Sono ormai lontani gli anni in cui si discuteva dell’effetto deleterio dei fumetti sui giovani. Chi portava avanti quelle battaglie, purtroppo non conosceva ciò che criticava. Eppure sarebbe bastato leggere L’inferno di Topolino (1949-1950), sceneggiato dal geniale Guido Martina e disegnato da Angelo Bioletto, per rendersi conto della valenza culturale dei comics. E anche dello straordinario lavoro di documentazione, in primo luogo di tipo storico, svolto da sceneggiatori e disegnatori, che spesso possiedono competenze di altissimo livello.
Sarà sufficiente citare, su tutti, Carl Barks (tanto per intendersi, l’inventore di Zio Paperone), uno dei più grandi autori del Novecento (cfr. | Query n. 27). E quando dico autori, non intendo autori di fumetti, ma solo autori. Punto. Perché la differenza tra la cultura “alta” e quella “popolare” è tutta da dimostrare.
«Quando ho voglia di rilassarmi leggo un saggio di Engels, se invece desidero impegnarmi leggo Corto Maltese», ha affermato una volta Umberto Eco, che, a partire dagli anni ’60 del Novecento, ha contribuito in maniera decisiva alla rivalutazione della «letteratura disegnata» (come la chiamava Hugo Pratt), assieme ad altri studiosi e intellettuali. Ad esempio Giulio Giorello (cfr. | Query n. 42 ), che ha messo in evidenza il contenuto altamente filosofico dei fumetti. Senza dimenticare gli imprescindibili studi di Antonio Faeti, noti a livello internazionale. Naturalmente, come ogni forma d'arte, il fumetto è una forma di intrattenimento. E con questo spirito è giusto immergersi nella lettura delle storie dei personaggi che più amiamo. Ma è importante ricordarsi che quelle storie non nascono dal nulla, bensì da un duro lavoro, molto studio e una infinità di fonti.
Uno straordinario esempio è quello di Georges Remi (1907-1983), meglio conosciuto con lo pseudonimo di Hergé (derivato dall’inversione delle sue iniziali), il creatore di Tintin, la cui opera è stata oggetto anche di importanti analisi filosofiche, come quella di Michel Serres. Ma ciò che qui preme rilevare è che ogni storia creata da Hergé è frutto di un incredibile lavoro di documentazione. Ad esempio, prendiamo in considerazione uno dei più bei racconti dedicati ai viaggi sulla Luna, la cui prima parte, “Objectif Lune” (“Obiettivo Luna”), iniziò a essere pubblicata su Le Journal de Tintin a partire dal 30 marzo 1950.
Per realizzare il sedicesimo episodio delle avventure di Tintin, a cui stava lavorando da almeno due anni, Hergé, da sempre attento alle tematiche scientifiche, si avvalse soprattutto della consulenza di Alexander Ananoff, uno dei pionieri della scienza del volo spaziale in Francia, a testimonianza del continuo scambio di idee e suggestioni tra realtà e fantasia in questo settore. In quel periodo, Ananoff stava realizzando un libro destinato a essere un compendio delle sue ricerche, L’Astronatique, che fu pubblicato proprio nello stesso mese in cui prese l’avvio la storia di Tintin. Hergé lasciò una traccia concreta di questa collaborazione sulla copertina de Le Journal de Tintin dell’11 maggio 1950, in cui il volume di Ananoff è ben visibile sulla scrivania del professor Girasole.
Nell’ottobre del 1950 Ananoff fu uno dei protagonisti del Primo Congresso Internazionale di Astronautica, che si tenne a Parigi. In quei giorni Hergé era nuovamente alle prese con i suoi problemi di salute, dovuti in larga misura alla depressione e agli eccessivi carichi di lavoro, che gli impedirono di portare a termine la prima parte della storia, concepita, sulla scia di Jules Verne, in due capitoli separati. Quando riprenderà la narrazione, nel 1952, aggiungendovi il seguito, “On a marché sur la Lune” (“Uomini sulla Luna”), Hergé avrà ulteriori fonti a cui rifarsi, a partire da un film proiettato alla Sorbona proprio durante il congresso, Destination Moon (in italiano Uomini sulla Luna, 1950), il primo film di fantascienza del secondo dopoguerra. Diretto da Irving Pichel e prodotto da George Pal, il film si basava su un soggetto ispirato ai racconti lunari di Robert A. Heinlein, al quale venne affidata la sceneggiatura. A fianco del film, decisiva sarà per Hergé la lettura di The Conquest of Space (1951) di Willy Ley (cfr. |Query n. 25 ) e Chesley Bonestell. Non a caso, i due avevano collaborato attivamente anche alla realizzazione del film. Le scene sulla Luna costituivano la fedele riproduzione del nostro satellite secondo la visione di Bonestell, i cui disegni, prima ancora che la visione del film, influenzarono la creatività di Hergé.
Per la realizzazione delle opere lunari, Hergé si confrontò spesso anche con Bernard Heuvelmans, autore di articoli e libri di divulgazione scientifica, il quale aveva già collaborato con il creatore di Tintin in altre occasioni. Heuvelmans, di lì a poco, sarebbe diventato famoso per i suoi studi nell’ambito della criptozoolgia, di cui è ritenuto il vero e proprio fondatore, a partire dall’uscita del volume Sur la piste des bêtes ignorées (1955), che ebbe una certa influenza nella rappresentazione dello Yeti nell’avventura “Tintin au Tibet” (“Tintin in Tibet”), uscita per la prima volta su Le Journal de Tintin dal 17 settembre 1958 al 25 novembre 1959.
L’amicizia con Heuvelmans è una delle tante testimonianze dell’interesse di Hergé per le tematiche fantastiche, misteriose e – in molti casi – anche pseudoscientifiche. Tra le conoscenze di Hergé ci fu, non a caso, anche Jacques Bergier, l’autore, assieme a Louis Pauwels, del celeberrimo Le Matin des magiciens (Il mattino dei maghi, 1960). Hergé arrivò addirittura a rappresentare Bergier nella storia “Vol 714 pour Sydney” (“Volo 714 per Sidney”), pubblicata su Le Journal de Tintin dal 27 settembre 1966 al 28 novembre 1967. L’avventura è ricca di tematiche pseudoscientifiche, inclusa la teoria degli antichi astronauti. Tintin e i suoi compagni di avventura, infatti, si trovano coinvolti in una vicenda che li porterà alla scoperta di una civiltà proveniente dallo spazio, la quale sta visitando la Terra da millenni ed è responsabile del fenomeno dei dischi volanti. A guardia dell’antico tempio che serve da base per gli alieni c’è un simpatico personaggio in giacca e cravatta, in contatto telepatico con gli extraterrestri, Mik Ezdanotoff, che si esprime con un accento particolare: «Vedete disegno su muro? È evidente che è macchina usata da esseri venuti da altri pianeti. Migliaia di anni fa uomini edificarono tempio per omaggio a Dei discesi da cielo su carri di fuoco. In realtà carri essere astronavi come quella. E Dei erano... Ma avete visto statua? Che cosa rappresenta secondo voi?». Risposta di Tintin: «Si direbbe... si direbbe un cosmonauta con casco, microfono e cuffia». La statua raffigurata era la colossale testa olmeca che appariva sulla copertina del volume di Robert Charroux (altro famoso autore di libri di archeologia misteriosa), Le Livre des secrets trahis, uscito nel 1965, mentre il curioso ometto era proprio un omaggio all’incredibile (l’aggettivo è di Hergé) Jacques Bergier. Non va dimenticato che Hergé fu anche molto legato a Edgar P. Jacobs, il creatore della serie Blake e Mortimer, altro capolavoro del fumetto franco-belga, assai apprezzato da Bergier, in particolare per la storia “L’Énigme de l’Atlantide” (“L’enigma di Atlantide”), uscita su Le Journal de Tintin dal 19 ottobre 1955 al 19 dicembre 1956.
La presenza di tematiche pseudoscientifiche nell’opera di Hergé dovrebbe preoccuparci? Assolutamente no. Come abbiamo ripetuto in più di un’occasione, ciò che conta è saper distinguere bene i piani del discorso. La letteratura a fumetti, come ogni altra forma d’arte e di intrattenimento, non ha l’obbligo di essere un trattato scientifico. Quello che importa è che la storia sia avvincente, interessi e appassioni. Poi ci sarà tutto il tempo di discutere sulla sua veridicità e di andare a caccia delle fonti utilizzate dall’autore. Insomma, di distinguere la realtà della fantasia.
Sarà sufficiente citare, su tutti, Carl Barks (tanto per intendersi, l’inventore di Zio Paperone), uno dei più grandi autori del Novecento (cfr. | Query n. 27). E quando dico autori, non intendo autori di fumetti, ma solo autori. Punto. Perché la differenza tra la cultura “alta” e quella “popolare” è tutta da dimostrare.
«Quando ho voglia di rilassarmi leggo un saggio di Engels, se invece desidero impegnarmi leggo Corto Maltese», ha affermato una volta Umberto Eco, che, a partire dagli anni ’60 del Novecento, ha contribuito in maniera decisiva alla rivalutazione della «letteratura disegnata» (come la chiamava Hugo Pratt), assieme ad altri studiosi e intellettuali. Ad esempio Giulio Giorello (cfr. | Query n. 42 ), che ha messo in evidenza il contenuto altamente filosofico dei fumetti. Senza dimenticare gli imprescindibili studi di Antonio Faeti, noti a livello internazionale. Naturalmente, come ogni forma d'arte, il fumetto è una forma di intrattenimento. E con questo spirito è giusto immergersi nella lettura delle storie dei personaggi che più amiamo. Ma è importante ricordarsi che quelle storie non nascono dal nulla, bensì da un duro lavoro, molto studio e una infinità di fonti.
Uno straordinario esempio è quello di Georges Remi (1907-1983), meglio conosciuto con lo pseudonimo di Hergé (derivato dall’inversione delle sue iniziali), il creatore di Tintin, la cui opera è stata oggetto anche di importanti analisi filosofiche, come quella di Michel Serres. Ma ciò che qui preme rilevare è che ogni storia creata da Hergé è frutto di un incredibile lavoro di documentazione. Ad esempio, prendiamo in considerazione uno dei più bei racconti dedicati ai viaggi sulla Luna, la cui prima parte, “Objectif Lune” (“Obiettivo Luna”), iniziò a essere pubblicata su Le Journal de Tintin a partire dal 30 marzo 1950.
Per realizzare il sedicesimo episodio delle avventure di Tintin, a cui stava lavorando da almeno due anni, Hergé, da sempre attento alle tematiche scientifiche, si avvalse soprattutto della consulenza di Alexander Ananoff, uno dei pionieri della scienza del volo spaziale in Francia, a testimonianza del continuo scambio di idee e suggestioni tra realtà e fantasia in questo settore. In quel periodo, Ananoff stava realizzando un libro destinato a essere un compendio delle sue ricerche, L’Astronatique, che fu pubblicato proprio nello stesso mese in cui prese l’avvio la storia di Tintin. Hergé lasciò una traccia concreta di questa collaborazione sulla copertina de Le Journal de Tintin dell’11 maggio 1950, in cui il volume di Ananoff è ben visibile sulla scrivania del professor Girasole.
Nell’ottobre del 1950 Ananoff fu uno dei protagonisti del Primo Congresso Internazionale di Astronautica, che si tenne a Parigi. In quei giorni Hergé era nuovamente alle prese con i suoi problemi di salute, dovuti in larga misura alla depressione e agli eccessivi carichi di lavoro, che gli impedirono di portare a termine la prima parte della storia, concepita, sulla scia di Jules Verne, in due capitoli separati. Quando riprenderà la narrazione, nel 1952, aggiungendovi il seguito, “On a marché sur la Lune” (“Uomini sulla Luna”), Hergé avrà ulteriori fonti a cui rifarsi, a partire da un film proiettato alla Sorbona proprio durante il congresso, Destination Moon (in italiano Uomini sulla Luna, 1950), il primo film di fantascienza del secondo dopoguerra. Diretto da Irving Pichel e prodotto da George Pal, il film si basava su un soggetto ispirato ai racconti lunari di Robert A. Heinlein, al quale venne affidata la sceneggiatura. A fianco del film, decisiva sarà per Hergé la lettura di The Conquest of Space (1951) di Willy Ley (cfr. |Query n. 25 ) e Chesley Bonestell. Non a caso, i due avevano collaborato attivamente anche alla realizzazione del film. Le scene sulla Luna costituivano la fedele riproduzione del nostro satellite secondo la visione di Bonestell, i cui disegni, prima ancora che la visione del film, influenzarono la creatività di Hergé.
Per la realizzazione delle opere lunari, Hergé si confrontò spesso anche con Bernard Heuvelmans, autore di articoli e libri di divulgazione scientifica, il quale aveva già collaborato con il creatore di Tintin in altre occasioni. Heuvelmans, di lì a poco, sarebbe diventato famoso per i suoi studi nell’ambito della criptozoolgia, di cui è ritenuto il vero e proprio fondatore, a partire dall’uscita del volume Sur la piste des bêtes ignorées (1955), che ebbe una certa influenza nella rappresentazione dello Yeti nell’avventura “Tintin au Tibet” (“Tintin in Tibet”), uscita per la prima volta su Le Journal de Tintin dal 17 settembre 1958 al 25 novembre 1959.
L’amicizia con Heuvelmans è una delle tante testimonianze dell’interesse di Hergé per le tematiche fantastiche, misteriose e – in molti casi – anche pseudoscientifiche. Tra le conoscenze di Hergé ci fu, non a caso, anche Jacques Bergier, l’autore, assieme a Louis Pauwels, del celeberrimo Le Matin des magiciens (Il mattino dei maghi, 1960). Hergé arrivò addirittura a rappresentare Bergier nella storia “Vol 714 pour Sydney” (“Volo 714 per Sidney”), pubblicata su Le Journal de Tintin dal 27 settembre 1966 al 28 novembre 1967. L’avventura è ricca di tematiche pseudoscientifiche, inclusa la teoria degli antichi astronauti. Tintin e i suoi compagni di avventura, infatti, si trovano coinvolti in una vicenda che li porterà alla scoperta di una civiltà proveniente dallo spazio, la quale sta visitando la Terra da millenni ed è responsabile del fenomeno dei dischi volanti. A guardia dell’antico tempio che serve da base per gli alieni c’è un simpatico personaggio in giacca e cravatta, in contatto telepatico con gli extraterrestri, Mik Ezdanotoff, che si esprime con un accento particolare: «Vedete disegno su muro? È evidente che è macchina usata da esseri venuti da altri pianeti. Migliaia di anni fa uomini edificarono tempio per omaggio a Dei discesi da cielo su carri di fuoco. In realtà carri essere astronavi come quella. E Dei erano... Ma avete visto statua? Che cosa rappresenta secondo voi?». Risposta di Tintin: «Si direbbe... si direbbe un cosmonauta con casco, microfono e cuffia». La statua raffigurata era la colossale testa olmeca che appariva sulla copertina del volume di Robert Charroux (altro famoso autore di libri di archeologia misteriosa), Le Livre des secrets trahis, uscito nel 1965, mentre il curioso ometto era proprio un omaggio all’incredibile (l’aggettivo è di Hergé) Jacques Bergier. Non va dimenticato che Hergé fu anche molto legato a Edgar P. Jacobs, il creatore della serie Blake e Mortimer, altro capolavoro del fumetto franco-belga, assai apprezzato da Bergier, in particolare per la storia “L’Énigme de l’Atlantide” (“L’enigma di Atlantide”), uscita su Le Journal de Tintin dal 19 ottobre 1955 al 19 dicembre 1956.
La presenza di tematiche pseudoscientifiche nell’opera di Hergé dovrebbe preoccuparci? Assolutamente no. Come abbiamo ripetuto in più di un’occasione, ciò che conta è saper distinguere bene i piani del discorso. La letteratura a fumetti, come ogni altra forma d’arte e di intrattenimento, non ha l’obbligo di essere un trattato scientifico. Quello che importa è che la storia sia avvincente, interessi e appassioni. Poi ci sarà tutto il tempo di discutere sulla sua veridicità e di andare a caccia delle fonti utilizzate dall’autore. Insomma, di distinguere la realtà della fantasia.
Riferimenti bibliografici
- M. G. Andretta, M. Ciardi. 2019. Stregati dalla Luna. Il sogno del volo spaziale da Jules Verne all'Apollo 11. Prefazione di P. Angela, Roma: Carocci.
- M. Ciardi. 2017. Il mistero degli antichi astronauti, Roma: Carocci.
- B. Peeters. 2002. Hergé, fils de Tintin, Paris: Flammarion.
- M. Serres. 2017. Hergé, non ami (2016), Pesaro: Portatori d'acqua.