Non solo ex cathedra

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©studentsby hercampus.com
Nel mese di marzo 2015 il governo finlandese ha annunciato l’avvio di una radicale riforma del proprio sistema scolastico che dovrà trovare compimento entro il 2020. L’aspetto più innovativo della riforma consiste nell’eliminazione delle classiche lezioni frontali e dell’altrettanto classica divisione dell’insegnamento per materie. È bene ricordare che la Finlandia, con oltre il 7% del PIL, è in testa a tutti gli altri paesi europei per gli investimenti in istruzione. Inoltre gli studenti finlandesi (superati solo da quelli dei paesi orientali come Singapore e Cina) sono da tempo sempre ai primi posti delle graduatorie PISA (Programme for International Student Assesment) dell’OCSE che misurano l’alfabetizzazione e le capacità matematiche degli studenti dei diversi paesi. Ciò nonostante la Finlandia sente la necessità di migliorare ulteriormente il proprio sistema formativo.

La proposta finlandese è interessante, anche se non ha mancato di suscitare discussioni tra gli insegnanti direttamente coinvolti. In pratica le tradizionali lezioni, in cui l’insegnante di fronte alla classe spiega i vari contenuti disciplinari, verranno sostituite con piccoli gruppi di lavoro di studenti che affronteranno problemi specifici, discutendo tra loro, sotto la guida degli insegnanti. Le singole discipline saranno coinvolte di conseguenza. Ad esempio, affrontando problematiche di carattere antropologico, sarà inevitabile ricorrere ad approfondimenti di carattere geografico, storico, economico, linguistico, ecc. In tal modo quindi gli studenti stessi si renderanno conto da soli dell’utilità dello studio di certe discipline, prevenendo la classica domanda che molti insegnanti si sentono porre dai propri studenti: «A cosa mi serve studiare queste cose?».

Naturalmente il governo finlandese ha provveduto da tempo a formare adeguatamente gli insegnanti per questo nuovo tipo di approccio didattico e nulla è stato lasciato all’improvvisazione (ogni riferimento a quanto accade nel nostro paese è puramente voluto!).

Come ha dichiarato Liisa Pohjolainen, responsabile delle politiche dell'educazione degli adulti e dei ragazzi per il comune di Helsinki (città guida per il programma di riforma) in una intervista rilasciata all’Independent[1]: «Siamo solo all’inizio di un enorme cambiamento nel sistema dell’istruzione». E, come ha aggiunto Pasi Silander, manager per lo sviluppo della capitale, «Adesso abbiamo bisogno di un’educazione nuova per preparare le persone al lavoro».

I Finlandesi sono molto pragmatici e, al di là dei proclami e delle dichiarazioni di intenti, monitorano attentamente i risultati ottenuti: gli studenti che hanno seguito le lezioni con questo nuovo metodo hanno già registrato miglioramenti tangibili, anche se, per ora, si è solo all’inizio.

Sarà sicuramente interessante seguire gli sviluppi dell'iniziativa finlandese. Tuttavia quello che appare condiviso da molti in ambito didattico è ritenere che oramai la classica lezione frontale abbia inevitabilmente forti limiti.

Un vecchio detto (spesso attribuito a Confucio) afferma che «Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco». Il rischio della classica lezione frontale è che il discente assuma sostanzialmente un atteggiamento passivo. Inoltre è ben noto che il livello di attenzione, soprattutto dei ragazzi più giovani, tende ad abbassarsi piuttosto velocemente già dopo pochi minuti. Per questo motivo da tempo ci si è resi conto della necessità di coinvolgere in maniera attiva gli studenti nel processo di apprendimento (active learning, ovvero insegnamento attivo). Sono stati oramai da tempo suggeriti diversi nuovi tipi di approccio didattico[2]: learning by doing (imparare facendo), project work (lavoro a progetto), business game (simulazione di un’attività di marketing), role playing (giochi di ruolo), outdoor training (formazione esterna), teatro d’impresa, brain storming, problem solving, cooperative/collaborative learning (apprendimento cooperativo, cioè tra pari), ecc.

Contributi utili possono poi venire dall’applicazione delle nuove tecnologie, non escludendo l’e-learning (apprendimento on-line, o teleapprendimento) che può consentire l’intervento esterno di esperti, collegamenti tra studenti di scuole diverse, ecc.

L’active learning utilizza più metodi d’insegnamento, tutti basati però sull’autoapprendimento e soprattutto sul learning by doing. Queste metodologie prevedono una costante interazione tra apprendimento e insegnamento e centrano la didattica sul discente, contrariamente alle classiche lezioni frontali centrate sul docente.

Esistono diverse evidenze che mostrano l’efficacia di questi approcci didattici. Uno studio del 2011[3] ha sottoposto un gruppo di studenti a lezioni frontali classiche. Un secondo gruppo ha invece iniziato un processo didattico basato sul learning by doing in cui, attraverso attività sperimentale, veniva studiato lo stesso argomento proposto al primo gruppo. Il secondo gruppo, relativamente alla comprensione dell’argomento trattato, ha mostrato risultati superiori del 25% rispetto al primo.

Secondo una review pubblicata nel 2014[4], gli studenti iscritti a corsi in cui si insegna in maniera tradizionale hanno una maggiore probabilità di bocciatura rispetto ai loro colleghi che frequentano corsi in cui si utilizza l’active learning, in cui gli insegnanti usano tecniche di problem solving e in cui vi è un feedback costante e regolare da parte dell’insegnante.

Questi studi mostrano come il processo di apprendimento non sia dissimile dal processo di sviluppo del sapere scientifico. Si procede per tentativi ed errori e con continue correzioni di rotta. In pratica è molto meglio far scoprire ai discenti i vari concetti in modo attivo e in prima persona, piuttosto che somministrarli dall’alto, durante una lezione, mantenendo gli studenti in un atteggiamento passivo.

Si tratta di tematiche estremamente interessanti che, oltre a migliorare sensibilmente l’apprendimento, la formazione e il senso critico degli studenti, renderebbero molto più gratificante e stimolante il lavoro agli stessi docenti che diventerebbero, in tal modo, dei veri ricercatori e sperimentatori didattici.

Nell’infuocato dibattito che sta interessando la scuola italiana in questo periodo non vi è purtroppo alcuna traccia di tutto questo. Per elevare il livello culturale del paese non vi è certo bisogno di presidi sceriffi o sindaci, di organici di rete o di umilianti card elemosinate ai docenti. Finché non si comprenderà che la scuola italiana ha bisogno di un profondo ripensamento culturale, tutti gli altri provvedimenti di carattere burocratico-amministrativo non produrranno altro che molto malcontento da parte di chi li deve subire e conseguenti accesi scontri di carattere sindacale, senza però influire minimamente sulla qualità della formazione dei nostri ragazzi.

Note

1) R. Gradner, “Finland schools: Subjects scrapped and replaced with 'topics' as country reforms its education system”, The Independent, 20 marzo 2015
2) Si veda, ad esempio: M. Castoldi, Progettare per competenze, Carocci, Roma 2011.
3) P. Blikstein, “Using learning analytics to assess students' behavior in open-ended programming tasks”, in P. Long, G. Siemens, G. Conole, & D. Gasevic (Eds.), Proceedings of the 1st International Conference on Learning Analytics and Knowledge, New York 2011 (pp. 110-116)
4) S. Freemana, S.L. Eddya, M. McDonougha, M.K. Smithb, N. Okoroafora, H. Jordta, M.P. Wenderotha, “Active learning increases student performance in science, engineering, and mathematics”, Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), 111 (23), 8410-8415, 2014.

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