Prima d’abbandonare il sistema sillogistico aristotelico per rivolgerci ad altri tipi di logica, e prima di affrontare nuove strategie critico razionali, è di principale importanza, logica e didattica, trattare il principio di non-contraddizione. Tale principio si collega appropriatamente al sistema sillogistico perché nella sua forma originaria è pensato secondo la struttura degli enunciati categorici con cui si formano i sillogismi, ossia gli enunciati composti da soggetto e predicato come, ad esempio, «Tutti gli uomini sono razionali»; ma anche perché elaborato da Aristotele stesso, già sistematizzatore del sistema sillogistico. Ciononostante, il principio di non contraddizione è definito anche all’interno di sistemi logici diversi da quello sillogistico, permettendo l’elaborazione di strategie di valutazione degli enunciati e delle teorie fondamentali per la scienza e per un’attitudine critica al sapere come, ad esempio, la dimostrazione per assurdo che approfondiremo nei prossimi numeri di questa rubrica.
Ma torniamo all’argomento centrale di questo discorso, il principio di non contraddizione. Tale assioma è un raffinatissimo principio individuato ed esposto da Aristotele all’interno del libro Gamma della Metafisica ed è riconosciuto come condizione necessaria della conoscenza, della possibilità di trattazione scientifica, della comunicazione e della discussione di ogni genere di realtà. Esso, cioè, deve già essere posseduto per poter apprendere qualcosa, per trattare scientificamente un qualsiasi argomento o più semplicemente per poter intraprendere una discussione sensata. Aristotele precisa tale principio con le seguenti parole:
«È impossibile che la stessa cosa, ad un tempo, appartenga e non appartenga a una medesima cosa, secondo lo stesso rispetto»[1].
Esemplificando, e semplificando, è impossibile che la parete di fronte a voi sia bianca e non sia bianca a meno che non si attribuiscano al termine «bianco» due significati differenti, o che ci si riferisca al colore assunto da tale parete in tempi diversi, oppure ancora che la prospettiva dalla quale la si considera sia differente, come, ad esempio, considerandone una parte come bianca e la parte su cui si riflette un'ombra come non bianca.
Con questo principio, a prima vista banale, ma come vedremo tutt’altro che modesto, Aristotele cerca di mettere ordine e di mostrarsi polemico ma propositivo là dove la sofistica aveva creato confusione, proponendo posizioni relativistiche, ossia un insieme di prospettive che considerano la verità e la falsità, tra le altre cose, dipendenti dalle convenzioni e dalle cornici concettuali delle diverse comunità o dei differenti individui. Proprio riportando le parole di Aristotele «Ci sono alcuni, come abbiamo detto, i quali affermano che la stessa cosa può essere e non essere, e anche, che in questo modo si può pensare»[2].
Il valore di questo principio, secondo il quale si può dire che il Monte Bianco visto dall’Italia è poco solenne mentre visto dalla Francia è appariscente, ma non si può dire che il Monte Bianco, in questo momento, visto dall’Italia, è innevato e non è innevato, si rivela quando Aristotele cerca di dimostrarlo. A tal fine, Aristotele si avvale di una particolare procedura: la dimostrazione per confutazione. Senza entrare in dettagli, questa procedura prevede un contesto dialettico in cui l’avversario che critica il principio di non contraddizione dimostrerà la validità dello stesso principio perché, per contestarlo, o per sostenere qualsiasi altra cosa, lo dovrà presupporre e utilizzare. Come spiega Aristotele, per dimostrare il principio di non contraddizione l’antagonista dovrà dire qualcosa che abbia significato per lui e per gli altri. Da ciò, tre conseguenze che evidenziano l’importanza del principio: a) se non facesse questo la discussione sarebbe impossibile; b) se dicesse qualcosa di determinato, ad esempio che la definizione di «uomo» è «animale bipede» e così deve essere intesa, allora assumerebbe il principio di non contraddizione; c) se non volesse fare questo ma «dicesse che le parole hanno infiniti significati è evidente che non sarebbe più possibile alcun discorso: infatti, il non avere un determinato significato, equivale a non avere alcun significato; e se le parole non hanno alcun significato, allora non ha luogo neppure la possibilità di discorso e di comunicazione reciproca e, in verità, non ha luogo neppure la possibilità di un discorso con sé stessi»[3].
L’attribuzione di una qualità e del suo contrario ad un medesimo oggetto non è una peculiarità, più o meno fraudolenta, del solo discorso pseudoscientifico ma si ritrova non di rado anche in discorsi di diverso tipo, generalmente non scientifici. Tuttavia, non sempre ciò implica l’assunzione di una posizione relativistica poiché spesso tali contraddizioni risultano solo apparenti e causate da un uso impreciso del linguaggio o da un’imprecisa esposizione, scritta o orale, delle proprie idee.
Per cercare di valutare criticamente gli enunciati che presentano una contraddizione è di fondamentale importanza l’azione intellettuale della distinzione categoriale, con la quale si cercherà di risolvere l’apparente contraddizione verificando se questa sia determinata dalla considerazione dell’oggetto secondo punti prospettici diversi, dal riferimento all’oggetto in tempi differenti oppure da una differenza di significati attribuiti ad uno stesso termine.
Ad esempio, un enunciato del tipo «Il denaro è bene ed è male» può essere interpretato distinguendo tra denaro come mezzo per compiere azioni utili e lodevoli, e relativo al primo caso, e denaro come fine in sé, per il secondo caso, capace di rendere la vita insoddisfacente poiché se ne potrebbe sempre desiderare di più.
Ci sono casi, tuttavia, in cui la contraddizione non si manifesta all’interno di uno stesso enunciato. Più frequentemente può emergere da due enunciati differenti di uno stesso testo, come quando, ad esempio, all’inizio di un testo il termine «epistemologia» viene riferito al modo ed ai processi con cui conosciamo il mondo e, più avanti, invece, alla filosofia della scienza: riferimenti non proprio contraddittori ma comunque molto diversi e non necessariamente sovrapponibili. La distinzione classica, in questo caso, è tra un uso di epistemologia da considerarsi come gnoseologia, ed un uso proprio di epistemologia riferentesi alla filosofia della scienza.
Infine, una contraddizione si può manifestare anche tra le asserzioni di due diverse persone. Ad esempio se Kermit dei Muppet ci dicesse che nella libreria in centro città ci sono molti libri di metafisica mentre Gonzo dicesse che nella libreria in città non ci sono libri di metafisica, si rileverebbe tale contraddizione. Quest’empasse potrebbe essere risolta, non senza le opportune domande, distinguendo tra i diversi sensi in cui i parlanti assumono il termine «metafisica»: riferentesi a testi che trattano di fenomeni paranormali in Kermit; relativo a testi sulla causalità per Gonzo[4].
Opponendosi a ciò che è confuso e indiscriminato, l’atto della distinzione categoriale ricopre un’importante funzione, ossia quella di precisare il contesto in cui interpretare gli enunciati, individuando l’ambito dei fatti in cui tali enunciati possono essere compresi e soprattutto resi empiricamente verificabili[5]: distinguere permette di discriminare, di classificare e di sottomettere alla prova empirica.
Ma torniamo all’argomento centrale di questo discorso, il principio di non contraddizione. Tale assioma è un raffinatissimo principio individuato ed esposto da Aristotele all’interno del libro Gamma della Metafisica ed è riconosciuto come condizione necessaria della conoscenza, della possibilità di trattazione scientifica, della comunicazione e della discussione di ogni genere di realtà. Esso, cioè, deve già essere posseduto per poter apprendere qualcosa, per trattare scientificamente un qualsiasi argomento o più semplicemente per poter intraprendere una discussione sensata. Aristotele precisa tale principio con le seguenti parole:
«È impossibile che la stessa cosa, ad un tempo, appartenga e non appartenga a una medesima cosa, secondo lo stesso rispetto»[1].
Esemplificando, e semplificando, è impossibile che la parete di fronte a voi sia bianca e non sia bianca a meno che non si attribuiscano al termine «bianco» due significati differenti, o che ci si riferisca al colore assunto da tale parete in tempi diversi, oppure ancora che la prospettiva dalla quale la si considera sia differente, come, ad esempio, considerandone una parte come bianca e la parte su cui si riflette un'ombra come non bianca.
Con questo principio, a prima vista banale, ma come vedremo tutt’altro che modesto, Aristotele cerca di mettere ordine e di mostrarsi polemico ma propositivo là dove la sofistica aveva creato confusione, proponendo posizioni relativistiche, ossia un insieme di prospettive che considerano la verità e la falsità, tra le altre cose, dipendenti dalle convenzioni e dalle cornici concettuali delle diverse comunità o dei differenti individui. Proprio riportando le parole di Aristotele «Ci sono alcuni, come abbiamo detto, i quali affermano che la stessa cosa può essere e non essere, e anche, che in questo modo si può pensare»[2].
Il valore di questo principio, secondo il quale si può dire che il Monte Bianco visto dall’Italia è poco solenne mentre visto dalla Francia è appariscente, ma non si può dire che il Monte Bianco, in questo momento, visto dall’Italia, è innevato e non è innevato, si rivela quando Aristotele cerca di dimostrarlo. A tal fine, Aristotele si avvale di una particolare procedura: la dimostrazione per confutazione. Senza entrare in dettagli, questa procedura prevede un contesto dialettico in cui l’avversario che critica il principio di non contraddizione dimostrerà la validità dello stesso principio perché, per contestarlo, o per sostenere qualsiasi altra cosa, lo dovrà presupporre e utilizzare. Come spiega Aristotele, per dimostrare il principio di non contraddizione l’antagonista dovrà dire qualcosa che abbia significato per lui e per gli altri. Da ciò, tre conseguenze che evidenziano l’importanza del principio: a) se non facesse questo la discussione sarebbe impossibile; b) se dicesse qualcosa di determinato, ad esempio che la definizione di «uomo» è «animale bipede» e così deve essere intesa, allora assumerebbe il principio di non contraddizione; c) se non volesse fare questo ma «dicesse che le parole hanno infiniti significati è evidente che non sarebbe più possibile alcun discorso: infatti, il non avere un determinato significato, equivale a non avere alcun significato; e se le parole non hanno alcun significato, allora non ha luogo neppure la possibilità di discorso e di comunicazione reciproca e, in verità, non ha luogo neppure la possibilità di un discorso con sé stessi»[3].
L’attribuzione di una qualità e del suo contrario ad un medesimo oggetto non è una peculiarità, più o meno fraudolenta, del solo discorso pseudoscientifico ma si ritrova non di rado anche in discorsi di diverso tipo, generalmente non scientifici. Tuttavia, non sempre ciò implica l’assunzione di una posizione relativistica poiché spesso tali contraddizioni risultano solo apparenti e causate da un uso impreciso del linguaggio o da un’imprecisa esposizione, scritta o orale, delle proprie idee.
Per cercare di valutare criticamente gli enunciati che presentano una contraddizione è di fondamentale importanza l’azione intellettuale della distinzione categoriale, con la quale si cercherà di risolvere l’apparente contraddizione verificando se questa sia determinata dalla considerazione dell’oggetto secondo punti prospettici diversi, dal riferimento all’oggetto in tempi differenti oppure da una differenza di significati attribuiti ad uno stesso termine.
Ad esempio, un enunciato del tipo «Il denaro è bene ed è male» può essere interpretato distinguendo tra denaro come mezzo per compiere azioni utili e lodevoli, e relativo al primo caso, e denaro come fine in sé, per il secondo caso, capace di rendere la vita insoddisfacente poiché se ne potrebbe sempre desiderare di più.
Ci sono casi, tuttavia, in cui la contraddizione non si manifesta all’interno di uno stesso enunciato. Più frequentemente può emergere da due enunciati differenti di uno stesso testo, come quando, ad esempio, all’inizio di un testo il termine «epistemologia» viene riferito al modo ed ai processi con cui conosciamo il mondo e, più avanti, invece, alla filosofia della scienza: riferimenti non proprio contraddittori ma comunque molto diversi e non necessariamente sovrapponibili. La distinzione classica, in questo caso, è tra un uso di epistemologia da considerarsi come gnoseologia, ed un uso proprio di epistemologia riferentesi alla filosofia della scienza.
Infine, una contraddizione si può manifestare anche tra le asserzioni di due diverse persone. Ad esempio se Kermit dei Muppet ci dicesse che nella libreria in centro città ci sono molti libri di metafisica mentre Gonzo dicesse che nella libreria in città non ci sono libri di metafisica, si rileverebbe tale contraddizione. Quest’empasse potrebbe essere risolta, non senza le opportune domande, distinguendo tra i diversi sensi in cui i parlanti assumono il termine «metafisica»: riferentesi a testi che trattano di fenomeni paranormali in Kermit; relativo a testi sulla causalità per Gonzo[4].
Opponendosi a ciò che è confuso e indiscriminato, l’atto della distinzione categoriale ricopre un’importante funzione, ossia quella di precisare il contesto in cui interpretare gli enunciati, individuando l’ambito dei fatti in cui tali enunciati possono essere compresi e soprattutto resi empiricamente verificabili[5]: distinguere permette di discriminare, di classificare e di sottomettere alla prova empirica.
=Note
1) Aristotele (2000). Metafisica. Milano: Bompiani Testi a fronte. Libro Gamma, 1005 b 19-20.
2) Ibid, 1005 b 35 – 1006 a 2.
3) Ibid, 1006 b 6 – 9.
4) Brendan, B. J., (2014). Verbal Disputes and Substantiveness. Erkenntnis, 79, 31-54.
5) Crawshay-Williams R. (1957). Methods and Criteria of Reasoning. An Inquiry into the Structure of Controversy. Londra: Routledge and Kegan Paul.