Nel novembre 2009 un hacker riesce a forzare un server dell’Università dell’Est Anglia e a trafugare migliaia di file, tra cui l’archivio di posta di alcuni ricercatori del Climate Research Unit (CRU), un ente di ricerca che raccoglie e analizza i dati sulla temperatura della Terra rilevati in diverse stazioni. Le mail rubate circolano in rete e suscitano una forte controversia sulla correttezza del comportamento tenuto dagli scienziati del CRU: alcuni estratti vengono utilizzati per attaccare la ricerca sul clima e sostenere la tesi secondo cui il riscaldamento globale è una bufala.
Data la gravità delle accuse, l’Università dell’Est Anglia ha annunciato l’apertura di un’inchiesta indipendente e la sospensione del direttore del CRU, Phil Jones, in attesa dei risultati, mentre un’altra inchiesta è stata avviata dal parlamento inglese. Parallelamente, la Pennsylvania State University ha aperto un’inchiesta sul proprio professore Michael Mann, protagonista di alcune delle mail più controverse. Il Met Office, un’agenzia che collabora con il CRU, preoccupato per la perdita di fiducia negli scienziati da parte del pubblico, ha dichiarato la propria intenzione di riesaminare nei prossimi tre anni tutti i dati degli ultimi 160 anni e di rendere pubblici gli archivi delle temperature di oltre 1000 stazioni di rilevamento, pur confidando che i dati precedenti saranno confermati.
Alcune frasi estrapolate dalle mail sono state utilizzate per accusare gli scienziati di:
falsificare deliberatamente i dati, usando “trucchi” (“tricks”) per nascondere alcuni punti sperimentali controversi;
sapere che le temperature stanno calando, non riuscire a spiegarselo e nascondere la cosa (“è una buffonata che non ci possiamo permettere”, “Is a travesty we cannot afford”);
censurare il lavoro dei colleghi in disaccordo, invocando pure una modifica del sistema di revisione degli articoli (il cosiddetto “peer review”);
cancellare i dati in risposta a richieste di renderli pubblici.
Ma c’è davvero del marcio dietro a tutta questa storia? Cerchiamo di ricontestualizzare le frasi per capire se si tratti davvero di truffe e omissioni.
La parola “trick” si riferisce colloquialmente ad una intelligente (e legittima) tecnica di trattamento dei dati, pubblicata anni fa in un articolo.
I dati che non tornano riguardano misure su anelli degli alberi, utilizzate come surrogato di misure dirette di temperatura, che in alcune regioni del Nord America mostrerebbero un calo mentre le temperature misurate stanno crescendo.[1]
La “buffonata” (“travesty”) riguarda il bilancio energetico totale della Terra: in un articolo pubblicato un ricercatore trova che nell’ultimo secolo in nostro pianeta sta assorbendo energia, e quindi si sta riscaldando, ma una piccola parte del calore non si ritrova nei riscaldamenti misurati.[2] Quindi quelle mail mostrano scienziati che si preoccupano dei problemi nell’analisi dei dati. Gli aspetti evidenziati non riguardano dubbi sull’aumento della temperatura, e sono gli stessi che si possono leggere pubblicati negli articoli scientifici.
I commenti riguardanti il sistema di pubblicazione degli articoli hanno a che fare con una vicenda di cui ha parlato anche il CSICOP [3]nel 2004. Non sempre un articolo pubblicato su una rivista con referee è di qualità accettabile, e nel caso in questione un articolo pubblicato sulla rivista Climate Research era pesantemente viziato da errori, al punto che il caporedattore e diversi redattori della rivista si dimisero. Le mail (private) riferiscono anche commenti molto severi, giudizi pesantissimi su colleghi, ma i loro contributi sono inclusi nei rapporti, cosa che conferma la correttezza del processo di revisione scientifica e dei rapporti IPCC.
L’indagine condotta dalla Pennsylvania University e le inchieste condotte dalla Associated Press e da Factcheck.com hanno completamente discolpato gli scienziati coinvolti dalle accuse di manipolazione. Altre inchieste sono ancora in corso. Diverse critiche sono arrivate a Jones e colleghi per la riluttanza a fornire i propri dati agli scettici del riscaldamento globale, anche se un editoriale di Nature li ha parzialmente giustificati per la perdita di tempo e l’esasperazione causate da queste continue richieste.[4] Ad alcuni mesi dalla vicenda quelle mail sono state analizzate in maniera molto approfondita,[5] e finora non è emerso niente che dimostri falsificazione dei dati, o comportamenti gravemente scorretti.
Soprattutto, nonostante la gravità e la portata mediatica della vicenda, è bene ricordare che questa non va ad intaccare i risultati che dimostrano la progressione del riscaldamento globale e la sua origine – in larga parte – antropogenica. Anche se si eliminassero completamente i dati provenienti dal CRU, i dati provenienti da altre fonti indicherebbero comunque che la Terra si sta scaldando, che si scalderà ancora e che gran parte del riscaldamento è dovuto all’uomo.
Alla fine quel che resta dell’operazione di “hackeraggio” è la constatazione che anche gli scienziati sono esseri umani, si arrabbiano e parlano male, in privato, dei colleghi. Niente complotti, niente fondi segreti, nessuna prova che quegli scienziati pensino cose diverse da quelle pubblicate, che falsifichino i loro dati. E, più seriamente, la necessità di comunicare la scienza del cambiamento climatico in modo chiaro, seppure con le necessarie semplificazioni, tenendo fermi i punti che lo sono, ma senza nascondere le incertezze ed i punti ancora aperti. Come fa bene il già citato editoriale di Nature.
Data la gravità delle accuse, l’Università dell’Est Anglia ha annunciato l’apertura di un’inchiesta indipendente e la sospensione del direttore del CRU, Phil Jones, in attesa dei risultati, mentre un’altra inchiesta è stata avviata dal parlamento inglese. Parallelamente, la Pennsylvania State University ha aperto un’inchiesta sul proprio professore Michael Mann, protagonista di alcune delle mail più controverse. Il Met Office, un’agenzia che collabora con il CRU, preoccupato per la perdita di fiducia negli scienziati da parte del pubblico, ha dichiarato la propria intenzione di riesaminare nei prossimi tre anni tutti i dati degli ultimi 160 anni e di rendere pubblici gli archivi delle temperature di oltre 1000 stazioni di rilevamento, pur confidando che i dati precedenti saranno confermati.
Alcune frasi estrapolate dalle mail sono state utilizzate per accusare gli scienziati di:
falsificare deliberatamente i dati, usando “trucchi” (“tricks”) per nascondere alcuni punti sperimentali controversi;
sapere che le temperature stanno calando, non riuscire a spiegarselo e nascondere la cosa (“è una buffonata che non ci possiamo permettere”, “Is a travesty we cannot afford”);
censurare il lavoro dei colleghi in disaccordo, invocando pure una modifica del sistema di revisione degli articoli (il cosiddetto “peer review”);
cancellare i dati in risposta a richieste di renderli pubblici.
Ma c’è davvero del marcio dietro a tutta questa storia? Cerchiamo di ricontestualizzare le frasi per capire se si tratti davvero di truffe e omissioni.
La parola “trick” si riferisce colloquialmente ad una intelligente (e legittima) tecnica di trattamento dei dati, pubblicata anni fa in un articolo.
I dati che non tornano riguardano misure su anelli degli alberi, utilizzate come surrogato di misure dirette di temperatura, che in alcune regioni del Nord America mostrerebbero un calo mentre le temperature misurate stanno crescendo.[1]
La “buffonata” (“travesty”) riguarda il bilancio energetico totale della Terra: in un articolo pubblicato un ricercatore trova che nell’ultimo secolo in nostro pianeta sta assorbendo energia, e quindi si sta riscaldando, ma una piccola parte del calore non si ritrova nei riscaldamenti misurati.[2] Quindi quelle mail mostrano scienziati che si preoccupano dei problemi nell’analisi dei dati. Gli aspetti evidenziati non riguardano dubbi sull’aumento della temperatura, e sono gli stessi che si possono leggere pubblicati negli articoli scientifici.
I commenti riguardanti il sistema di pubblicazione degli articoli hanno a che fare con una vicenda di cui ha parlato anche il CSICOP [3]nel 2004. Non sempre un articolo pubblicato su una rivista con referee è di qualità accettabile, e nel caso in questione un articolo pubblicato sulla rivista Climate Research era pesantemente viziato da errori, al punto che il caporedattore e diversi redattori della rivista si dimisero. Le mail (private) riferiscono anche commenti molto severi, giudizi pesantissimi su colleghi, ma i loro contributi sono inclusi nei rapporti, cosa che conferma la correttezza del processo di revisione scientifica e dei rapporti IPCC.
L’indagine condotta dalla Pennsylvania University e le inchieste condotte dalla Associated Press e da Factcheck.com hanno completamente discolpato gli scienziati coinvolti dalle accuse di manipolazione. Altre inchieste sono ancora in corso. Diverse critiche sono arrivate a Jones e colleghi per la riluttanza a fornire i propri dati agli scettici del riscaldamento globale, anche se un editoriale di Nature li ha parzialmente giustificati per la perdita di tempo e l’esasperazione causate da queste continue richieste.[4] Ad alcuni mesi dalla vicenda quelle mail sono state analizzate in maniera molto approfondita,[5] e finora non è emerso niente che dimostri falsificazione dei dati, o comportamenti gravemente scorretti.
Soprattutto, nonostante la gravità e la portata mediatica della vicenda, è bene ricordare che questa non va ad intaccare i risultati che dimostrano la progressione del riscaldamento globale e la sua origine – in larga parte – antropogenica. Anche se si eliminassero completamente i dati provenienti dal CRU, i dati provenienti da altre fonti indicherebbero comunque che la Terra si sta scaldando, che si scalderà ancora e che gran parte del riscaldamento è dovuto all’uomo.
Alla fine quel che resta dell’operazione di “hackeraggio” è la constatazione che anche gli scienziati sono esseri umani, si arrabbiano e parlano male, in privato, dei colleghi. Niente complotti, niente fondi segreti, nessuna prova che quegli scienziati pensino cose diverse da quelle pubblicate, che falsifichino i loro dati. E, più seriamente, la necessità di comunicare la scienza del cambiamento climatico in modo chiaro, seppure con le necessarie semplificazioni, tenendo fermi i punti che lo sono, ma senza nascondere le incertezze ed i punti ancora aperti. Come fa bene il già citato editoriale di Nature.
Note
4) Quirin Schiermeier: “The real holes of climate science”, Nature 463, 284-287 (2010) http://www.nature.com/news/2010/100120/full/463284a.html
5) Nature 462, 545 (3 December 2009)