Tra il dire e il fare...

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TecnoramaLab. © Satmap/Wiki
Nella precedente puntata avevo lanciato un appello ai lettori (soprattutto insegnanti e studenti) affinché si pronunciassero su come rendere più accattivante l'insegnamento delle scienze. Purtroppo i tempi di pubblicazione della rivista non hanno ancora consentito di raccogliere tali suggerimenti. Rinnovo l'appello e in attesa che i contributi dei lettori arrivino, volevo proporre io qualche considerazione.

Tutti coloro che si occupano di didattica delle scienze sottolineano l'importanza dell'approccio laboratoriale. Il che sembra abbastanza ovvio, visto che le discipline scientifiche sono, per loro natura, sperimentali. A onor del vero qualcuno (di solito studiosi con formazione pedagogica) ha sostenuto che il laboratorio scientifico tradizionale possa essere sostituito, con risultati didattici migliori, da laboratori virtuali supportati dalle tecnologie informatiche (ne abbiamo avuto un esempio in un intervento all'ultimo convegno del CICAP di Abano Terme).

Personalmente ritengo che le simulazioni al computer possano essere utilmente impiegate, soprattutto per esperimenti non realizzabili nei laboratori scolastici, ma che non possano sostituire un reale esperimento. Aggiornando Galileo, che scrisse "I discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta"[1], potremmo affermare che "I discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo virtuale". Penso che la realtà sia insostituibile e che quindi il laboratorio scientifico tradizionale possa avere una funzione didattica importantissima, purché utilizzato bene. Già, perché non basta portare i ragazzi in laboratorio per migliorare automaticamente la qualità della didattica. Un interessante articolo sulla didattica laboratoriale, sui suoi pregi, i suoi limiti e sul modo migliore di utilizzarla si può trovare in rete[2]. L'autrice (insegnante) parte da una premessa di tipo pedagogico, con una critica alle mode costruttiviste (o meglio, alle derive costruttiviste) che hanno influenzato la didattica negli ultimi anni. Secondo queste concezioni, come l'autrice scrive: "il discente è artefice della propria conoscenza, costruisce un significato individuale e sociale a partire dalle sensazioni e dalle esperienze che vive; la conoscenza non è quella che sta "fuori", immutabile e indipendente dal nostro modo di comprendere, ma è quella che ognuno si fabbrica con il proprio vissuto. L'insegnante deve dunque assecondare il modo di procedere di ciascun allievo indirizzandolo alla maturazione delle conoscenze secondo i suoi personali costrutti, senza imporre la propria visione della disciplina. Questo modo di intendere la relazione docente-discente non manca di fascino; dopotutto, seguire le teorie costruttiviste significa percorrere la strada già tracciata da Dewey, Piaget, Vygotskij."

E riguardo al ruolo del laboratorio aggiunge: "Nei corsi di preparazione all'insegnamento va di moda la didattica laboratoriale; nota senza dubbio positiva in un sistema di istruzione come quello italiano, eccessivamente sbilanciato sulle materie umanistiche... Se la frequenza dei laboratori è un bene, diventa però una farsa nel momento in cui li si frequenta con una preparazione teorica scarsa quando non inesistente, con la motivazione che l'alunno deve costruire la propria conoscenza proprio a partire dall'esperienza pratica."

Personalmente sono d'accordo con quanto scrive la collega. Il laboratorio può svolgere un ruolo insostituibile, ma non può prescindere da un solido studio teorico. Considerazioni dello stesso tipo sono state espresse dal prof. Giorgio Israel, ordinario di storia della matematica alla Sapienza di Roma e consulente del Ministero dell'Istruzione per il recente riordino degli istituti tecnici e professionali e dei licei (la cosiddetta riforma Gelmini)[3]: "Pertanto chi crede o predica che lo studente debba entrare in laboratorio senza un supporto preventivo di teoria e possa apprendere qualcosa "scoprendo" a caso non ha capito nulla di cosa sia la scienza e ne ha un'idea prossima a quella dell'alchimia medioevale. È ottimo che vi siano laboratori nelle scuole ma lo studente deve entrarvi con una preparazione teorica, altrimenti non caverà un ragno dal buco. Lavoisier non ha mostrato che l'acqua è composta da idrogeno e ossigeno pasticciando a caso, ma perché perseguiva una precisa idea circa la struttura della materia."

Il laboratorio può svolgere un ruolo importantissimo anche dal punto di vista motivazionale (e qui mi riallaccio a quello di cui discutevamo nella precedente puntata della rubrica): i ragazzi, in genere, in laboratorio si divertono di più e sono quindi più interessati di quanto non succeda in aula. Tuttavia il laboratorio da solo non può fornire gli apparati concettuali e necessariamente astratti che possono essere forniti esclusivamente attraverso una lezione frontale da parte del docente e l'insostituibile studio individuale. Tra attività di laboratorio e lezioni teoriche ci deve essere una giusta ed equilibrata sinergia: far prevalere talvolta l'una o le altre dipende dall'abilità del singolo docente e, ovviamente, dall'argomento che sta sviluppando.

Queste considerazioni naturalmente valgono in teoria. In pratica, purtroppo, spesso ci si scontra con realtà che rendono difficile il compito del docente. Ad esempio, non sono affatto rare le scuole che non dispongono di idonee strutture che consentano di svolgere un'adeguata attività di laboratorio. Molto spesso poi il comportamento degli allievi (che dipende in larga parte dall'educazione familiare, più che da quella scolastica) rende difficili sia le attività di laboratorio sia le lezioni frontali (è recente la notizia che nelle scuole inglesi sempre meno insegnanti portano gli allievi in laboratorio in buona parte a causa della loro indisciplina[4]). E da ultimo, a rendere difficile la didattica ci si mettono paradossalmente anche gli interventi e i programmi ministeriali. Mentre scrivo queste note, sono da poco stati resi noti i quadri orari definitivi relativi al riordino degli istituti tecnici e professionali e dei licei di cui accennavamo prima. Le ore più fortemente penalizzate dai feroci tagli economici sono proprio quelle destinate alle attività di laboratorio. Un esempio fra tutti. Il "Liceo scientifico tecnologico", che aveva avuto un ottimo successo e che prevedeva per le diverse discipline scientifiche un congruo numero di ore settimanale per attività di laboratorio, è stato sostituito dal "Liceo delle scienze applicate" nel quale non è prevista neppure un'ora di laboratorio (questo è quanto risulta dai quadri orari, se poi le singole scuole riusciranno autonomamente a ricavarne un po' è un altro discorso). La situazione non è migliore per gli altri indirizzi di studio.

Ancora una volta quindi dall'alto si fa ben poco per migliorare la qualità dell'insegnamento e tutto è demandato all'iniziativa dei singoli insegnanti. Insegnanti che indubbiamente rappresentano il nocciolo del sistema scolastico: senza bravi insegnanti una scuola non funziona, anche in presenza dei migliori allievi, delle migliori strutture, dei migliori programmi. È però anche vero il viceversa: un insegnante, per bravo che sia, non può tutto. Per citare ancora la collega, autrice dell'articolo da cui ho preso vari spunti:

Ogni professione ha bisogno di strumenti idonei. Il falegname più brillante non può lavorare il legno con le mani!

Note


1) G.Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, vii, 138-139 (1632).
3) G. Israel, "Da Galileo a Fourier, la storia della scienza è piena di questi incorreggibili gentiliani", http://gisrael.blogspot.com/2009/02/da-galileo-fourier-la-storia-della.html
4) J. Shepherd, "Teachers timed out on science experiments", The Guardian, 26 marzo 2010, http://www.guardian.co.uk/education/2010/mar/26/no-time-practical-science-experiments .
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