1. La casa editrice Odoya ha recentemente compiuto un'operazione editoriale interessante, ripubblicando la traduzione italiana, risalente al 1941, di un testo curato da Joseph Jastrow, edito originariamente nel 1936 con il titolo The Story of Human Error. Data l'importanza storica del testo, sarebbe stato tuttavia opportuno far precedere la riproposizione di quest'opera da un'introduzione che ne illustrasse il significato nel contesto in cui è nata, in primo luogo per non indurre il lettore a pensare che si tratti di un testo recente. Non che manchi nei crediti l'indicazione dell'edizione che si è andati a ristampare (Storia dell'errore umano, Milano, Mondadori, traduzione di Luigi Gallone), o nel risvolto della copertina un breve profilo del curatore; ma, proprio perché si tratta di una pubblicazione di interesse storico e non di un volume di storia della scienza o di divulgazione scientifica scritto ai nostri giorni, la sua riproposizione avrebbe meritato un adeguato inquadramento (e forse il mantenimento del titolo della prima traduzione, che invece è stato modificato in Storia degli errori scientifici dall'antichità al Novecento, che ne fuorvia in parte il significato). Speriamo quindi di fare una cosa utile assolvendo a questo compito.
2. La storia della scienza ha assunto le caratteristiche di una disciplina professionale, ottenendo anche un riconoscimento a livello istituzionale, soltanto nella seconda metà del Novecento. Come ha scritto Arnold Thackray, «nel 1950 il Nord-America poteva forse vantare cinque storici della scienza di professione». Nonostante alcuni tentativi di realizzare importanti progetti di ampio respiro culturale e filosofico, nel periodo dell'Illuminismo o durante l'Ottocento, per molto tempo le storie della scienza hanno avuto la struttura di semplici cronache. Costituite da schematiche cronologie di grandi uomini e importanti scoperte, tali cronache, spesso scritte da scienziati, hanno quasi sempre trascurato la complessità dei contesti in cui le ricerche scientifiche si sono sviluppate. Una caratteristica questa (come abbiamo già avuto modo di vedere su Query n. 14) che si è progressivamente estesa anche ai manuali scolastici e al modo in cui l'evoluzione della scienza viene presentata agli studenti. Soltanto con il raggiungimento, da parte della storia della scienza, del livello di disciplina effettivamente "storica" (apparente paradosso correttamente spiegato da Jacques Roger, uno più importanti esponenti della disciplina nel secolo scorso), si è compreso e, soprattutto, dimostrato, come lo sviluppo della scienza non possa essere presentato attraverso una trionfale rassegna di verità che si sono succedute logicamente nel tempo. Infatti, ciò che per noi appare come ovvio e naturale è invece il risultato di processi complicati, di decisioni difficili, di scelte operate in situazioni diverse da quelle attuali. Alle spalle di un qualsiasi successo scientifico esiste un universo fatto di lotte, contrasti, dibattiti, immagini del mondo in competizione fra loro, idee vincenti ed errori; errori che spesso caratterizzano non solo le teorie sbagliate, ma anche quelle che si affermano, perché si rivelano alla fine vere. Dunque, almeno nell'ambito della ricerca specialistica, è stata acquisita la consapevolezza che la "storia" della scienza non può essere identificata con una "cronaca" della scienza, cioè con una esposizione di teorie e nozioni che trascuri l'esame del contesto in cui quelle teorie e quelle nozioni vennero formulate. Verità ed errore, nel racconto storico di una scoperta scientifica, rappresentano elementi da valutare con la stessa attenzione. Fare cronaca significa eliminare l'errore ritenendolo inutile ai fini del progresso e della conoscenza. Lo storico rivaluta invece i passi falsi degli scienziati, conferendo ad essi un ruolo decisivo nella comprensione degli avvenimenti. Come ha scritto Walter Pagel, “lo storico deve rovesciare il metodo della selezione (fondato sul punto di vista ʽmodernoʼ) e ricollocare i pensieri del suo protagonista nel loro contesto originale. Le due serie di pensieri, scientifici e non-scientifici, emergeranno allora non semplicemente come giustapposti o concepiti gli uni a dispetto degli altri, ma come un tutto organico nel quale essi si rafforzano gli uni con gli altri”.
Quanto abbiamo detto finora, tuttavia, non deve far pensare che gli scienziati non abbiano offerto contributi alla definizione della scienza come disciplina storica. Al contrario, è stato proprio dal mondo scientifico che hanno preso l'avvio, nei primi decenni del Novecento, seri tentativi di rivedere e riformare gli studi di storia della scienza, grazie a personalità quali Pierre Duhem e Paul Tannery (cfr. Query n. 12). È in questa prospettiva che assume uno straordinario valore l'opera di Joseph Jastrow, il quale, a metà degli anni Trenta del XX secolo, riunì un gruppo di specialisti di diverse discipline scientifiche, sia nell'ambito delle scienze fisiche e naturali che in quello delle scienze dell'uomo, ai quali affidò il compito di raccontare la storia della scienza non secondo la prospettiva della cronaca delle idee vincenti, ma di quella degli errori. L'importanza di questo progetto assume un valore ancora più grande se poniamo attenzione alla biografia e al curriculum del suo ideatore. Joseph Jastrow, infatti, è stato uno dei più importanti psicologici statunitensi (di origine ebraica, nato a Varsavia nel 1863, si trasferì a Philadelphia a tre anni), assistente di Charles Sanders Peirce alla Johns Hopkins University e, fra le molte altre cose, presidente dell'American Psychological Association. Grande divulgatore della sua disciplina, il suo nome è legato alla scoperta di diverse illusioni ottiche, tra cui quella celeberrima dell'anatra-coniglio. Per questo motivo, non sorprende di trovare il suo nome anche tra i membri dell'American Society for Psychical Research (ASPR), nata solamente due anni dopo la SPR di Londra (1882), la quale vedeva tra i suoi componenti anche William James, G. Stanley Hall, Edward B. Titchener e Morton Prince.
Relativamente al nostro argomento, l'idea di Jastrow è che mettere in evidenza il ruolo degli errori nello sviluppo della scienza non ha solo un valore metodologicamente corretto da un punto di vista storico, ma è essenziale per descrivere i meccanismi ed il funzionamento della mente umana. Meccanismi e funzionamento che, a loro volta, esemplificano perché sia necessaria la scienza come forma di conoscenza, in grado di limitare il più possibile gli errori di valutazione ai quali tutti gli esseri umani sono soggetti. Un approccio quanto mai centrato ed estremamente attuale, che egli definì «errologia»: «in questo libro noi ci proponiamo di mettere in rilievo l'errore, da un lato come parte integrante della storia della scienza, e dall'altro come incarnazione delle tendenze astrattamente logiche e psicologiche nella ricerca del vero; si può dunque considerare il nostro studio come uno schema di errologia, se è lecito servirsi di un termine ibrido» (p. 25).
Fra i nomi dei collaboratori, merita una menzione quello del matematico Eric Temple Bell, noto anche come scrittore di fantascienza (e di alto livello) con lo pseudonimo di John Taine. A dimostrazione del fatto che ricerca del vero, sia nella scienza che in ambito storico, non sono assolutamente incompatibili con la creatività e l'immaginazione, una volta che si abbiano ben chiari quali sono i limiti e le regole dei campi in cui si opera.
2. La storia della scienza ha assunto le caratteristiche di una disciplina professionale, ottenendo anche un riconoscimento a livello istituzionale, soltanto nella seconda metà del Novecento. Come ha scritto Arnold Thackray, «nel 1950 il Nord-America poteva forse vantare cinque storici della scienza di professione». Nonostante alcuni tentativi di realizzare importanti progetti di ampio respiro culturale e filosofico, nel periodo dell'Illuminismo o durante l'Ottocento, per molto tempo le storie della scienza hanno avuto la struttura di semplici cronache. Costituite da schematiche cronologie di grandi uomini e importanti scoperte, tali cronache, spesso scritte da scienziati, hanno quasi sempre trascurato la complessità dei contesti in cui le ricerche scientifiche si sono sviluppate. Una caratteristica questa (come abbiamo già avuto modo di vedere su Query n. 14) che si è progressivamente estesa anche ai manuali scolastici e al modo in cui l'evoluzione della scienza viene presentata agli studenti. Soltanto con il raggiungimento, da parte della storia della scienza, del livello di disciplina effettivamente "storica" (apparente paradosso correttamente spiegato da Jacques Roger, uno più importanti esponenti della disciplina nel secolo scorso), si è compreso e, soprattutto, dimostrato, come lo sviluppo della scienza non possa essere presentato attraverso una trionfale rassegna di verità che si sono succedute logicamente nel tempo. Infatti, ciò che per noi appare come ovvio e naturale è invece il risultato di processi complicati, di decisioni difficili, di scelte operate in situazioni diverse da quelle attuali. Alle spalle di un qualsiasi successo scientifico esiste un universo fatto di lotte, contrasti, dibattiti, immagini del mondo in competizione fra loro, idee vincenti ed errori; errori che spesso caratterizzano non solo le teorie sbagliate, ma anche quelle che si affermano, perché si rivelano alla fine vere. Dunque, almeno nell'ambito della ricerca specialistica, è stata acquisita la consapevolezza che la "storia" della scienza non può essere identificata con una "cronaca" della scienza, cioè con una esposizione di teorie e nozioni che trascuri l'esame del contesto in cui quelle teorie e quelle nozioni vennero formulate. Verità ed errore, nel racconto storico di una scoperta scientifica, rappresentano elementi da valutare con la stessa attenzione. Fare cronaca significa eliminare l'errore ritenendolo inutile ai fini del progresso e della conoscenza. Lo storico rivaluta invece i passi falsi degli scienziati, conferendo ad essi un ruolo decisivo nella comprensione degli avvenimenti. Come ha scritto Walter Pagel, “lo storico deve rovesciare il metodo della selezione (fondato sul punto di vista ʽmodernoʼ) e ricollocare i pensieri del suo protagonista nel loro contesto originale. Le due serie di pensieri, scientifici e non-scientifici, emergeranno allora non semplicemente come giustapposti o concepiti gli uni a dispetto degli altri, ma come un tutto organico nel quale essi si rafforzano gli uni con gli altri”.
Quanto abbiamo detto finora, tuttavia, non deve far pensare che gli scienziati non abbiano offerto contributi alla definizione della scienza come disciplina storica. Al contrario, è stato proprio dal mondo scientifico che hanno preso l'avvio, nei primi decenni del Novecento, seri tentativi di rivedere e riformare gli studi di storia della scienza, grazie a personalità quali Pierre Duhem e Paul Tannery (cfr. Query n. 12). È in questa prospettiva che assume uno straordinario valore l'opera di Joseph Jastrow, il quale, a metà degli anni Trenta del XX secolo, riunì un gruppo di specialisti di diverse discipline scientifiche, sia nell'ambito delle scienze fisiche e naturali che in quello delle scienze dell'uomo, ai quali affidò il compito di raccontare la storia della scienza non secondo la prospettiva della cronaca delle idee vincenti, ma di quella degli errori. L'importanza di questo progetto assume un valore ancora più grande se poniamo attenzione alla biografia e al curriculum del suo ideatore. Joseph Jastrow, infatti, è stato uno dei più importanti psicologici statunitensi (di origine ebraica, nato a Varsavia nel 1863, si trasferì a Philadelphia a tre anni), assistente di Charles Sanders Peirce alla Johns Hopkins University e, fra le molte altre cose, presidente dell'American Psychological Association. Grande divulgatore della sua disciplina, il suo nome è legato alla scoperta di diverse illusioni ottiche, tra cui quella celeberrima dell'anatra-coniglio. Per questo motivo, non sorprende di trovare il suo nome anche tra i membri dell'American Society for Psychical Research (ASPR), nata solamente due anni dopo la SPR di Londra (1882), la quale vedeva tra i suoi componenti anche William James, G. Stanley Hall, Edward B. Titchener e Morton Prince.
Relativamente al nostro argomento, l'idea di Jastrow è che mettere in evidenza il ruolo degli errori nello sviluppo della scienza non ha solo un valore metodologicamente corretto da un punto di vista storico, ma è essenziale per descrivere i meccanismi ed il funzionamento della mente umana. Meccanismi e funzionamento che, a loro volta, esemplificano perché sia necessaria la scienza come forma di conoscenza, in grado di limitare il più possibile gli errori di valutazione ai quali tutti gli esseri umani sono soggetti. Un approccio quanto mai centrato ed estremamente attuale, che egli definì «errologia»: «in questo libro noi ci proponiamo di mettere in rilievo l'errore, da un lato come parte integrante della storia della scienza, e dall'altro come incarnazione delle tendenze astrattamente logiche e psicologiche nella ricerca del vero; si può dunque considerare il nostro studio come uno schema di errologia, se è lecito servirsi di un termine ibrido» (p. 25).
Fra i nomi dei collaboratori, merita una menzione quello del matematico Eric Temple Bell, noto anche come scrittore di fantascienza (e di alto livello) con lo pseudonimo di John Taine. A dimostrazione del fatto che ricerca del vero, sia nella scienza che in ambito storico, non sono assolutamente incompatibili con la creatività e l'immaginazione, una volta che si abbiano ben chiari quali sono i limiti e le regole dei campi in cui si opera.
Riferimenti bibliografici
- M. Ciardi. 1996. Dalla cronaca al continuismo. Pierre Duhem e la nascita della storia della scienza moderna, in «Nuncius», 11, pp. 687-698.
- M. Ciardi. 2017. Il mistero degli antichi astronauti, Roma: Carocci.
- J. Jastrow. 2017. Storia degli errori scientifici dall'antichità al Novecento, Bologna: Odoya.
- P. Rossi. 1986. I ragni e le formiche. Un'apologia della storia della scienza, Bologna: Il Mulino.