Mentre scrivo questa nota è in pieno svolgimento la campagna elettorale in vista delle imminenti elezioni politiche. Una cosa che emerge in modo evidente in tutti gli schieramenti in lizza è la quasi totale assenza di seria attenzione per i problemi legati all’istruzione (salvo rarissime eccezioni e occasionali spot sensazionalistici).
Eppure i motivi per (pre)occuparsene non mancano di certo.
Una recente intervista[1] di Bruno Simili al professor Tullio De Mauro, illustre linguista e già ministro della Pubblica Istruzione, fa emergere un quadro sconsolante. Secondo l’accademico della Crusca, infatti, soltanto il 20 per cento degli italiani disporrebbe di un bagaglio culturale tale da consentir loro di orientarsi nella vita della società contemporanea. Riferendosi a due indagini comparative internazionali (realizzate mediante somministrazione di questionari) sui livelli di alfabetizzazione degli adulti, De Mauro afferma: «I nostri dati sono impressionanti. Un 5% per cento della popolazione adulta in età di lavoro – quindi non vecchietti e vecchiette, ma persone tra i 14 e i 65 anni – non è in grado di accedere neppure alla lettura dei questionari perché gli manca la capacità di verificare il valore delle lettere che ha sotto il naso. Poi c’è un altro 38% per cento che identifica il valore delle lettere ma non legge. E già siamo oltre il 40% per cento. Si aggiunge ancora un altro 33% per cento che invece legge il questionario al primo livello; e al secondo livello, dove le frasi si complicano un po’, si perde e si smarrisce: è la fascia definita pudicamente “a rischio di analfabetismo”. Si tratta di persone che non riescono a prendere un giornale o a leggere un avviso al pubblico – anche se è scritto bene, cosa tutta da vedere e verificare. E così siamo ai tre quarti della popolazione...». E prosegue: «Resta un quarto neppure della popolazione su cui la seconda delle due indagini infierisce, introducendo domande più complesse, di problem solving, cioè di capacità di utilizzazione delle capacità alfanumeriche dinanzi a problemi inediti. Così facendo, si arriva alla conclusione che solo il 20% per cento della popolazione adulta italiana è in grado di orientarsi nella società contemporanea: nella vita della società contemporanea, non nei suoi problemi, beninteso». Il confronto con la situazione degli altri Paesi è drammatico. Afferma sconsolato De Mauro: «Tra i Paesi considerati, bisogna arrivare allo Stato del Nuevo Léon, in Messico, per trovarne uno più malmesso di noi».
Altri dati preoccupanti arrivano dal fronte universitario. Secondo un recente documento del CUN (Consiglio Universitario Nazionale), negli ultimi dieci anni, le matricole sono diminuite del 17% per cento e, negli ultimi sei anni, è calato del 22% per cento il numero dei docenti.
Anche i Paesi disagiati si rendono conto dell’importanza dell’istruzione. È notizia recente[2], ad esempio, che il presidente del Brasile, Dilma Rousseffche, ha comunicato l’approvazione di un decreto secondo il quale il 100% per cento dei proventi derivanti dalle nuove concessioni petrolifere del Brasile andrà a finanziare la scuola. In Italia invece è rimasta lettera morta, ed ha avuto ben scarsa eco, la proposta dell’ingegner. Carlo De Benedetti di convogliare sull’istruzione le copiose spese che il Paese sostiene per gli apparati militari e le cosiddette missioni di pace[3]. Giustamente l’ingegnere ha sostenuto che una nazione che intenda migliorarsi deve puntare sulla “testa” dei suoi cittadini, dichiarando: «Se investissimo nel sapere evidentemente costruiremmo il nostro futuro». Ben pochi sembrano avergli dato ascolto.
L’indifferenza degli italiani nei confronti dell’istruzione e della cultura appare purtroppo confermata da alcuni recenti dati. Il “Rapporto sulla sicurezza in Italia e in Europa”[4], ricerca diretta dal sociologo Ilvo Diamanti, ha posto una serie di domande ai cittadini europei tendenti a individuare i due problemi più importanti che il loro Paese dovrebbe affrontare. Dalle risposte fornite si deduce che l’economia risulta in testa alla lista delle emergenze indicate dalla maggioranza dei cittadini italiani ed europei. In Italia, in particolare, i primi tre posti sono occupati da fenomeni di carattere economico: la disoccupazione (49% per cento), la situazione economica generale (42% per cento) e la crescita dell’inflazione (28% per cento). Se si confrontano questi dati con quelli, ad esempio, della Germania, si scopre però che per i tedeschi la preoccupazione per la disoccupazione si colloca solo al terzo posto (17% per cento), mentre al primo posto (30% per cento) troviamo l’attenzione per la crescita dell’inflazione e al secondo posto (21% per cento) l’adeguamento dell’istruzione. Quello che inquieta maggiormente è che solamente il 2% per cento dei cittadini italiani ritiene che l’istruzione sia un problema importante da affrontare (si tratta infatti dell’ultima priorità indicata, tra quelle previste, insieme al pericolo del terrorismo). Per gli italiani dunque l’istruzione sarebbe assolutamente marginale, all’ultimo posto, per consentire al paese di migliorarsi e crescere. Purtroppo non sono solo i cittadini a pensarlo. Anche secondo esponenti politici di spicco: «con la cultura non si mangia».
Nel dicembre 2012 è stato presentato a Londra il progetto “The Learning Curve”[5]. Si tratta di un nuovo rapporto sull’educazione a livello globale, realizzato dalla The Economist Intellingence Unit insieme alla casa editrice Pearson. In tale rapporto vengono messi a confronto 40 Paesi in base a 60 diversi parametri: dai risultati dei test OCSE-Pisa, agli investimenti governativi, dagli stipendi del personale docente al rapporto alunni-professori, senza tralasciare indicatori economici come il tasso di occupazione dei diplomati/laureati, il reddito percepito e il benessere generale di ogni Paese. Quello che emerge chiaramente dal rapporto è che i risultati scolastici conseguiti dagli studenti sono strettamente correlati all’importanza e al valore che l’intero Paese attribuisce all’istruzione e alla cultura in generale. Inoltre le istituzioni scolastiche funzionano meglio dove la reputazione e lo status sociale degli insegnanti è più elevato.
Questi dati dovrebbero far riflettere. In Italia oramai si è innescato un perverso circolo vizioso: la cultura viene ignorata, se non disprezzata, e questo alimenta inevitabilmente un disinteresse per l’istruzione che genera nuova incultura. Questa, a mio parere, è la più grave crisi che il nostro Paese sta attraversando. Se si parlasse un po’ meno di spread e di spending review e un po’ più di cultura, formazione e ricerca forse avremmo qualche speranza in più di intravvedere finalmente l’agognata fine del tunnel.
Eppure i motivi per (pre)occuparsene non mancano di certo.
Una recente intervista[1] di Bruno Simili al professor Tullio De Mauro, illustre linguista e già ministro della Pubblica Istruzione, fa emergere un quadro sconsolante. Secondo l’accademico della Crusca, infatti, soltanto il 20 per cento degli italiani disporrebbe di un bagaglio culturale tale da consentir loro di orientarsi nella vita della società contemporanea. Riferendosi a due indagini comparative internazionali (realizzate mediante somministrazione di questionari) sui livelli di alfabetizzazione degli adulti, De Mauro afferma: «I nostri dati sono impressionanti. Un 5% per cento della popolazione adulta in età di lavoro – quindi non vecchietti e vecchiette, ma persone tra i 14 e i 65 anni – non è in grado di accedere neppure alla lettura dei questionari perché gli manca la capacità di verificare il valore delle lettere che ha sotto il naso. Poi c’è un altro 38% per cento che identifica il valore delle lettere ma non legge. E già siamo oltre il 40% per cento. Si aggiunge ancora un altro 33% per cento che invece legge il questionario al primo livello; e al secondo livello, dove le frasi si complicano un po’, si perde e si smarrisce: è la fascia definita pudicamente “a rischio di analfabetismo”. Si tratta di persone che non riescono a prendere un giornale o a leggere un avviso al pubblico – anche se è scritto bene, cosa tutta da vedere e verificare. E così siamo ai tre quarti della popolazione...». E prosegue: «Resta un quarto neppure della popolazione su cui la seconda delle due indagini infierisce, introducendo domande più complesse, di problem solving, cioè di capacità di utilizzazione delle capacità alfanumeriche dinanzi a problemi inediti. Così facendo, si arriva alla conclusione che solo il 20% per cento della popolazione adulta italiana è in grado di orientarsi nella società contemporanea: nella vita della società contemporanea, non nei suoi problemi, beninteso». Il confronto con la situazione degli altri Paesi è drammatico. Afferma sconsolato De Mauro: «Tra i Paesi considerati, bisogna arrivare allo Stato del Nuevo Léon, in Messico, per trovarne uno più malmesso di noi».
Altri dati preoccupanti arrivano dal fronte universitario. Secondo un recente documento del CUN (Consiglio Universitario Nazionale), negli ultimi dieci anni, le matricole sono diminuite del 17% per cento e, negli ultimi sei anni, è calato del 22% per cento il numero dei docenti.
Anche i Paesi disagiati si rendono conto dell’importanza dell’istruzione. È notizia recente[2], ad esempio, che il presidente del Brasile, Dilma Rousseffche, ha comunicato l’approvazione di un decreto secondo il quale il 100% per cento dei proventi derivanti dalle nuove concessioni petrolifere del Brasile andrà a finanziare la scuola. In Italia invece è rimasta lettera morta, ed ha avuto ben scarsa eco, la proposta dell’ingegner. Carlo De Benedetti di convogliare sull’istruzione le copiose spese che il Paese sostiene per gli apparati militari e le cosiddette missioni di pace[3]. Giustamente l’ingegnere ha sostenuto che una nazione che intenda migliorarsi deve puntare sulla “testa” dei suoi cittadini, dichiarando: «Se investissimo nel sapere evidentemente costruiremmo il nostro futuro». Ben pochi sembrano avergli dato ascolto.
L’indifferenza degli italiani nei confronti dell’istruzione e della cultura appare purtroppo confermata da alcuni recenti dati. Il “Rapporto sulla sicurezza in Italia e in Europa”[4], ricerca diretta dal sociologo Ilvo Diamanti, ha posto una serie di domande ai cittadini europei tendenti a individuare i due problemi più importanti che il loro Paese dovrebbe affrontare. Dalle risposte fornite si deduce che l’economia risulta in testa alla lista delle emergenze indicate dalla maggioranza dei cittadini italiani ed europei. In Italia, in particolare, i primi tre posti sono occupati da fenomeni di carattere economico: la disoccupazione (49% per cento), la situazione economica generale (42% per cento) e la crescita dell’inflazione (28% per cento). Se si confrontano questi dati con quelli, ad esempio, della Germania, si scopre però che per i tedeschi la preoccupazione per la disoccupazione si colloca solo al terzo posto (17% per cento), mentre al primo posto (30% per cento) troviamo l’attenzione per la crescita dell’inflazione e al secondo posto (21% per cento) l’adeguamento dell’istruzione. Quello che inquieta maggiormente è che solamente il 2% per cento dei cittadini italiani ritiene che l’istruzione sia un problema importante da affrontare (si tratta infatti dell’ultima priorità indicata, tra quelle previste, insieme al pericolo del terrorismo). Per gli italiani dunque l’istruzione sarebbe assolutamente marginale, all’ultimo posto, per consentire al paese di migliorarsi e crescere. Purtroppo non sono solo i cittadini a pensarlo. Anche secondo esponenti politici di spicco: «con la cultura non si mangia».
Nel dicembre 2012 è stato presentato a Londra il progetto “The Learning Curve”[5]. Si tratta di un nuovo rapporto sull’educazione a livello globale, realizzato dalla The Economist Intellingence Unit insieme alla casa editrice Pearson. In tale rapporto vengono messi a confronto 40 Paesi in base a 60 diversi parametri: dai risultati dei test OCSE-Pisa, agli investimenti governativi, dagli stipendi del personale docente al rapporto alunni-professori, senza tralasciare indicatori economici come il tasso di occupazione dei diplomati/laureati, il reddito percepito e il benessere generale di ogni Paese. Quello che emerge chiaramente dal rapporto è che i risultati scolastici conseguiti dagli studenti sono strettamente correlati all’importanza e al valore che l’intero Paese attribuisce all’istruzione e alla cultura in generale. Inoltre le istituzioni scolastiche funzionano meglio dove la reputazione e lo status sociale degli insegnanti è più elevato.
Questi dati dovrebbero far riflettere. In Italia oramai si è innescato un perverso circolo vizioso: la cultura viene ignorata, se non disprezzata, e questo alimenta inevitabilmente un disinteresse per l’istruzione che genera nuova incultura. Questa, a mio parere, è la più grave crisi che il nostro Paese sta attraversando. Se si parlasse un po’ meno di spread e di spending review e un po’ più di cultura, formazione e ricerca forse avremmo qualche speranza in più di intravvedere finalmente l’agognata fine del tunnel.
Note
1) B. Simili, B. 2012. “Intervista a Tullio De Mauro”, “il Mulino” n.(6): /12, pp. 1044-1053 disponibile on-line all’indirizzo: http://www.rivistailmulino.it/journal/articlefulltext/index/Article/Journal:RWARTICLE:3... .
2) A.G., 2012. “Il Brasile cede i proventi petroliferi alla scuola. E l’Italia rimane a guardare”, “La tecnica della Scuola”, 01.12. dicembre 2012: http://www.tecnicadella-scuola.it/index.php?id=41835&action=view .
3) “De Benedetti: «"Usare per la scuola i soldi delle missioni militari»"”, “la Repubblica”, 28.11. novembre 2012: http://www.repubblica.it/politica/2012/11/28/news/de_benedetti_usare_per_la_scuola_i_so... .
4) Osservatorio Europeo sulla sicurezza. 2013. Tutte le insicurezze degli italiani. Significati, immagine e realtà. “VI Rapporto sulla sicurezza in Italia e in Europa” Scaricabile in pdf all’indirizzo: http://www.demos.it/2013/pdf/2517osservatoriosicurezza2012_uv10_1.pdf .