Il 18 dicembre 2006 la Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea pubblicò un documento intitolato Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente[1]. Nel documento venivano definite otto macrocompetenze (spesso chiamate colloquialmente, o per brevità, “Competenze Europee”).
Gli Stati membri vennero caldamente invitati a svilupparne l’offerta, nell’ambito delle loro strategie di apprendimento permanente. Le competenze chiave sono quelle indispensabili per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione. In particolare, esse vengono individuate come: 1) comunicazione nella madrelingua; 2) comunicazione nelle lingue straniere; 3) competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia; 4) competenza digitale; 5) imparare a imparare; 6) competenze sociali e civiche; 7) spirito di iniziativa e imprenditorialità; 8) consapevolezza ed espressione culturale.
Le competenze di base sono poi articolate in quattro gruppi, definiti assi: 1) asse dei linguaggi (padronanza della lingua italiana, utilizzare una lingua straniera per i principali scopi comunicativi e operativi, utilizzare gli strumenti fondamentali per una fruizione consapevole del patrimonio artistico e letterario, utilizzare e produrre testi multimediali); 2) asse matematico (utilizzare le tecniche e le procedure del calcolo aritmetico e algebrico, rappresentandole anche sotto forma grafica, confrontare e analizzare figure geometriche, individuando invarianti e relazioni, individuare le strategie appropriate per la soluzione di problemi, analizzare dati e interpretarli sviluppando deduzioni e ragionamenti sugli stessi anche con l’ausilio di rappresentazioni grafiche, usando consapevolmente gli strumenti di calcolo e le potenzialità offerte da applicazioni specifiche di tipo informatico); 3) asse scientifico-tecnologico (osservare, descrivere e analizzare fenomeni appartenenti alla realtà naturale e artificiale e riconoscere nelle sue varie forme i concetti di sistema e di complessità, analizzare qualitativamente e quantitativamente fenomeni legati alle trasformazioni di energia a partire dall’esperienza, essere consapevole delle potenzialità e dei limiti delle tecnologie nel contesto culturale e sociale in cui vengono applicate); 4) asse storico e sociale (comprendere il cambiamento e la diversità dei tempi storici in una dimensione diacronica attraverso il confronto fra epoche e in una dimensione sincronica attraverso il confronto fra aree geografiche e culturali, collocare l’esperienza personale in un sistema di regole fondato sul reciproco riconoscimento dei diritti garantiti dalla Costituzione, a tutela della persona, della collettività e dell’ambiente, riconoscere le caratteristiche essenziali del sistema socio economico per orientarsi nel tessuto produttivo del proprio territorio).
Nello stesso documento viene definita la differenza tra conoscenze, competenze e abilità.
Le conoscenze indicano il risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento. Esse sono l’insieme di fatti, principi, teorie e pratiche, relative a un settore di studio o di lavoro. Nel Quadro Europeo delle Qualifiche e dei Titoli (European Qualifications Framework - EQF), le conoscenze sono descritte come teoriche e/o pratiche.
Le abilità indicano le capacità di applicare conoscenze e di usare know-how per portare a termine compiti e risolvere problemi. Nell’ EQF, le abilità sono descritte come cognitive (uso del pensiero logico, intuitivo e creativo) e pratiche (che implicano l’abilità manuale e l’uso di metodi, materiali, strumenti).
Le competenze indicano la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale. Nell’ EQF le “competenze” sono descritte in termini di responsabilità e autonomia.
Negli ultimi anni la scuola italiana è stata dominata dal concetto di competenza, con l’obbligo di certificare, per ogni studente, quelle che sono state raggiunte nei vari segmenti di studio. Le stesse “Prove INVALSI” (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione) che tante polemiche hanno suscitato, almeno sulla carta, avrebbero come finalità l’accertamento delle competenze.
Ora una doccia fredda sul tanto enfatizzato concetto di competenza giunge da uno studio americano[2].
Lo studio parte dalla constatazione che gli studenti degli Stati Uniti, nonostante i massicci investimenti finalizzati al miglioramento di questa importante competenza, non riescono a migliorare le loro capacità di lettura[3]. Il Naep (National Assessment of Educational Progress), equivalente americana dell’INVALSI, ha riunito un gruppo di esperti per analizzare il problema e trovare possibili soluzioni. Il risultato raggiunto dal gruppo di lavoro è stato definito sorprendente, ma forse è lapalissiano. “Leggere non è come andare in bicicletta”, non basta saper solo pedalare. Per comprendere un testo è necessario possedere un solido bagaglio di conoscenze. Il sistema scolastico americano invece negli ultimi venti anni ha investito sulle competenze, tralasciando il vecchio concetto di conoscenze, considerato oramai obsoleto.
Gli esperti americani consultati dal Naep hanno spiegato che la lettura è un’abilità complessa. Essa richiede sia la capacità di decodificare un testo, sia quella di saperlo comprendere. Nella comprensione di un brano, quindi, ha un ruolo fondamentale il bagaglio di conoscenze. Parametro che le classiche prove standard non misurano affatto. Uno degli esperti consultati dal Naep, Daniel Willingham, professore di psicologia presso l’Università della Virginia, lo ha chiarito molto bene con un esempio. Se si chiede di leggere un testo sulla Tour Eiffel, quei bambini che sanno già cosa sia la Tour Eiffel comprenderanno il testo molto meglio di quelli che non l’hanno mai sentita nominare. Secondo Timothy Shanahan[4], professore emerito all’Università dell’Illinois e autore di oltre 200 pubblicazioni sulla reading education, il sistema dei test commette anche un altro errore. Esso misura le capacità dei ragazzi usando dei brani scelti secondo il loro livello di capacità. Al contrario diverse ricerche dimostrano come gli studenti imparino molto di più quando leggono testi al di sopra del loro livello di competenze. Questi testi, infatti, li costringono a sforzarsi, arricchendo in tal modo il loro vocabolario e la loro capacità di comprensione del testo stesso.
Qual è dunque la soluzione proposta? In sostanza, dobbiamo fornire ai ragazzi maggiori conoscenze. Alcuni testi, come Data-Driven Improvement and Accountability pubblicato nell’ottobre 2013 a cura del National Education Policy Center dell’Università del Colorado, hanno mostrato come un’eccessiva enfasi sul monitoraggio delle competenze attraverso test standardizzati può condurre a una didattica fine a se stessa, finalizzata principalmente al solo superamento dei test. Gli autori, al contrario, propongono un sistema di valutazioni basato su un ampio ventaglio di prove e di indicatori che possano riflettere meglio ciò che gli studenti hanno imparato o stanno imparando.
Vi sono esempi che confermano la validità di questo approccio. La Finlandia, che da tempo raggiunge il più alto punteggio al mondo nell’Education Index (pubblicato ogni anno nello Human Development Index dell’ONU), non usa alcuna forma di valutazione standardizzata delle competenze.
E in Italia? Con la tradizionale inerzia che contraddistingue il sistema scolastico italiano, si continua con la moda delle competenze, si riempiono tonnellate di schede e si continuano a somministrare i vituperati test INVALSI, ogni anno con le solite polemiche, senza che nessuno sappia bene a cosa servano e cosa misurino esattamente[5].
Gli Stati membri vennero caldamente invitati a svilupparne l’offerta, nell’ambito delle loro strategie di apprendimento permanente. Le competenze chiave sono quelle indispensabili per la realizzazione e lo sviluppo personali, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione. In particolare, esse vengono individuate come: 1) comunicazione nella madrelingua; 2) comunicazione nelle lingue straniere; 3) competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia; 4) competenza digitale; 5) imparare a imparare; 6) competenze sociali e civiche; 7) spirito di iniziativa e imprenditorialità; 8) consapevolezza ed espressione culturale.
Le competenze di base sono poi articolate in quattro gruppi, definiti assi: 1) asse dei linguaggi (padronanza della lingua italiana, utilizzare una lingua straniera per i principali scopi comunicativi e operativi, utilizzare gli strumenti fondamentali per una fruizione consapevole del patrimonio artistico e letterario, utilizzare e produrre testi multimediali); 2) asse matematico (utilizzare le tecniche e le procedure del calcolo aritmetico e algebrico, rappresentandole anche sotto forma grafica, confrontare e analizzare figure geometriche, individuando invarianti e relazioni, individuare le strategie appropriate per la soluzione di problemi, analizzare dati e interpretarli sviluppando deduzioni e ragionamenti sugli stessi anche con l’ausilio di rappresentazioni grafiche, usando consapevolmente gli strumenti di calcolo e le potenzialità offerte da applicazioni specifiche di tipo informatico); 3) asse scientifico-tecnologico (osservare, descrivere e analizzare fenomeni appartenenti alla realtà naturale e artificiale e riconoscere nelle sue varie forme i concetti di sistema e di complessità, analizzare qualitativamente e quantitativamente fenomeni legati alle trasformazioni di energia a partire dall’esperienza, essere consapevole delle potenzialità e dei limiti delle tecnologie nel contesto culturale e sociale in cui vengono applicate); 4) asse storico e sociale (comprendere il cambiamento e la diversità dei tempi storici in una dimensione diacronica attraverso il confronto fra epoche e in una dimensione sincronica attraverso il confronto fra aree geografiche e culturali, collocare l’esperienza personale in un sistema di regole fondato sul reciproco riconoscimento dei diritti garantiti dalla Costituzione, a tutela della persona, della collettività e dell’ambiente, riconoscere le caratteristiche essenziali del sistema socio economico per orientarsi nel tessuto produttivo del proprio territorio).
Nello stesso documento viene definita la differenza tra conoscenze, competenze e abilità.
Le conoscenze indicano il risultato dell’assimilazione di informazioni attraverso l’apprendimento. Esse sono l’insieme di fatti, principi, teorie e pratiche, relative a un settore di studio o di lavoro. Nel Quadro Europeo delle Qualifiche e dei Titoli (European Qualifications Framework - EQF), le conoscenze sono descritte come teoriche e/o pratiche.
Le abilità indicano le capacità di applicare conoscenze e di usare know-how per portare a termine compiti e risolvere problemi. Nell’ EQF, le abilità sono descritte come cognitive (uso del pensiero logico, intuitivo e creativo) e pratiche (che implicano l’abilità manuale e l’uso di metodi, materiali, strumenti).
Le competenze indicano la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale. Nell’ EQF le “competenze” sono descritte in termini di responsabilità e autonomia.
Negli ultimi anni la scuola italiana è stata dominata dal concetto di competenza, con l’obbligo di certificare, per ogni studente, quelle che sono state raggiunte nei vari segmenti di studio. Le stesse “Prove INVALSI” (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione) che tante polemiche hanno suscitato, almeno sulla carta, avrebbero come finalità l’accertamento delle competenze.
Ora una doccia fredda sul tanto enfatizzato concetto di competenza giunge da uno studio americano[2].
Lo studio parte dalla constatazione che gli studenti degli Stati Uniti, nonostante i massicci investimenti finalizzati al miglioramento di questa importante competenza, non riescono a migliorare le loro capacità di lettura[3]. Il Naep (National Assessment of Educational Progress), equivalente americana dell’INVALSI, ha riunito un gruppo di esperti per analizzare il problema e trovare possibili soluzioni. Il risultato raggiunto dal gruppo di lavoro è stato definito sorprendente, ma forse è lapalissiano. “Leggere non è come andare in bicicletta”, non basta saper solo pedalare. Per comprendere un testo è necessario possedere un solido bagaglio di conoscenze. Il sistema scolastico americano invece negli ultimi venti anni ha investito sulle competenze, tralasciando il vecchio concetto di conoscenze, considerato oramai obsoleto.
Gli esperti americani consultati dal Naep hanno spiegato che la lettura è un’abilità complessa. Essa richiede sia la capacità di decodificare un testo, sia quella di saperlo comprendere. Nella comprensione di un brano, quindi, ha un ruolo fondamentale il bagaglio di conoscenze. Parametro che le classiche prove standard non misurano affatto. Uno degli esperti consultati dal Naep, Daniel Willingham, professore di psicologia presso l’Università della Virginia, lo ha chiarito molto bene con un esempio. Se si chiede di leggere un testo sulla Tour Eiffel, quei bambini che sanno già cosa sia la Tour Eiffel comprenderanno il testo molto meglio di quelli che non l’hanno mai sentita nominare. Secondo Timothy Shanahan[4], professore emerito all’Università dell’Illinois e autore di oltre 200 pubblicazioni sulla reading education, il sistema dei test commette anche un altro errore. Esso misura le capacità dei ragazzi usando dei brani scelti secondo il loro livello di capacità. Al contrario diverse ricerche dimostrano come gli studenti imparino molto di più quando leggono testi al di sopra del loro livello di competenze. Questi testi, infatti, li costringono a sforzarsi, arricchendo in tal modo il loro vocabolario e la loro capacità di comprensione del testo stesso.
Qual è dunque la soluzione proposta? In sostanza, dobbiamo fornire ai ragazzi maggiori conoscenze. Alcuni testi, come Data-Driven Improvement and Accountability pubblicato nell’ottobre 2013 a cura del National Education Policy Center dell’Università del Colorado, hanno mostrato come un’eccessiva enfasi sul monitoraggio delle competenze attraverso test standardizzati può condurre a una didattica fine a se stessa, finalizzata principalmente al solo superamento dei test. Gli autori, al contrario, propongono un sistema di valutazioni basato su un ampio ventaglio di prove e di indicatori che possano riflettere meglio ciò che gli studenti hanno imparato o stanno imparando.
Vi sono esempi che confermano la validità di questo approccio. La Finlandia, che da tempo raggiunge il più alto punteggio al mondo nell’Education Index (pubblicato ogni anno nello Human Development Index dell’ONU), non usa alcuna forma di valutazione standardizzata delle competenze.
E in Italia? Con la tradizionale inerzia che contraddistingue il sistema scolastico italiano, si continua con la moda delle competenze, si riempiono tonnellate di schede e si continuano a somministrare i vituperati test INVALSI, ogni anno con le solite polemiche, senza che nessuno sappia bene a cosa servano e cosa misurino esattamente[5].
Note
2) A. O’ Donnell, “Key Takeaways From This Year’s NAEP Results”, International Literacy Association, 13 aprile 2018: https://tinyurl.com/yagm5pdo ; O. Riva, “Scuola, l’America fa dietrofront: più conoscenze, meno competenze”, Corriere della Sera, 17 aprile 2018; N. Wexler, “Why American Students Haven’t Gotten Better at Reading in 20 Years”, The Atlantic, 13 aprile 2018: https://tinyurl.com/y8h9n6oc
3) S. Vander Hart, “NAEP Scores Stagnant After Years of Common Core”, Truth In American Education, 12 aprile 2018: https://tinyurl.com/ya85zbfg
5) R. Palermo, “Prove Invalsi: cosa devono misurare? Non lo sanno neppure gli esperti”, La tecnica della scuola, 13 maggio 2018: https://tinyurl.com/y7kngmcf .