Ritrovato il castello di Re Artù? Così titolavano i giornali qualche tempo fa in riferimento agli scavi condotti nel sito archeologico di Tintagel, a nord della Cornovaglia.
La località è da sempre meta degli appassionati della leggendaria figura del sovrano, ma i resti del Castello esistente risalgono al XIII secolo, mentre la saga di Re Artù è in genere collocata in un’epoca precedente di alcuni secoli.
Il ritrovamento oggi di mura spesse un metro, scalini e pavimenti in ardesia risalenti al VI secolo fa pensare che qui un tempo esisteva il palazzo di antichi regnanti. Secondo la tradizione medievale, Artù sarebbe nato a Tintagel dalla relazione illecita tra un re britannico e la moglie di un duca locale. Una coincidenza?
Da tempo gli studiosi cercano di capire se quella di re Artù sia solo una leggenda, o se sia realmente esistito un personaggio storico che potrebbe averne ispirato la figura. Ecco le loro conclusioni.
Il primo testo a raccogliere leggende e racconti che circolavano da secoli, non solo in Britannia ma anche sul Continente, fu l’Historia Regum Britanniae del 1136, opera del monaco gallese Goffredo di Monmouth. Fu lui a mettere per iscritto la storia di Artù, figlio illegittimo del re Uther di Pendragon, allevato dal mago Merlino, che estraendo una spada incastrata nella roccia acquisì il diritto a diventare re di Britannia.
Più avanti, altri autori arricchiranno la storia, raccontando di come Artù ricevette dalla Dama del lago la magica spada Excalibur, sconfisse gli invasori e raccolse alla sua reggia, il castello di Camelot, i valorosi Cavalieri della Tavola Rotonda, un ordine votato alla giustizia e all’onore. Ma la pace non durò a lungo.
Con il poeta francese Chrétien de Troyes, nel XII secolo, farà la sua comparsa nella saga Lancillotto, il guerriero più fidato di Artù, che si innamorerà di Ginevra, la moglie del sovrano, e il loro amore illecito contribuirà alla caduta di Camelot. Lancillotto partirà poi alla ricerca del misterioso Graal, lo vedrà ma non potrà impadronirsene. L’impresa riuscirà invece al figlio, Sir Galahad, un altro cavaliere concepito da Lancillotto con la figlia del Re Pescatore.
Thomas Malory, che scrive nel XV secolo, sviluppa poi il racconto di Mordred, figlio che Artù aveva avuto in gioventù dalla sorellastra e fattucchiera Morgana. Mordred complotta alle spalle di Artù, è lui a spingere Ginevra all’adulterio, cercando così di distrarre il re in modo da potergli usurpare il trono. Nella Battaglia di Camlann però finirà ucciso e Artù, seppur vincitore, rimarrà ferito gravemente. Il re sarà condotto all’isola di Avalon, per curare le ferite, e lungo il tragitto restituirà Excalibur alla Dama del lago.
Nella leggenda, Artù non muore ma resta sull’isola a recuperare le forze in attesa del giorno in cui il paese avrà ancora bisogno di lui.
Questa storia meravigliosa e immortale, nucleo del ciclo Bretone, fornirà, insieme al ciclo Carolingio che ruota attorno al paladino Orlando, linfa a numerosi rifacimenti nei secoli successivi ed è ancora oggi la principale fonte da cui attinge il genere fantasy (vedi box). E, tuttavia, potrebbe avere una base storica.
Non si tratta però di una realtà storica come quella di Alessandro il Grande o Carlo Magno, che divennero eroi di leggende medievali, ma sulla cui esistenza si trovano documentazioni storiche attendibili.
«Nel caso di Artù, l’enfasi è tutta sulla leggenda» spiega Geoffrey Ashe, considerato il più grande esperto arturiano. «Dire che Artù è esistito vorrebbe dire riconoscere che un magnifico monarca visse e regnò, per un certo periodo di tempo, nella sua gloriosa corte medievale, così come narrato nelle romanze. E questo non è vero. Non è mai esistita una persona simile, un re Artù così inteso. D’altra parte, dire che Artù non è esistito vorrebbe dire che è solo un personaggio di fantasia, inventato nel medioevo quando queste storie si diffusero, e che non esistono riferimenti storici precedenti o una vera persona dietro queste storie. Anche questa non è una risposta corretta».
Si è infatti scoperto che tra la fine del quinto e l’inizio del sesto secolo, poco dopo il periodo in cui si suppone Artù sia vissuto, non meno di sei principi britannici furono battezzati “Artù”. Nessuno di essi fu abbastanza importante da originare la leggenda, ma si può ipotizzare che la popolarità del nome derivi dall’esistenza di un Artù, personaggio reale ed eminente del passato recente, così come molte bambine nate alla fine del ventesimo secolo sono state chiamate “Diana”, in ricordo della Principessa allora appena scomparsa.
Un indizio su chi poteva essere questa figura eminente si trova nel racconto di Goffredo di Monmouth. In esso, egli dice che Artù si impegnò in una campagna sul continente quando a guidare l’Impero Romano d’Oriente era un tale imperatore Leone.
Tra il 457 e il 474 d.C. l’imperatore d’Oriente era effettivamente Leone I il Trace e in quel periodo, tra il 468 e il 470, ci fu un uomo, descritto come un re britannico, che guidò un esercito sul continente. Esiste una lettera a lui indirizzata dal vescovo romano Sidonio che lo supplica di occuparsi di alcuni schiavi, di cui deteneva il controllo, fuggiti nella Francia del nord.
Se la lettera fosse stata intestata ad Artù il mistero sarebbe già risolto, ma è invece diretta a un tale Riothamus. A lungo si credette che questo fosse il nome del re in questione, ma Ashe e altri storici hanno scoperto che “Riothamus” non era un nome di persona, bensì un titolo che, nella lingua celtica della Britannia, significava “sua maestà suprema” o “reale supremo”.
Le cose iniziano a farsi ancora più interessanti quando, ricostruendo le gesta dell’esercito di Riothamus, Ashe trova una serie di coincidenze molto suggestive.
Il re approdò presumibilmente in Bretagna e marciò fino a Berry, dove fu sconfitto dai Goti. Unì però le forze con gli alleati romani e una nuova battaglia ebbe luogo nel 470 a Bourges, dove però i britannici furono ancora respinti. Causa della sconfitta fu il tradimento del prefetto del pretorio delle Gallie, tale Arvando, che aveva incoraggiato i Goti ad attaccare i britannici per spartirsi poi il paese con i Borgognoni. Ritirandosi, gli uomini di Riothamus sarebbero dovuti entrare in Borgogna ma di loro non si ebbe più notizia. Riothamus scomparve nel nulla, proprio mentre si dirigeva verso una vera città della Borgogna che si chiama... Avallon.
È quasi troppo bello per essere vero, c’è la storia del tradimento di Arvando, che ricorda quella di Mordred, e la scomparsa di Riothamus diretto ad Avallon, proprio come Artù che scomparve sull’isola di Avalon.
Per Ashe, Riothamus è la figura su cui venne eretta la leggenda di re Artù. «Ci sono troppe coincidenze e Riothamus fa così tante cose “arturiane” che penso siamo finalmente riusciti a centrare il bersaglio» dice.
Chissà se è davvero così, di sicuro re Artù rimane il più grande mistero della storia inglese e continua a suscitare domande sulla sua storicità, come dimostra il ritrovamento del palazzo di Tintagel, e a ispirare sempre nuove rappresentazioni e riletture della sua magnifica storia.
Perché dal Signore degli Anelli a Star Wars, da Harry Potter a Game of Thrones, dalla Torre Nera a Hunger Games non c’è epopea fantasy che non abbia un debito di riconoscenza verso la saga arturiana. E, dunque, potrà anche non essere Storia, ma come fonte di storie nessuno può battere Re Artù.
L’insieme di leggende e storie mitologiche che comprende quelle di re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda, e non solo, è noto anche come Materia di Britannia o Ciclo bretone. È uno dei tre grandi cicli letterari medievali, insieme a quello Romano, incentrato sui miti greci e romani comprendenti personaggi storici come Alessandro Magno e Giulio Cesare, e a quello Carolingio, composto da un insieme di canzoni di gesta francesi imperniate intorno alla figura di Carlo Magno e dei suoi paladini.
Questi cicli nascono come poemi di gesta e imprese di tipo epico, un genere antichissimo che origina insieme alle prime forme di civiltà, dall’epica mesopotamica di Gilgamesh ai canti omerici. Nel Medioevo racconti e leggende orali si trasformano in letteratura a partire dall’XI secolo, in Francia, per poi diffondersi nel resto d’Europa. Sono storie che avranno grande fortuna per almeno duecento anni, quando, con l’evolversi delle società di corte, perderanno rilevanza a scapito dei romanzi cavallereschi, più attenti a tematiche di tipo amoroso che ai combattimenti tra cavalieri.
Artù è un orfano che solo crescendo scopre le sue reali origini e il suo ruolo speciale nell’ordine delle cose. Proprio come Luke Skywalker, Harry Potter e l’Aragorn del Signore degli anelli. Ma ogni apprendista deve avere un maestro un po’ mago, come Merlino, ed ecco allora entrare in scena Obi-Wan Kenobi e Yoda, Albus Silente e Gandalf a ricoprire questo ruolo nelle rispettive saghe.
Il fantasy moderno si nutre delle epopee leggendarie del passato e le reinventa. Se i Cavalieri della Tavola rotonda si avventurano alla ricerca del Graal, Harry Potter si mette sulle tracce della Pietra filosofale, mentre la missione della Compagnia dell’Anello è quella di distruggere l’anello, così come l’Alleanza Ribelle è impegnata ad abbattere il malvagio Impero.
Ogni eroe poi ha la spada che si merita: Artù ha Excalibur, Luke la spada laser del padre, Harry Potter la bacchetta magica e il Re Robert di Game of Thrones possiede addirittura un Trono fatto con le spade dei nemici.
Nella saga arturiana mancano donne eroiche e combattenti, mentre ci sono regine come Ginevra, fate come Morgana e creature magiche come la Dama del Lago. Il fantasy moderno, che si rivolge ormai a un pubblico eterogeneo, trae ispirazione sia da esse che da reali combattenti storiche come Giovanna d’Arco, Boudicca, la regina degli Iceni, o Zenobia, regina di Palmira, per restituirci figure femminili memorabili quali Hermione Granger di Harry Potter, Katniss Everdeen di Hunger Games, o la Principessa Leia, e soprattutto le nuove Rey e Jyn Erso protagoniste della rinnovata serie di Star Wars. Una dimostrazione di come il fantasy moderno sappia nutrirsi dell’antico, senza perdere di vista la modernità.
La località è da sempre meta degli appassionati della leggendaria figura del sovrano, ma i resti del Castello esistente risalgono al XIII secolo, mentre la saga di Re Artù è in genere collocata in un’epoca precedente di alcuni secoli.
Il ritrovamento oggi di mura spesse un metro, scalini e pavimenti in ardesia risalenti al VI secolo fa pensare che qui un tempo esisteva il palazzo di antichi regnanti. Secondo la tradizione medievale, Artù sarebbe nato a Tintagel dalla relazione illecita tra un re britannico e la moglie di un duca locale. Una coincidenza?
Da tempo gli studiosi cercano di capire se quella di re Artù sia solo una leggenda, o se sia realmente esistito un personaggio storico che potrebbe averne ispirato la figura. Ecco le loro conclusioni.
Una leggenda immortale
Il primo testo a raccogliere leggende e racconti che circolavano da secoli, non solo in Britannia ma anche sul Continente, fu l’Historia Regum Britanniae del 1136, opera del monaco gallese Goffredo di Monmouth. Fu lui a mettere per iscritto la storia di Artù, figlio illegittimo del re Uther di Pendragon, allevato dal mago Merlino, che estraendo una spada incastrata nella roccia acquisì il diritto a diventare re di Britannia.
Più avanti, altri autori arricchiranno la storia, raccontando di come Artù ricevette dalla Dama del lago la magica spada Excalibur, sconfisse gli invasori e raccolse alla sua reggia, il castello di Camelot, i valorosi Cavalieri della Tavola Rotonda, un ordine votato alla giustizia e all’onore. Ma la pace non durò a lungo.
Con il poeta francese Chrétien de Troyes, nel XII secolo, farà la sua comparsa nella saga Lancillotto, il guerriero più fidato di Artù, che si innamorerà di Ginevra, la moglie del sovrano, e il loro amore illecito contribuirà alla caduta di Camelot. Lancillotto partirà poi alla ricerca del misterioso Graal, lo vedrà ma non potrà impadronirsene. L’impresa riuscirà invece al figlio, Sir Galahad, un altro cavaliere concepito da Lancillotto con la figlia del Re Pescatore.
Thomas Malory, che scrive nel XV secolo, sviluppa poi il racconto di Mordred, figlio che Artù aveva avuto in gioventù dalla sorellastra e fattucchiera Morgana. Mordred complotta alle spalle di Artù, è lui a spingere Ginevra all’adulterio, cercando così di distrarre il re in modo da potergli usurpare il trono. Nella Battaglia di Camlann però finirà ucciso e Artù, seppur vincitore, rimarrà ferito gravemente. Il re sarà condotto all’isola di Avalon, per curare le ferite, e lungo il tragitto restituirà Excalibur alla Dama del lago.
Nella leggenda, Artù non muore ma resta sull’isola a recuperare le forze in attesa del giorno in cui il paese avrà ancora bisogno di lui.
Forse un Artù è esistito?
Questa storia meravigliosa e immortale, nucleo del ciclo Bretone, fornirà, insieme al ciclo Carolingio che ruota attorno al paladino Orlando, linfa a numerosi rifacimenti nei secoli successivi ed è ancora oggi la principale fonte da cui attinge il genere fantasy (vedi box). E, tuttavia, potrebbe avere una base storica.
Non si tratta però di una realtà storica come quella di Alessandro il Grande o Carlo Magno, che divennero eroi di leggende medievali, ma sulla cui esistenza si trovano documentazioni storiche attendibili.
«Nel caso di Artù, l’enfasi è tutta sulla leggenda» spiega Geoffrey Ashe, considerato il più grande esperto arturiano. «Dire che Artù è esistito vorrebbe dire riconoscere che un magnifico monarca visse e regnò, per un certo periodo di tempo, nella sua gloriosa corte medievale, così come narrato nelle romanze. E questo non è vero. Non è mai esistita una persona simile, un re Artù così inteso. D’altra parte, dire che Artù non è esistito vorrebbe dire che è solo un personaggio di fantasia, inventato nel medioevo quando queste storie si diffusero, e che non esistono riferimenti storici precedenti o una vera persona dietro queste storie. Anche questa non è una risposta corretta».
Si è infatti scoperto che tra la fine del quinto e l’inizio del sesto secolo, poco dopo il periodo in cui si suppone Artù sia vissuto, non meno di sei principi britannici furono battezzati “Artù”. Nessuno di essi fu abbastanza importante da originare la leggenda, ma si può ipotizzare che la popolarità del nome derivi dall’esistenza di un Artù, personaggio reale ed eminente del passato recente, così come molte bambine nate alla fine del ventesimo secolo sono state chiamate “Diana”, in ricordo della Principessa allora appena scomparsa.
“Sua maestà suprema”
Un indizio su chi poteva essere questa figura eminente si trova nel racconto di Goffredo di Monmouth. In esso, egli dice che Artù si impegnò in una campagna sul continente quando a guidare l’Impero Romano d’Oriente era un tale imperatore Leone.
Tra il 457 e il 474 d.C. l’imperatore d’Oriente era effettivamente Leone I il Trace e in quel periodo, tra il 468 e il 470, ci fu un uomo, descritto come un re britannico, che guidò un esercito sul continente. Esiste una lettera a lui indirizzata dal vescovo romano Sidonio che lo supplica di occuparsi di alcuni schiavi, di cui deteneva il controllo, fuggiti nella Francia del nord.
Se la lettera fosse stata intestata ad Artù il mistero sarebbe già risolto, ma è invece diretta a un tale Riothamus. A lungo si credette che questo fosse il nome del re in questione, ma Ashe e altri storici hanno scoperto che “Riothamus” non era un nome di persona, bensì un titolo che, nella lingua celtica della Britannia, significava “sua maestà suprema” o “reale supremo”.
Le cose iniziano a farsi ancora più interessanti quando, ricostruendo le gesta dell’esercito di Riothamus, Ashe trova una serie di coincidenze molto suggestive.
Il re approdò presumibilmente in Bretagna e marciò fino a Berry, dove fu sconfitto dai Goti. Unì però le forze con gli alleati romani e una nuova battaglia ebbe luogo nel 470 a Bourges, dove però i britannici furono ancora respinti. Causa della sconfitta fu il tradimento del prefetto del pretorio delle Gallie, tale Arvando, che aveva incoraggiato i Goti ad attaccare i britannici per spartirsi poi il paese con i Borgognoni. Ritirandosi, gli uomini di Riothamus sarebbero dovuti entrare in Borgogna ma di loro non si ebbe più notizia. Riothamus scomparve nel nulla, proprio mentre si dirigeva verso una vera città della Borgogna che si chiama... Avallon.
Una fonte imbattibile di storie
È quasi troppo bello per essere vero, c’è la storia del tradimento di Arvando, che ricorda quella di Mordred, e la scomparsa di Riothamus diretto ad Avallon, proprio come Artù che scomparve sull’isola di Avalon.
Per Ashe, Riothamus è la figura su cui venne eretta la leggenda di re Artù. «Ci sono troppe coincidenze e Riothamus fa così tante cose “arturiane” che penso siamo finalmente riusciti a centrare il bersaglio» dice.
Chissà se è davvero così, di sicuro re Artù rimane il più grande mistero della storia inglese e continua a suscitare domande sulla sua storicità, come dimostra il ritrovamento del palazzo di Tintagel, e a ispirare sempre nuove rappresentazioni e riletture della sua magnifica storia.
Perché dal Signore degli Anelli a Star Wars, da Harry Potter a Game of Thrones, dalla Torre Nera a Hunger Games non c’è epopea fantasy che non abbia un debito di riconoscenza verso la saga arturiana. E, dunque, potrà anche non essere Storia, ma come fonte di storie nessuno può battere Re Artù.
Poemi d’armi e cavalieri
L’insieme di leggende e storie mitologiche che comprende quelle di re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda, e non solo, è noto anche come Materia di Britannia o Ciclo bretone. È uno dei tre grandi cicli letterari medievali, insieme a quello Romano, incentrato sui miti greci e romani comprendenti personaggi storici come Alessandro Magno e Giulio Cesare, e a quello Carolingio, composto da un insieme di canzoni di gesta francesi imperniate intorno alla figura di Carlo Magno e dei suoi paladini.
Questi cicli nascono come poemi di gesta e imprese di tipo epico, un genere antichissimo che origina insieme alle prime forme di civiltà, dall’epica mesopotamica di Gilgamesh ai canti omerici. Nel Medioevo racconti e leggende orali si trasformano in letteratura a partire dall’XI secolo, in Francia, per poi diffondersi nel resto d’Europa. Sono storie che avranno grande fortuna per almeno duecento anni, quando, con l’evolversi delle società di corte, perderanno rilevanza a scapito dei romanzi cavallereschi, più attenti a tematiche di tipo amoroso che ai combattimenti tra cavalieri.
Alle origini del fantasy
Artù è un orfano che solo crescendo scopre le sue reali origini e il suo ruolo speciale nell’ordine delle cose. Proprio come Luke Skywalker, Harry Potter e l’Aragorn del Signore degli anelli. Ma ogni apprendista deve avere un maestro un po’ mago, come Merlino, ed ecco allora entrare in scena Obi-Wan Kenobi e Yoda, Albus Silente e Gandalf a ricoprire questo ruolo nelle rispettive saghe.
Il fantasy moderno si nutre delle epopee leggendarie del passato e le reinventa. Se i Cavalieri della Tavola rotonda si avventurano alla ricerca del Graal, Harry Potter si mette sulle tracce della Pietra filosofale, mentre la missione della Compagnia dell’Anello è quella di distruggere l’anello, così come l’Alleanza Ribelle è impegnata ad abbattere il malvagio Impero.
Ogni eroe poi ha la spada che si merita: Artù ha Excalibur, Luke la spada laser del padre, Harry Potter la bacchetta magica e il Re Robert di Game of Thrones possiede addirittura un Trono fatto con le spade dei nemici.
Nella saga arturiana mancano donne eroiche e combattenti, mentre ci sono regine come Ginevra, fate come Morgana e creature magiche come la Dama del Lago. Il fantasy moderno, che si rivolge ormai a un pubblico eterogeneo, trae ispirazione sia da esse che da reali combattenti storiche come Giovanna d’Arco, Boudicca, la regina degli Iceni, o Zenobia, regina di Palmira, per restituirci figure femminili memorabili quali Hermione Granger di Harry Potter, Katniss Everdeen di Hunger Games, o la Principessa Leia, e soprattutto le nuove Rey e Jyn Erso protagoniste della rinnovata serie di Star Wars. Una dimostrazione di come il fantasy moderno sappia nutrirsi dell’antico, senza perdere di vista la modernità.