Una cosa che mi ha sempre destato non poco stupore è constatare come anche persone dotate di una buona preparazione scientifica possano credere in affermazioni palesemente prive di fondamento. Ho avuto diverse esperienze personali in tal senso. Quando ero studente universitario ho conosciuto una professoressa ordinaria di chimica-fisica (peraltro molto brava nel suo campo) che credeva agli oroscopi (“non si sa mai” era la sua giustificazione) e un’altra docente, ordinaria di chimica industriale, che assumeva rimedi omeopatici. Nella mia attività di insegnante poi mi è capitato più volte di scoprire che insospettabili colleghi, laureati in scienze biologiche e in matematica, credessero all’efficacia dei pranoterapeuti o alle facoltà dei sedicenti medium. Queste persone, evidentemente, nonostante abbiano seguito un percorso di formazione scientifica, hanno mantenuto nel proprio intimo alcune convinzioni pregresse che non hanno mai messo in discussione e analizzato alla luce delle competenze scientifiche che pure hanno acquisito.
Recentemente Sofia Lincos mi ha segnalato un interessante articolo che affronta questo tipo di problematiche. Il titolo dell’articolo è “Hauntings, homeopathy and the Hopkinsville Goblins: using pseudoscience to teach scientific thinking”. Gli autori sono Rodney Schmaltz del Dipartimento di Psicologia della MacEwan University, Edmonton, Canada e Scott O. Lilienfeld del Dipartimento di Psicologia della Emory University, Atlanta, USA. Inizialmente pubblicato su Frontiers in Psychology il 17 aprile 2014, l’articolo è leggibile on line al seguente indirizzo: http://journal.frontiersin.org/Journal/10.3389/fpsyg.2014.00336/full .
Gli autori sottolineano come diversi studi di psicologia dell’educazione suggeriscano che i pregiudizi e le convinzioni pregresse sopravvivono, a meno che non siano esplicitamente corretti[1]. Alcuni ricercatori hanno espressamente dimostrato che certe credenze possono perdurare anche in seguito all’apprendimento di teorie scientifiche con esse incompatibili[2]. In un sondaggio effettuato su 10.000 studenti americani su un periodo di 20 anni, venne rilevato solamente un modesto calo delle credenze pseudoscientifiche durante il corso di laurea, anche per gli studenti che avevano seguito due o tre corsi di discipline scientifiche[3].
Questi studi mostrano chiaramente che limitarsi a insegnare agli studenti il metodo scientifico e far comprendere loro la natura della scienza non è sufficiente ad aiutarli a distinguere la scienza dalla pseudoscienza. Altre ricerche[4], tuttavia, mettono in evidenza che una via d’uscita c’è e consiste nel presentare agli studenti affermazioni pseudoscientifiche mostrando con quali argomentazioni possano essere confutate. Questo tipo di attività didattica però migliora il pensiero scettico degli studenti solamente a breve termine. Per mantenerlo a lungo termine sono quindi necessari successivi “richiami”[5].
Gli autori dell’articolo sottolineano come possa essere didatticamente utile discutere con gli studenti l’annoso problema della demarcazione tra scienza e pseudoscienza (v. anche la rubrica di Andrea Ferrero in questo stesso numero di Query). Anche se non esiste una netta linea di confine, è utile far comprendere agli studenti che esistono alcuni indizi premonitori che dovrebbero far rizzare le antenne e accendere il forte sospetto di essere di fronte ad affermazioni pseudoscientifiche. Tra questi segnali, gli autori elencano i seguenti:
Gli autori passano poi a illustrare esempi concreti di argomenti pseudoscientifici da proporre agli studenti durante l’attività didattica. Dai riferimenti impropri alla meccanica quantistica ai miti sul cervello, dalla cartomanzia alla piegatura dei cucchiaini, fino alle strane creature di Hopkinsville, nel Kentucky, (cui fa riferimento il titolo dell’articolo) che risultarono essere semplici gufi reali (come ha dimostrato Joe Nickell[6]). Vista la diffusione di argomenti pseudoscientifici che impazzano sui media, non c’è che l’imbarazzo della scelta e ogni insegnante saprà scegliere i casi più significativi e didatticamente utili.
È anche piuttosto carina la proposta degli autori di invitare gli studenti a partecipare a una vera e propria caccia al tesoro, alla ricerca di affermazioni pseudoscientifiche nel proprio college o campus universitario. Purtroppo, infatti, anche gli ambienti deputati all’istruzione non sono immuni da contaminazioni pseudoscientifiche e questo non vale solo negli Stati Uniti, ma anche nel nostro paese, come abbiamo talvolta evidenziato sulle pagine di questa stessa rubrica.
Gli autori concludono l’articolo con una raccomandazione. Parlare di pseudoscienza in classe può essere utilissimo, ma occorre farlo correttamente per evitare di fare pubblicità gratuita alle pseudoscienze, ottenendo il risultato contrario a ciò che ci si era prefissati[7]. Viene inoltre sottolineato come l’educazione allo scetticismo sia una cosa ben diversa dal diffondere un atteggiamento cinico di rifiuto aprioristico di certe affermazioni. Apertura mentale, disponibilità al dubbio e senso critico sono infatti ingredienti fondamentali della vera scienza.
Recentemente Sofia Lincos mi ha segnalato un interessante articolo che affronta questo tipo di problematiche. Il titolo dell’articolo è “Hauntings, homeopathy and the Hopkinsville Goblins: using pseudoscience to teach scientific thinking”. Gli autori sono Rodney Schmaltz del Dipartimento di Psicologia della MacEwan University, Edmonton, Canada e Scott O. Lilienfeld del Dipartimento di Psicologia della Emory University, Atlanta, USA. Inizialmente pubblicato su Frontiers in Psychology il 17 aprile 2014, l’articolo è leggibile on line al seguente indirizzo: http://journal.frontiersin.org/Journal/10.3389/fpsyg.2014.00336/full .
Gli autori sottolineano come diversi studi di psicologia dell’educazione suggeriscano che i pregiudizi e le convinzioni pregresse sopravvivono, a meno che non siano esplicitamente corretti[1]. Alcuni ricercatori hanno espressamente dimostrato che certe credenze possono perdurare anche in seguito all’apprendimento di teorie scientifiche con esse incompatibili[2]. In un sondaggio effettuato su 10.000 studenti americani su un periodo di 20 anni, venne rilevato solamente un modesto calo delle credenze pseudoscientifiche durante il corso di laurea, anche per gli studenti che avevano seguito due o tre corsi di discipline scientifiche[3].
Questi studi mostrano chiaramente che limitarsi a insegnare agli studenti il metodo scientifico e far comprendere loro la natura della scienza non è sufficiente ad aiutarli a distinguere la scienza dalla pseudoscienza. Altre ricerche[4], tuttavia, mettono in evidenza che una via d’uscita c’è e consiste nel presentare agli studenti affermazioni pseudoscientifiche mostrando con quali argomentazioni possano essere confutate. Questo tipo di attività didattica però migliora il pensiero scettico degli studenti solamente a breve termine. Per mantenerlo a lungo termine sono quindi necessari successivi “richiami”[5].
Gli autori dell’articolo sottolineano come possa essere didatticamente utile discutere con gli studenti l’annoso problema della demarcazione tra scienza e pseudoscienza (v. anche la rubrica di Andrea Ferrero in questo stesso numero di Query). Anche se non esiste una netta linea di confine, è utile far comprendere agli studenti che esistono alcuni indizi premonitori che dovrebbero far rizzare le antenne e accendere il forte sospetto di essere di fronte ad affermazioni pseudoscientifiche. Tra questi segnali, gli autori elencano i seguenti:
- L’uso di psychobabble: con questo termine difficilmente traducibile (letteralmente psicobalbettio), gli autori indicano quelle parole che apparentemente suonano scientifiche, ma che vengono in realtà utilizzate in modo errato o ingannevole per gettare fumo negli occhi di chi ascolta. Gli esempi non mancano: dalle “terapie energetiche” alle “energie quantistiche”, fino a una miriade di espressioni altisonanti ma totalmente prive di significato.
- Il riferimento a prove aneddotiche, quali testimonianze di personaggi più o meno famosi, il cui valore probatorio dal punto di vista scientifico è nullo.
- L’uso di affermazioni straordinarie in assenza di straordinarie testimonianze. Come ben sanno i lettori di Query quanto più è straordinaria un’affermazione, tanto più solide dovrebbero essere le dimostrazioni a suo favore. Ma di tali prove, purtroppo, non se ne vede mai alcuna traccia.
- Infalsificabilità. La maggior parte delle affermazioni pseudoscientifiche non sono in grado di essere confutate in linea di principio. Questa caratteristica le colloca automaticamente al di fuori del discorso scientifico.
- L’assenza di collegamenti coerenti con altre conoscenze. Molte affermazioni pseudoscientifiche sono infatti in palese contrasto con altre branche della scienza.
- La mancanza di adeguato controllo peer review. Le affermazioni scientifiche, prima di essere pubblicate, sono sottoposte a un giudizio preliminare di esperti del settore. Nulla di tutto ciò si ritrova invece nell’ambito della pseudoscienza.
- Mancanza di auto-correzione. La scienza è in continua evoluzione perché impara costantemente dai propri errori. Al contrario le pseudoscienze restano uguali a loro stesse e paradossalmente la loro tradizione millenaria viene presentata come dimostrazione di validità.
Gli autori passano poi a illustrare esempi concreti di argomenti pseudoscientifici da proporre agli studenti durante l’attività didattica. Dai riferimenti impropri alla meccanica quantistica ai miti sul cervello, dalla cartomanzia alla piegatura dei cucchiaini, fino alle strane creature di Hopkinsville, nel Kentucky, (cui fa riferimento il titolo dell’articolo) che risultarono essere semplici gufi reali (come ha dimostrato Joe Nickell[6]). Vista la diffusione di argomenti pseudoscientifici che impazzano sui media, non c’è che l’imbarazzo della scelta e ogni insegnante saprà scegliere i casi più significativi e didatticamente utili.
È anche piuttosto carina la proposta degli autori di invitare gli studenti a partecipare a una vera e propria caccia al tesoro, alla ricerca di affermazioni pseudoscientifiche nel proprio college o campus universitario. Purtroppo, infatti, anche gli ambienti deputati all’istruzione non sono immuni da contaminazioni pseudoscientifiche e questo non vale solo negli Stati Uniti, ma anche nel nostro paese, come abbiamo talvolta evidenziato sulle pagine di questa stessa rubrica.
Gli autori concludono l’articolo con una raccomandazione. Parlare di pseudoscienza in classe può essere utilissimo, ma occorre farlo correttamente per evitare di fare pubblicità gratuita alle pseudoscienze, ottenendo il risultato contrario a ciò che ci si era prefissati[7]. Viene inoltre sottolineato come l’educazione allo scetticismo sia una cosa ben diversa dal diffondere un atteggiamento cinico di rifiuto aprioristico di certe affermazioni. Apertura mentale, disponibilità al dubbio e senso critico sono infatti ingredienti fondamentali della vera scienza.
Note
1) G.A.Winer, J.E. Cottrell, V. Gregg, J.S. Fournier, and L.A. Bica, “Fundamentally misunderstanding visual perception: adults’ belief in visual emissions”, American Psychologist 57, 417, 2002.
2) A. Shtulman and J. Valcarcel, “Scientific knowledge suppresses but does not supplant earlier intuitions”, Cognition 124, 209-215, 2012.
3) C. Impey, S. Buxner and J. Antonellis, “Non-scientific beliefs among undergraduate students”, Astronomy Education Review, 11(1), 010111, 2012.
4) P. Kowalski and A.K. Taylor, “The effect of refuting misconceptions in the introductory psychology class”, Teaching of Psychology 36, 153-159, 2009. L. Manza, K. Hilperts, L. Hindley, C. Marco, A. Santana and M.V. Hawk, “Exposure to science is not enough: the influence of classroom experiences on belief in paranormal phenomena”, Teaching of Psychology 37, 165-171, 2010.
5) Per una breve rassegna della letteratura sul tema si veda: S.O. Lilienfeld, S.J. Lynn, J. Ruscio, and B.L. Beyerstein, Fifty Great Myths of Popular Psychology, Wiley-Blackwell, Chichester 2010.
6) J. Nickell, “Siege of the «little green men»: the 1955 Kelly, Kentucky, incident”, Skeptical Inquirer 30.6, 2006, disponibile all’indirizzo : http://www.csicop.org/si/show/siege_of_little_green_men .
7) S. Lewandowsky, U.K. Ecker, C.M. Seifert, N. Schwarz and J. Cook, “Misinformation and its correction continued influence and successful debiasing” Psychological Sciece in the Public Interest 13, 106-131, 2012.