Parliamo sempre di metodo scientifico, ma siamo sicuri che esista davvero? Questa domanda provocatoria ci riporta alla ricerca di un “criterio di demarcazione” tra le scienze, che appunto seguono (o seguirebbero) il metodo scientifico, e le pseudoscienze, che non lo rispettano. Vedremo che la risposta è meno scontata di quello che potrebbe sembrare.
L'ultima volta che abbiamo parlato del problema della demarcazione (su Query n. 12) eravamo rimasti a Imre Lakatos e al suo tentativo di trovare una sintesi tra il criterio puramente logico di Karl Popper e quello sociologico di Thomas Kuhn.
Lakatos avrebbe dovuto scrivere, assieme a un suo collega brillante e anticonformista, un libro intitolato Pro e contro il metodo, nel quale presentare in forma di dialogo due punti di vista opposti sull'esistenza di un vero e proprio metodo scientifico. La morte improvvisa di Lakatos nel 1974 interruppe il progetto e il suo collega pubblicò il libro da solo.
Il collega di Lakatos si chiamava Paul Feyerabend, era anche lui austriaco come Popper e Wittgenstein, e il suo libro Contro il metodo, che uscì nel 1975, divenne il più famoso – o meglio, famigerato – testo di filosofia della scienza del Novecento, insieme con la Logica della scoperta scientifica di Popper e La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Kuhn.
Feyerabend si guadagnò una notorietà molto al di fuori dei circoli filosofici con la sua scrittura diretta e avvincente, ben diversa dal linguaggio oscuro dei filosofi di allora (e non solo di allora), con la personalità affascinante e l'abilità dialettica che facevano delle sue lezioni dei veri e propri spettacoli, ma soprattutto con le prese di posizione paradossali e provocatorie e la volontà di mettere in discussione qualunque cosa, più per il gusto di provocare che per reale convinzione: per esempio, andava spesso a lezione con una vecchissima copia del Malleus Maleficarum, uno dei più famosi manuali degli inquisitori per la caccia alle streghe, che leggeva e discuteva con gli studenti argomentando che fosse più razionale delle contemporanee opere di astronomia e di meccanica, che diedero vita alla rivoluzione copernicana. Non c'è da stupirsi se in questo modo Feyerabend si guadagnò l'ammirazione dei movimenti della controcultura e della New Age e l'ostilità degli scienziati di tutto il mondo: nel 1987 Nature lo definì addirittura «il peggior nemico della scienza».
Con il libro che lo rese famoso Feyerabend negava l'esistenza stessa di uno dei principali campi di interesse della filosofia della scienza: il metodo scientifico. Secondo Feyerabend un metodo scientifico che permetta di ricavare le teorie dai fatti non può esistere per diverse ragioni. In primo luogo perché i fatti non sono separabili dalle teorie ma sono inestricabilmente legati a esse (un'idea da lui portata all'estremo ma presente anche in Kuhn e in molti altri filosofi) e in secondo luogo perché le teorie possono essere giustificate soltanto in riferimento ad altre teorie, e quindi in modo intrinsecamente non obiettivo. Ma soprattutto, è impossibile definire un metodo scientifico inteso come un insieme di regole generali, perché nella storia della scienza qualsiasi regola metodologica è stata violata prima o poi.
Per sostenere la sua tesi Feyerabend usa la tecnica della dimostrazione per assurdo: prende in esame diversi criteri di scientificità e, usando come esempio il passaggio dalla teoria tolemaica a quella copernicana, dimostra che Galileo non ne rispettò nessuno. Le osservazioni di Feyerabend sono interessanti e approfondite, ma limitiamoci all'esempio più famoso, l'argomento della torre. La tesi dell'“empirismo ingenuo” è che l'eliocentrismo si sia affermato semplicemente perché era in accordo con i fatti anziché con l'autorità biblica, ma nella realtà gli aristotelici contestavano la teoria di Copernico proprio con un argomento empirico: un sasso lasciato cadere da una torre atterra ai piedi della stessa, mentre se la Terra si muovesse dovrebbe cadere a una certa distanza, perché durante la sua caduta il suolo si è spostato. Galileo superò questa difficoltà non con nuove osservazioni empiriche, ma con un nuovo modo di interpretare gli stessi fatti, che li rendeva compatibili con la nuova teoria: il principio di relatività e l'ipotesi “ad hoc” che i nostri sensi percepiscano solo il moto relativo e non il moto assoluto. La teoria eliocentrica, cioè, non si impose su quella geocentrica perché fosse più in accordo con i fatti, al contrario si impose nonostante fosse (nella vecchia interpretazione) in contrasto con i fatti: una circostanza, che Feyerabend chiama "controinduzione", non prevista dalle classiche teorie della conoscenza scientifica. Nemmeno il principio del falsificazionismo, cioè l'idea che la teoria tolemaica sia stata abbandonata perché smentita dai fatti, venne rispettato da Galileo, perché la teoria copernicana non spiegava il moto dei pianeti meglio della teoria tolemaica (lo avrebbe fatto solo con il passaggio dalle orbite circolari a quelle ellittiche introdotte da Keplero); perché le osservazioni al cannocchiale fatte da Galileo erano discutibili e meno precise di quelle fatte a occhio nudo da Keplero; perché non esisteva ancora una teoria ottica che dimostrasse l'attendibilità di quelle osservazioni fatte al cannocchiale; e per altre ragioni.
Nel successo di Galileo furono dunque fondamentali, secondo Feyerabend, fattori del tutto extrascientifici, come la sua scelta di scrivere in italiano anziché in latino, le sue capacità di persuasione e il fatto di appellarsi a persone che si opponevano per temperamento (e non per motivi razionali) alle vecchie idee.
Secondo Feyerabend questo è un esempio tipico del modo in cui avanza la conoscenza scientifica: non solo tutti i grandi scienziati come Galileo hanno violato i principi metodologici che piacciono tanto ai filosofi, ma queste violazioni sono necessarie per il progresso della scienza, qualunque significato si dia al termine “progresso”: senza di esse le nuove teorie, che sono ancora immature e non reggono il confronto con quelle consolidate, non avrebbero il tempo di svilupparsi e di portare frutti. Se proprio si fosse costretti a formulare un principio che non sia mai stato violato, si potrebbe dire soltanto «qualsiasi cosa va bene» (anything goes).
Questa tesi è stata spesso interpretata come l'idea che la scienza non debba seguire alcuna regola, ma si tratta di un fraintendimento grossolano: lo scopo dichiarato esplicitamente di Contro il metodo non era sostenere che tutte le metodologie sono equivalenti, ma che qualsiasi metodologia ha i suoi limiti. Feyerabend riconosce che esistono buoni e cattivi modi di fare scienza, tanto che distingue esplicitamente i pensatori rispettabili dai ciarlatani, ma non vuole che le regole vengano imposte agli scienziati dall'esterno. I filosofi dovrebbero adottare il principio «qualsiasi cosa va bene», cioè smettere di cercare di definire e regolamentare la scienza, ma è giusto che gli scienziati seguano dei principi: spetta però ai singoli scienziati decidere quali metodi e quali principi seguire, senza preoccuparsi di quello che ne pensano i filosofi. Nelle parole di Feyerabend, «uno scienziato non è un bambino che ha bisogno di essere guidato e rassicurato da papà metodologia e mamma razionalità, ma può cavarsela da solo.»
Anche l'idea che Feyerabend fosse un nemico della scienza è imprecisa. Il bersaglio degli attacchi di Feyerabend non era la scienza, ma appunto la filosofia, e nella fattispecie la filosofia della scienza, che si ostinava a tentare di costringere la varietà e l'esuberanza della ricerca scientifica in schemi semplificati e universali, restrittivi e dannosi per la creatività. Feyerabend voleva insomma liberare la scienza dall'ideologia razionalista e dall'ossessione normativa che avevano eliminato dalla storia della scienza la componente umana, cioè gli incidenti, l'immaginazione, la propaganda e tutti gli elementi che non corrispondevano all'immagine semplificata e stereotipata del metodo scientifico.
Oltre a contestare l'idea stessa di metodo, nei libri successivi Feyerabend mise in discussione anche (con argomenti per la verità molto più deboli) la superiorità dei risultati ottenuti dalla scienza rispetto a quelli delle altre tradizioni culturali, comprese le pseudoscienze come l'astrologia o le medicine alternative. In questo caso, comunque, ciò che gli interessava di più non era dimostrare la non superiorità della scienza rispetto alle altre forme di conoscenza, ma contrastare la sua egemonia culturale e sociale. Secondo Feyerabend, anche se inizialmente la scienza ci ha liberati dai dogmi religiosi, dall'autoritarismo e dalla superstizione, ora che si è istituzionalizzata e non deve fronteggiare alternative è diventata essa stessa dogmatica e incoraggia il conformismo, distruggendo le differenze culturali e imponendo al mondo intero il modo di pensare dell'Occidente scientifico e tecnologico con una forma di “imperialismo culturale”. Per garantire la massima libertà di pensiero, però, non dovremmo dare alla scienza una posizione privilegiata e tantomeno sostituirla con altre ideologie, ma semplicemente riconoscere a tutte le tradizioni gli stessi diritti, incoraggiando la pluralità culturale. Per Feyerabend la libertà è più importante della verità e la società sarà veramente libera solo se la razionalità scientifica non sarà inculcata negli studenti fin da bambini, ma insegnata al pari delle alternative, incoraggiando così lo spirito critico: i cittadini potranno poi scegliere democraticamente se preferiscono la teoria di Darwin o il creazionismo, la medicina occidentale o le medicine alternative, e così via.
Alla luce di queste considerazioni Feyerabend non forniva alcun criterio, né formale né pragmatico, per selezionare le teorie scientifiche, né accettava la separazione tra scienza e pseudoscienza: qualsiasi teoria era degna di essere portata avanti, indipendentemente dal suo accordo con i dati sperimentali, perché prima o poi ne sarebbe potuto nascere qualcosa di buono.
L'atteggiamento di Feyerabend nasce dalla preoccupazione fondata (almeno entro certi limiti) di combattare lo scientismo, cioè la tendenza a svalutare le conoscenze diverse da quelle scientifiche, ma riflette probabilmente una certa ingenuità politica e non funziona quando bisogna scegliere tra teorie alternative per affrontare un problema pratico, come le politiche sanitarie o quelle dell'istruzione. Feyerabend ha ragione sul fatto che le scoperte scientifiche non sono governate rigidamente dalla logica ma sono aperte alla soggettività, agli incidenti e alla politica, ma questo non significa che le teorie scientifiche non siano attendibili.
Un altro limite delle posizioni di Feyerabend è la tendenza a partire da osservazioni corrette e spesso molto acute per spingersi a conclusioni paradossali e insostenibili: per esempio, e a differenza di Kuhn, giudicava le capacità propagandistiche e le scelte politiche di Galileo non come fattori accessori, ma come le ragioni decisive del suo successo (anche se non intendeva queste valutazioni in senso spregiativo e al contrario ammirava la capacità di Galileo di uscire dagli schemi).
Feyerabend arrivava a queste esagerazioni cadendo spesso nella fallacia della falsa dicotomia: presentava i problemi come se esistessero soltanto due soluzioni alternative fra di loro, trascurando le possibilità intermedie, per cui escludere la prima possibilità rendeva obbligatorio scegliere la seconda. Ma il fatto, per esempio, di riconoscere pari dignità alle conoscenze non scientifiche non implica metterle sullo stesso piano di quelle scientifiche in ogni circostanza.
Nonostante i suoi errori e le sue esagerazioni (alle quali probabilmente nemmeno lui stesso credeva fino in fondo), Feyerabend aveva ragione sul fatto che il metodo scientifico non esiste così come veniva definito dall'epistemologia prescrittiva, cioè come un insieme fisso di regole che è necessario seguire per passare dall'osservazione della natura alla formulazione di leggi. A differenza di quello che sosteneva Feyerabend, però, si può dire che esista una natura specifica della scienza sia nel senso di una mentalità e di un insieme di valori sia nel senso di varie tecniche e di strumenti, che si evolvono nel tempo e che possono essere diverse tra una disciplina e l'altra: esiste cioè un'epistemologia descrittiva, che non può prevedere come si scoprirà nuova conoscenza in futuro ma che mostra che la scienza si evolve e impara dai propri errori. Questa osservazione apre la strada a un'analisi della scienza dal punto di vista storico e sociologico che, in mancanza di un metodo chiaramente definibile, permetta di caratterizzarla da altri punti di vista. Naturalmente questo ha anche delle importanti conseguenze sul problema della demarcazione tra scienza e pseudoscienza: ci torneremo nei prossimi numeri.
L'ultima volta che abbiamo parlato del problema della demarcazione (su Query n. 12) eravamo rimasti a Imre Lakatos e al suo tentativo di trovare una sintesi tra il criterio puramente logico di Karl Popper e quello sociologico di Thomas Kuhn.
Lakatos avrebbe dovuto scrivere, assieme a un suo collega brillante e anticonformista, un libro intitolato Pro e contro il metodo, nel quale presentare in forma di dialogo due punti di vista opposti sull'esistenza di un vero e proprio metodo scientifico. La morte improvvisa di Lakatos nel 1974 interruppe il progetto e il suo collega pubblicò il libro da solo.
Il collega di Lakatos si chiamava Paul Feyerabend, era anche lui austriaco come Popper e Wittgenstein, e il suo libro Contro il metodo, che uscì nel 1975, divenne il più famoso – o meglio, famigerato – testo di filosofia della scienza del Novecento, insieme con la Logica della scoperta scientifica di Popper e La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Kuhn.
Feyerabend si guadagnò una notorietà molto al di fuori dei circoli filosofici con la sua scrittura diretta e avvincente, ben diversa dal linguaggio oscuro dei filosofi di allora (e non solo di allora), con la personalità affascinante e l'abilità dialettica che facevano delle sue lezioni dei veri e propri spettacoli, ma soprattutto con le prese di posizione paradossali e provocatorie e la volontà di mettere in discussione qualunque cosa, più per il gusto di provocare che per reale convinzione: per esempio, andava spesso a lezione con una vecchissima copia del Malleus Maleficarum, uno dei più famosi manuali degli inquisitori per la caccia alle streghe, che leggeva e discuteva con gli studenti argomentando che fosse più razionale delle contemporanee opere di astronomia e di meccanica, che diedero vita alla rivoluzione copernicana. Non c'è da stupirsi se in questo modo Feyerabend si guadagnò l'ammirazione dei movimenti della controcultura e della New Age e l'ostilità degli scienziati di tutto il mondo: nel 1987 Nature lo definì addirittura «il peggior nemico della scienza».
Con il libro che lo rese famoso Feyerabend negava l'esistenza stessa di uno dei principali campi di interesse della filosofia della scienza: il metodo scientifico. Secondo Feyerabend un metodo scientifico che permetta di ricavare le teorie dai fatti non può esistere per diverse ragioni. In primo luogo perché i fatti non sono separabili dalle teorie ma sono inestricabilmente legati a esse (un'idea da lui portata all'estremo ma presente anche in Kuhn e in molti altri filosofi) e in secondo luogo perché le teorie possono essere giustificate soltanto in riferimento ad altre teorie, e quindi in modo intrinsecamente non obiettivo. Ma soprattutto, è impossibile definire un metodo scientifico inteso come un insieme di regole generali, perché nella storia della scienza qualsiasi regola metodologica è stata violata prima o poi.
Per sostenere la sua tesi Feyerabend usa la tecnica della dimostrazione per assurdo: prende in esame diversi criteri di scientificità e, usando come esempio il passaggio dalla teoria tolemaica a quella copernicana, dimostra che Galileo non ne rispettò nessuno. Le osservazioni di Feyerabend sono interessanti e approfondite, ma limitiamoci all'esempio più famoso, l'argomento della torre. La tesi dell'“empirismo ingenuo” è che l'eliocentrismo si sia affermato semplicemente perché era in accordo con i fatti anziché con l'autorità biblica, ma nella realtà gli aristotelici contestavano la teoria di Copernico proprio con un argomento empirico: un sasso lasciato cadere da una torre atterra ai piedi della stessa, mentre se la Terra si muovesse dovrebbe cadere a una certa distanza, perché durante la sua caduta il suolo si è spostato. Galileo superò questa difficoltà non con nuove osservazioni empiriche, ma con un nuovo modo di interpretare gli stessi fatti, che li rendeva compatibili con la nuova teoria: il principio di relatività e l'ipotesi “ad hoc” che i nostri sensi percepiscano solo il moto relativo e non il moto assoluto. La teoria eliocentrica, cioè, non si impose su quella geocentrica perché fosse più in accordo con i fatti, al contrario si impose nonostante fosse (nella vecchia interpretazione) in contrasto con i fatti: una circostanza, che Feyerabend chiama "controinduzione", non prevista dalle classiche teorie della conoscenza scientifica. Nemmeno il principio del falsificazionismo, cioè l'idea che la teoria tolemaica sia stata abbandonata perché smentita dai fatti, venne rispettato da Galileo, perché la teoria copernicana non spiegava il moto dei pianeti meglio della teoria tolemaica (lo avrebbe fatto solo con il passaggio dalle orbite circolari a quelle ellittiche introdotte da Keplero); perché le osservazioni al cannocchiale fatte da Galileo erano discutibili e meno precise di quelle fatte a occhio nudo da Keplero; perché non esisteva ancora una teoria ottica che dimostrasse l'attendibilità di quelle osservazioni fatte al cannocchiale; e per altre ragioni.
Nel successo di Galileo furono dunque fondamentali, secondo Feyerabend, fattori del tutto extrascientifici, come la sua scelta di scrivere in italiano anziché in latino, le sue capacità di persuasione e il fatto di appellarsi a persone che si opponevano per temperamento (e non per motivi razionali) alle vecchie idee.
Secondo Feyerabend questo è un esempio tipico del modo in cui avanza la conoscenza scientifica: non solo tutti i grandi scienziati come Galileo hanno violato i principi metodologici che piacciono tanto ai filosofi, ma queste violazioni sono necessarie per il progresso della scienza, qualunque significato si dia al termine “progresso”: senza di esse le nuove teorie, che sono ancora immature e non reggono il confronto con quelle consolidate, non avrebbero il tempo di svilupparsi e di portare frutti. Se proprio si fosse costretti a formulare un principio che non sia mai stato violato, si potrebbe dire soltanto «qualsiasi cosa va bene» (anything goes).
Questa tesi è stata spesso interpretata come l'idea che la scienza non debba seguire alcuna regola, ma si tratta di un fraintendimento grossolano: lo scopo dichiarato esplicitamente di Contro il metodo non era sostenere che tutte le metodologie sono equivalenti, ma che qualsiasi metodologia ha i suoi limiti. Feyerabend riconosce che esistono buoni e cattivi modi di fare scienza, tanto che distingue esplicitamente i pensatori rispettabili dai ciarlatani, ma non vuole che le regole vengano imposte agli scienziati dall'esterno. I filosofi dovrebbero adottare il principio «qualsiasi cosa va bene», cioè smettere di cercare di definire e regolamentare la scienza, ma è giusto che gli scienziati seguano dei principi: spetta però ai singoli scienziati decidere quali metodi e quali principi seguire, senza preoccuparsi di quello che ne pensano i filosofi. Nelle parole di Feyerabend, «uno scienziato non è un bambino che ha bisogno di essere guidato e rassicurato da papà metodologia e mamma razionalità, ma può cavarsela da solo.»
Anche l'idea che Feyerabend fosse un nemico della scienza è imprecisa. Il bersaglio degli attacchi di Feyerabend non era la scienza, ma appunto la filosofia, e nella fattispecie la filosofia della scienza, che si ostinava a tentare di costringere la varietà e l'esuberanza della ricerca scientifica in schemi semplificati e universali, restrittivi e dannosi per la creatività. Feyerabend voleva insomma liberare la scienza dall'ideologia razionalista e dall'ossessione normativa che avevano eliminato dalla storia della scienza la componente umana, cioè gli incidenti, l'immaginazione, la propaganda e tutti gli elementi che non corrispondevano all'immagine semplificata e stereotipata del metodo scientifico.
Oltre a contestare l'idea stessa di metodo, nei libri successivi Feyerabend mise in discussione anche (con argomenti per la verità molto più deboli) la superiorità dei risultati ottenuti dalla scienza rispetto a quelli delle altre tradizioni culturali, comprese le pseudoscienze come l'astrologia o le medicine alternative. In questo caso, comunque, ciò che gli interessava di più non era dimostrare la non superiorità della scienza rispetto alle altre forme di conoscenza, ma contrastare la sua egemonia culturale e sociale. Secondo Feyerabend, anche se inizialmente la scienza ci ha liberati dai dogmi religiosi, dall'autoritarismo e dalla superstizione, ora che si è istituzionalizzata e non deve fronteggiare alternative è diventata essa stessa dogmatica e incoraggia il conformismo, distruggendo le differenze culturali e imponendo al mondo intero il modo di pensare dell'Occidente scientifico e tecnologico con una forma di “imperialismo culturale”. Per garantire la massima libertà di pensiero, però, non dovremmo dare alla scienza una posizione privilegiata e tantomeno sostituirla con altre ideologie, ma semplicemente riconoscere a tutte le tradizioni gli stessi diritti, incoraggiando la pluralità culturale. Per Feyerabend la libertà è più importante della verità e la società sarà veramente libera solo se la razionalità scientifica non sarà inculcata negli studenti fin da bambini, ma insegnata al pari delle alternative, incoraggiando così lo spirito critico: i cittadini potranno poi scegliere democraticamente se preferiscono la teoria di Darwin o il creazionismo, la medicina occidentale o le medicine alternative, e così via.
Alla luce di queste considerazioni Feyerabend non forniva alcun criterio, né formale né pragmatico, per selezionare le teorie scientifiche, né accettava la separazione tra scienza e pseudoscienza: qualsiasi teoria era degna di essere portata avanti, indipendentemente dal suo accordo con i dati sperimentali, perché prima o poi ne sarebbe potuto nascere qualcosa di buono.
L'atteggiamento di Feyerabend nasce dalla preoccupazione fondata (almeno entro certi limiti) di combattare lo scientismo, cioè la tendenza a svalutare le conoscenze diverse da quelle scientifiche, ma riflette probabilmente una certa ingenuità politica e non funziona quando bisogna scegliere tra teorie alternative per affrontare un problema pratico, come le politiche sanitarie o quelle dell'istruzione. Feyerabend ha ragione sul fatto che le scoperte scientifiche non sono governate rigidamente dalla logica ma sono aperte alla soggettività, agli incidenti e alla politica, ma questo non significa che le teorie scientifiche non siano attendibili.
Un altro limite delle posizioni di Feyerabend è la tendenza a partire da osservazioni corrette e spesso molto acute per spingersi a conclusioni paradossali e insostenibili: per esempio, e a differenza di Kuhn, giudicava le capacità propagandistiche e le scelte politiche di Galileo non come fattori accessori, ma come le ragioni decisive del suo successo (anche se non intendeva queste valutazioni in senso spregiativo e al contrario ammirava la capacità di Galileo di uscire dagli schemi).
Feyerabend arrivava a queste esagerazioni cadendo spesso nella fallacia della falsa dicotomia: presentava i problemi come se esistessero soltanto due soluzioni alternative fra di loro, trascurando le possibilità intermedie, per cui escludere la prima possibilità rendeva obbligatorio scegliere la seconda. Ma il fatto, per esempio, di riconoscere pari dignità alle conoscenze non scientifiche non implica metterle sullo stesso piano di quelle scientifiche in ogni circostanza.
Nonostante i suoi errori e le sue esagerazioni (alle quali probabilmente nemmeno lui stesso credeva fino in fondo), Feyerabend aveva ragione sul fatto che il metodo scientifico non esiste così come veniva definito dall'epistemologia prescrittiva, cioè come un insieme fisso di regole che è necessario seguire per passare dall'osservazione della natura alla formulazione di leggi. A differenza di quello che sosteneva Feyerabend, però, si può dire che esista una natura specifica della scienza sia nel senso di una mentalità e di un insieme di valori sia nel senso di varie tecniche e di strumenti, che si evolvono nel tempo e che possono essere diverse tra una disciplina e l'altra: esiste cioè un'epistemologia descrittiva, che non può prevedere come si scoprirà nuova conoscenza in futuro ma che mostra che la scienza si evolve e impara dai propri errori. Questa osservazione apre la strada a un'analisi della scienza dal punto di vista storico e sociologico che, in mancanza di un metodo chiaramente definibile, permetta di caratterizzarla da altri punti di vista. Naturalmente questo ha anche delle importanti conseguenze sul problema della demarcazione tra scienza e pseudoscienza: ci torneremo nei prossimi numeri.