttavia lo stesso Hansen (al pari di Armstrong) sembra confondersi sul fatto che Columbiad era il nome del cannone, e non della navicella. Abbiamo scritto allo storico americano per avere una spiegazione in merito. A tutt’oggi, però, nessuna risposta è ancora arrivata.
Post scriptum.
A proposito di errori storici, nella quarta di copertina dell’edizione di Dalla Terra alla Luna utilizzata per la stesura di questo articolo si può leggere: «Il romanzo che profetizzò il primo storico allunaggio, avvenuto il 20 luglio 1969, oltre cento anni dopo la pubblicazione del libro». Ad onor del vero, gli astronauti di Verne non sbarcheranno sul satellite della Terra, ma si limiteranno (si fa per dire) a girarci intorno, così come farà l’equipaggio dell’Apollo 8, composto da Frank Borman, James Lovell e William Anders. Insomma, il 20 luglio 1969 Neil Armstrong, nonostante il suo confuso ricordo dei romanzi di Verne, compirà per primo un’impresa che nemmeno lo scrittore francese era riuscito ad immaginare: lasciare l’impronta di un uomo sulla Luna.
Naturalmente il cannone immaginato da Verne era molto più imponente: un Columbiad in ghisa di ferro lungo 274 metri, colato direttamente nel suolo. Lo scrittore francese non fu tuttavia il primo a pensare una simile soluzione per inviare esseri umani sulla Luna. Nel 1857, infatti, l’astronomo napoletano Ernesto Capocci, nella sua Relazione del primo viaggio alla Luna fatto da una donna l’anno di grazia 2057, aveva scritto: «questo cannone o mortaio che voglia dirsi, è veramente un mortaio mostro. Basta dire che si è dovuto fondere entro la terra, nella precisa posizione verticale in cui dovea adoperarsi, poiché niuna forza umana avrebbe potuto più smuoverlo di un pelo, dopo fattone il getto». Il racconto di Capocci, tuttavia, ebbe una circolazione assai limitata e venne dimenticato, mentre le opere di Verne riscossero (e continueranno a riscuotere) un successo mondiale. Tutti i pionieri della missilistica, da Konstantin Eduardovič Ciolkovskij a Hermann Julius Oberth, da Robert Goddard a Wernher von Braun dichiareranno il loro debito nei confronti del maestro francese, la cui influenza sull’immaginario spaziale si eserciterà in maniera costante non solo su scrittori di fantascienza e autori di fumetti, ma anche sui protagonisti della corsa allo spazio, da Jurij Gagarin agli astronauti dell’Apollo 11, Neil Alden Armstrong, Edwin “Buzz” Aldrin e Michael Collins, i quali saranno però al centro di un simpatico equivoco.
Come si legge nell’edizione italiana (ottobre 2018) di First Man, la biografia di Neil Armstrong scritta da James R. Hansen (dalla quale ha tratto spunto il regista Damien Chazelle per l’omonimo recente film), nella conferenza stampa del 5 luglio 1969 Armstrong annunciò per la prima volta i soprannomi del modulo lunare e del modulo di comando: «Sì, useremo segnali di chiamata diversi da quelli che avete forse sentito nelle simulazioni. Il segnale di chiamata del modulo lunare è Eagle. Quello del modulo di comando invece è Columbia... Columbia ha un valore simbolico nazionale. È lei che svetta sul Campidoglio e, come risaputo, è il nome della navicella che Jules Verne mandò sulla Luna nel libro che scrisse cent’anni fa» (pp. 293-294). Columbia, infatti, non rappresentava solo il nome popolare a lungo utilizzato per designare gli Stati Uniti d’America, ma costituiva una vera e propria personificazione femminile della nazione, alla quale anche la “Statue of Freedom” citata da Armstrong si ispirava. L’accostamento tra il simbolo americano e l’opera di Jules Verne presentava tuttavia qualche problema. Prima di tutto lo scrittore francese aveva utilizzato un termine leggermente diverso, cioè Columbiad. Ma, soprattutto, la navicella (cioè il proiettile) non aveva alcun nome nei suoi romanzi, mentre Columbiad era la denominazione del cannone. L’errore venne ripetuto da Armstrong anche nell’ultima diretta dallo spazio: «Buonasera. Sono il comandante dell’Apollo 11. Cento anni fa, Jules Verne scrisse un libro che parlava di un viaggio sulla Luna. La sua astronave si chiamava Columbia» (p. 440).
Stranamente, nel libro Hansen non fa alcun commento in merito agli errori commessi da Armstrong. Come mai? Me lo sono chiesto assieme a Maria Giulia Andretta, la coautrice di Stregati dalla Luna, il libro che abbiamo realizzato in occasione del 50° anniversario dell'allunaggio (con la prefazione di Piero Angela, che vogliamo ringraziare, ancora una volta, dalle pagine di Query). Abbiamo in primo luogo verificato se la traduzione italiana rispettasse fedelmente il testo originale e ne abbiamo avuto conferma. Siamo quindi andati a controllare le precedenti versioni della biografia, la cui prima edizione risale al 2005, quando Armstrong era ancora in vita (la seconda venne invece pubblicata poco dopo la morte dell’astronauta, avvenuta il 25 agosto 2012), per verificare se ci fossero delle difformità rispetto all’edizione del 2018. E, in effetti, abbiamo potuto riscontrare che la prima versione della biografia (così come la seconda) è molto più ampia della terza edizione, edita in occasione dell’uscita del film. In particolare, nel punto in cui Hansen presenta il contenuto della conferenza stampa del 5 luglio 1969, non solo è omessa una parte della dichiarazione di Armstrong (come facevano intuire i punti di sospensione...), ma sono presenti ben venti righe in più rispetto alla versione del 2018, ricche di dettagli interessanti (ad esempio il fatto che fu inizialmente Collins a suggerire il nome Columbia per il modulo di comando). Ma ciò che più interessa nel contesto del nostro articolo è appunto il commento di Hansen eliminato dall’ultima edizione della biografia di Armstrong: «Actually, Verne named his Moon rocket Columbiad, a fact that Armstrong knew from his own reading of the book, done in his late teens. “We thought that Columbia was better”, Neil explains today. “Columbia was well known in the American lexicon. It had been a candidate for the name of our country, so it was a natural» (pp. 392-393). Nell’edizione del 2005 Hansen ci parla dunque di un Armstrong, lettore di Verne, consapevole dell’uso del nome Columbiad (e non Columbia) da parte dello scrittore francese. Tuttavia lo stesso Hansen (al pari di Armstrong) sembra confondersi sul fatto che Columbiad era il nome del cannone, e non della navicella. Abbiamo scritto allo storico americano per avere una spiegazione in merito. A tutt’oggi, però, nessuna risposta è ancora arrivata.
Post scriptum.
A proposito di errori storici, nella quarta di copertina dell’edizione di Dalla Terra alla Luna utilizzata per la stesura di questo articolo si può leggere: «Il romanzo che profetizzò il primo storico allunaggio, avvenuto il 20 luglio 1969, oltre cento anni dopo la pubblicazione del libro». Ad onor del vero, gli astronauti di Verne non sbarcheranno sul satellite della Terra, ma si limiteranno (si fa per dire) a girarci intorno, così come farà l’equipaggio dell’Apollo 8, composto da Frank Borman, James Lovell e William Anders. Insomma, il 20 luglio 1969 Neil Armstrong, nonostante il suo confuso ricordo dei romanzi di Verne, compirà per primo un’impresa che nemmeno lo scrittore francese era riuscito ad immaginare: lasciare l’impronta di un uomo sulla Luna.
Riferimenti bibliografici
- M. G. Andretta, M. Ciardi. 2019. Stregati dalla Luna. Il sogno del volo spaziale da Jules Verne all'Apollo 11. Prefazione di Piero Angela, Roma: Carocci.
- J. R. Hansen. 2006. First Men. The Life of Neil Armstrong (2005), New York: Simon & Schuster (First Paperback Edition).
- Id. 2018. First Men. The Life of Neil Armstrong, London: Simon & Schuster.
- Id. 2018. First Man. Il primo uomo. La biografia autorizzata di Neil Armstrong, traduzione di N. Angelotti, F. Pe' e D. M. Rossi, Milano: Rizzoli.
- J. Verne. 2018. Dalla Terra alla Luna (1865), Milano: Rizzoli (prima edizione BUR ragazzi, maggio 2018).