La scienza non si fa a maggioranza

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Quando sul numero 1 di Query abbiamo deciso di occuparci di riscaldamento globale, sapevamo di affrontare un argomento "caldo" da diversi punti di vista, che tocca la vita di tutti e suscita grandi contrapposizioni. Anche perché le posizioni che si assumono da un punto di vista scientifico hanno ricadute rilevanti sulle scelte strategiche relative ai modelli di sviluppo che immaginiamo o auspichiamo. Non ci sorprende quindi la garbata lettera che pubblichiamo in questo numero e approfittiamo della nostra risposta per chiarire ulteriormente le ragioni della nostra scelta editoriale.

La redazione di Query.

Dalla lettura del servizio "Caos climatico" pubblicato sul n. 1 di Query, si potrebbe dedurre che: a) la teoria AGW (Anthropogenic Global Warming) è ben provata scientificamente, b) le uniche obiezioni all'AGW sono bufale. Riteniamo che questo non corrisponda al vero e di seguito cerchiamo di spiegare perché.

a) Nel servizio si sottolinea l'importanza del consenso che tale teoria riscuoterebbe all'interno della comunità scientifica. Tuttavia la scienza non si costruisce a maggioranza: quello che conta sono le argomentazioni e i fatti.

Inoltre riteniamo che il consenso numerico di cui tale teoria gode possa essere stato determinato da fattori non propriamente scientifici. Come è stato denunciato da diversi ricercatori del settore, il dibattito scientifico in ambito climatologico negli ultimi anni è stato viziato da influenze esterne e le voci critiche nei confronti dell'AGW sono state oggetto di un ostracismo ingiustificato. Ad esempio, già nel 2007, il climatologo Guido Visconti scriveva: "Nei documenti dell'IPCC, infatti, di fisica ce n'è ben poca. In secondo luogo, è da precisare che l'IPCC non svolge ricerca scientifica vera e propria, ma svolge invece un'attività di rassegna di quella porzione della letteratura scientifica sul clima che è già allineata su tesi precedentemente enunciate proprio dall'IPCC. Un caso classico di autoreferenzialità, e di fabbrica del consenso: come ha infatti dimostrato un'analisi apparsa su Science nel 2004, nel periodo compreso fra il 1993 e il 2003 è stato molto difficile pubblicare articoli che sollevassero dubbi sulle tesi dell'IPCC."

E dopo che il climategate era esploso, lo stesso John Beddington, capo dei consulenti scientifici del Governo inglese, ha dichiarato: "Io non credo che sia salutare rigettare lo scetticismo. La scienza cresce e migliora alla luce delle critiche. C'è una fondamentale incertezza circa la previsione dei cambiamenti climatici che non può essere cambiata."

In ogni caso, il numero di ricercatori che esprime critiche all'AGW è tutt'altro che trascurabile. Basti ricordare l'esistenza dell'NICCP (Nongovernmental International Panel on Climate Change). Si tratta di un organismo scientifico internazionale di cui fanno parte scienziati di molti paesi che hanno prodotto un rapporto il cui Riassunto ha un inequivocabile titolo: La natura, non l'attività dell'uomo, governa il clima. Inoltre, un dibattito è in corso all'interno dell'American Physical Society per rivedere la sua affermazione pubblica del novembre 2007 in cui si dichiarava a favore dell'AGW.

b) Vi sono numerose obiezioni alla teoria AGW che hanno una loro precisa legittimità scientifica e alle quali non è stata ancora data una risposta soddisfacente. In particolare:

1. Nel passato ci sono stati periodi in cui il pianeta è stato più caldo di adesso (l'Optimum Climatico Olocenico, OCO, l'Optimum Climatico Romano, OCR, e possibilmente anche l'Optimum Climatico Medievale, OCM).

2. Dal 1500 al 1850 il pianeta è stato interessato da una fase fredda nota come Piccola Era Glaciale (PEG), conclusasi la quale è entrato in una fase più calda. A questo proposito, Query ha scritto che "il riscaldamento degli ultimi decenni non ha precedenti negli ultimi 2000 anni". Ma su un Rapporto del National Research Council americano si legge: "Si può dire, con alto livello di fiducia, che la temperatura globale media superficiale è stata più elevata nel corso degli ultimi decenni del 20° secolo che nel corso di un analogo periodo durante i precedenti quattro secoli. [.] Le incertezze sostanziali attualmente presenti nella valutazione quantitativa dei cambiamenti della temperatura di superficie di grande scala anteriori al 1600 circa abbassano la nostra fiducia [...]. Ancor meno fiducia può essere concessa alla conclusione originale di Mann et al. (1999) secondo la quale "quello del 1990 è probabilmente il decennio più caldo, e il 1998 l'anno più caldo, in almeno un millennio".

Insomma, si ritiene che gli ultimi decenni siano i più caldi non degli ultimi 2000 anni, ma degli ultimi 400: e la cosa non è sorprendente, visto che 350 anni fa si era al minimo della PEG.

Si è detto che l'OCM e la PEG furono fenomeni locali. Tuttavia esiste un'ampia letteratura che conferma la globalità del fenomeno.

3. Per 35 anni, dal 1940 al 1975, il pianeta si è rinfrescato nonostante le forti emissioni di CO2. è stato detto che in quegli anni si verificarono anche forti emissioni di solfati (che hanno un effetto opposto a quello della CO2). Le emissioni dei solfati di quel periodo non sono state tuttavia superiori a quelle dei 30 anni precedenti: ad esempio, gli USA emettevano 23.264 Mt (megatonnellate, cioè un milione di tonnellate) di SO2 nel 1925, ma 21.453 Mt nel 1955. Inoltre, il protocollo internazionale per la riduzione delle emissioni solforate fu firmato nel 1979 e le riduzioni cominciarono a essere implementate 10 anni dopo, quando era già da alcuni anni che le temperature avevano cominciato a salire. Di questo stato di cose ne è consapevole lo stesso IPCC, tant'è che nel suo ultimo Rapporto (2007), dichiara, in pratica, di ritenere di dover addebitare alla responsabilità umana il clima del pianeta successivo al 1975:

La maggior parte dell'aumento osservato nella temperatura media globale dalla metà del 20° secolo è molto probabilmente dovuta all'aumento osservato delle concentrazioni di gas serra di origine antropica.

E, naturalmente, "dalla metà del 20° secolo", non può che significare "dal 1975" perché, in realtà, per i primi 25 anni della seconda metà del 20° secolo non si è osservato alcun aumento delle temperature medie globali ma, piuttosto, si osservò una costante diminuzione per tutto il periodo 1940-1975.

4. È da 10 anni che, senza che si siano arrestate le emissioni di CO2, la crescita delle temperatura si è arrestata. Lo conferma anche il direttore della Climatic Research Unit Phil Jones nell'intervista del febbraio scorso a BBC News. Il riscaldamento globale è occorso quindi nei tempi sbagliati rispetto all'ipotesi che lo vuole di origine antropica. Ma è occorso anche nei luoghi sbagliati (v. punto 5).

5. La fisica dell'atmosfera prevede che vi sia a circa 10 km nella troposfera equatoriale un incremento di temperatura quasi triplo rispetto a quello che si osserva al suolo. Le misure satellitari però non rivelano, lassù, alcun accentuato incremento di temperatura, ma, al contrario, si osserva un rinfrescamento.

Oltre ai precedenti 5 punti, osserviamo inoltre:

6. I dati su cui si basa l'intera teoria sono estremamente pochi, essendo la rete di rilevamento delle temperature composta solamente da circa 3000 punti, la cui distribuzione risulta non omogenea sulla superficie del globo (ad esempio sugli oceani, che pure ricoprono il 71% del pianeta, sono quasi assenti stazioni di rilevamento). Risulta evidente, dunque, che la temperatura media superficiale di cui si parla è solo una stima, non un'osservazione: che ci sia un aumento in corso è un fatto accettato da tutti, ma non sembra possibile quantificarlo con esattezza.

7. I GCM (General Circulation Models) con cui vengono sviluppati gli scenari IPCC dovrebbero essere validati usando insiemi di dati indipendenti. Galileo ci ha insegnato che il criterio di verità scientifica è l'accordo con la realtà, non quello con altri modelli. Inoltre, i risultati di tali modelli rendono difficile applicare un criterio di falsificabilità. Basta demandare il verificarsi della previsione a un futuro remoto e l'eventuale discrepanza con i dati osservati ai valori usati per certi parametri, che nel frattempo possono essere opportunamente variati.

8. Vi sono inoltre elevatissimi livelli di incertezza relativi al ruolo di molti altri fenomeni di rilevante interesse climatico, in primis le nuvole.

9. Il timore del "punto di non ritorno" climatico per via delle concentrazioni di CO2, che dovrebbe avere effetti catastrofici, non sembra fondato: oggi quelle concentrazioni sono 1.4 volte i valori preindustriali, ma ci fu un passato in cui furono anche 25 volte questi valori, e come nessun "punto di non ritorno" occorse allora per colpa di quegli "alti" valori, allo stesso modo nessun "punto di non ritorno" occorrerà oggi per colpa di questi "bassi" valori.

10. In ogni caso, è curioso che proprio gli stessi autori che ammettono che il clima sia un fenomeno complesso determinato da decine, se non centinaia, di variabili, si risolvano col concludere che esso sia governato e possa essere controllato modificando una sola variabile: la concentrazione atmosferica di CO2. A questo proposito riteniamo condivisibili le prudenti parole pronunciate dal prof. Franco Prodi, fisico dell'atmosfera all'università di Ferrara: "Non sono negazionista né catastrofista ma la scienza sa ancora troppo poco dell'evoluzione climatica e i nostri modelli, quelli dell'Intergovernmental panel of climate change (Ipcc), sono nella loro infanzia. [.] L'incontrovertibilità dell'Ipcc è che se consideri l'effetto antropico tornano i conti, altrimenti no. È una prova debole. Chi conosce il clima conosce anche le grandi fluttuazioni del passato, prima per periodi di 420.000, poi di 120.000, poi con oscillazioni sempre minori. L'uomo è "industriale" da appena due secoli, un battito di ciglia per i tempi del sistema climatico".

11. La riduzione delle emissioni di CO2, tanto auspicata, appare essere una proposta ragionevole finché si rimane sul piano qualitativo e generico. Se si passa però agli aspetti quantitativi e si calcola il costo economico di una riduzione anche minima delle emissioni e si paragona con i presunti (sottolineiamo tale aggettivo) vantaggi che tale riduzione comporterebbe, risulta essere una proposta difficilmente applicabile. Come è stato da più parti indicato, gli stessi costi economici potrebbero essere impiegati in maniera molto più utile e più razionale per sanare molti problemi reali che affliggono l'umanità. E se proprio si teme un futuro aumento della temperatura del pianeta, sarebbe più razionale investire denaro per prevenirne le eventuali conseguenze dannose, piuttosto che investirne molto di più per contrastarne le presunte cause in buona parte incerte.

12. Riguardo al cosiddetto climategate, il servizio di Query dà piena fiducia alle giustificazione della "difesa" che sono però inevitabilmente di parte. A nostro parere, su questo episodio c'è senz'altro bisogno di fare ulteriore chiarezza.

In conclusione riteniamo che il servizio su Query avrebbe fatto ben a illustrare ai lettori anche tutti questi aspetti della climatologia che, purtroppo, sono molto meno conosciuti dal grande pubblico rispetto alla posizione sostenuta dall'IPCC, ampiamente pubblicizzata ed enfatizzata dai media.

  • Giovanni Anselmi, astronomo, direttore della rivista Coelum, Venezia-Mestre
  • Franco Battaglia, chimico-fisico, Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e dell'Ambiente, Università di Modena
  • Uberto Crescenti, geologo, Dipartimento di Geotecnologie per l'Ambiente ed il Territorio, Università "G. D'Annunzio" di Chieti-Pescara
  • Silvano Fuso, chimico, socio effettivo CICAP, Genova
  • Teodoro Georgiadis, fisico dell'atmosfera, Istituto di Biometeorologia del CNR, Bologna
  • Guido Guidi, meteorologo, tenente colonnello, Servizio Meteorologico dell'Aeronautica Militare, Roma
  • Luigi Mariani, agrometeorologo, Dipartimento di Produzione Vegetale, Facoltà di Agraria, Università degli Studi di Milano
  • Adriano Mazzarella, climatologo, Dipartimento di Scienze della Terra, Università "Federico II" di Napoli
  • Guido Parravicini, fisico, Dipartimento di Fisica dell'Università di Milano
  • Ernesto Pedrocchi, ingegnere energetico, Politecnico di Milano
  • Adalberto Piazzoli, fisico, Dipartimento di Fisica Nucleare e Teorica, Università di Pavia, vicepresidente CICAP
  • Sergio Pinna, geologo, Dipartimento di Scienze Economiche, Facoltà di Economia, Università di Pisa
  • Angelo Rubino, climatologo, Dipartimento di Scienze Ambientali, Università "Ca' Foscari" di Venezia
  • Nicola Scafetta, fisico, Physics Department, Duke University (USA)
  • Mario Tomasino, climatologo, Dipartimento di Scienze Ambientali, Università "Ca' Foscari" di Venezia
  • Roberto Vacca, ingegnere, scrittore e divulgatore scientifico, socio emerito CICAP, Roma


Nota: Si ringrazia Giuliana Galati del CICAP-Puglia per la preziosa collaborazione

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La risposta della redazione


La lettera ci ricorda che "la scienza non si fa a maggioranza" e che nella scienza quello che conta sono i fatti, non il consenso. Questo è vero, ma è altrettanto vero che, in campi complessi come lo studio del clima, è impensabile per un non specialista conoscere e verificare in prima persona ogni aspetto di una teoria scientifica. Affidarsi al parere prevalente tra gli esperti del settore è quindi una prassi inevitabile: non lo abbiamo fatto solo per il clima, ma lo facciamo normalmente per qualsiasi tema, dalla fisica nucleare alla biologia. Fare una scelta diversa significherebbe immaginare che un ristretto gruppo di non esperti possa capire l’argomento meglio di un'intera comunità scientifica specialistica di migliaia di ricercatori.

Nel caso della climatologia, è indubbio che ci siano specifiche controversie e incertezze significative, come per ogni disciplina scientifica giovane e in fase di sviluppo, e ne abbiamo dato conto nel nostro speciale, ma è altrettanto vero che nell'insieme il consenso degli specialisti sull’esistenza del riscaldamento globale e sulla sua probabile origine umana, sia pure con valutazioni diverse, è vastissimo.

Questa posizione, infatti, è sostenuta non solo dall’IPCC, ma anche da tutte le associazioni scientifiche internazionali più importanti, dalla stragrande maggioranza dei climatologi (il 97%, secondo un sondaggio dell'università di Chicago del 2009) e dalle principali riviste scientifiche, a cominciare da Nature. Sicuramente le implicazioni politiche ed economiche del problema suscitano forti pressioni extrascientifiche - per la verità non solo a favore della tesi del riscaldamento globale, ma anche contro - tuttavia pensare che un consenso così massiccio dipenda solo da tali pressioni equivale a immaginare un’opera capillare di manipolazione dei dati, una sorta di cospirazione globale. Una posizione del genere richiede prove adeguate, di cui non si vede traccia. Naturalmente non si può escludere che in futuro il quadro generale cambi, ma al momento la posizione della comunità scientifica è piuttosto chiara.

Anche per quanto riguarda obiezioni come quelle riportate dalla lettera, la grande maggioranza degli esperti ritiene che ad alcune di esse sia già stata data risposta, altre siano mal poste o secondarie e, complessivamente, non siano tali da mettere in discussione la teoria nel suo insieme. In effetti tali obiezioni non sembrano comporre un quadro coerente alternativo a quello consolidato, ma esprimono concetti diversi e di fatto in parte contradditori: si sostiene di volta in volta che il riscaldamento globale è contraddetto dai dati sperimentali, oppure che è impossibile misurarlo con accuratezza sufficiente, oppure che non è possibile dimostrare che sia causato dall'attività umana, o ancora che non è possibile fare previsioni attendibili per il futuro.

Per l'insieme di queste ragioni abbiamo deciso di adottare la posizione maggioritaria nella comunità scientifica; un simile approccio è stato seguito dal CSI, che ha pubblicato sullo Skeptical Inquirer articoli molto simili a quelli di Query.

Diamo atto tuttavia che, rispetto ad altri campi di ricerca, questo tema suscita maggiori obiezioni tra gli scienziati non specialisti, a parità di consenso nella comunità scientifica di settore. Sul riscaldamento globale c’è evidentemente un problema specifico, sia dal punto di vista della scienza vera e propria sia da quello della sociologia e della comunicazione della scienza. Ci sembra che questo tema possa rivestire qualche interesse anche per Query, e valuteremo la possibilità di approfondirlo nei prossimi numeri.
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