Dire che il clima sulla Terra dipende dal Sole è una tautologia. Praticamente tutta l’energia che riceviamo proviene dal nostro astro (il contributo geotermico è bassissimo), e il Sole condiziona l’ambiente interplanetario, i raggi cosmici, le tempeste magnetiche e tanti altri fattori che potrebbero contribuire a modificare il clima. È quindi naturale pensare che un cambiamento climatico possa essere imputato al Sole. Ma è davvero sempre così?
Il Sole fornisce una densità di potenza, mediata su tutta la superficie terrestre e sull’anno, di circa 340 W/mq. Questo valore viene misurato accuratamente e varia di circa lo 0,1% durante il ciclo solare di 11 anni, con il massimo durante il periodo di massima attività solare (indicato dal numero di macchie solari). Questo ciclo di attività non ha un’ampiezza costante, ma alterna periodi più e meno intensi. In particolare tra il 1645 e il 1715 sono state osservate pochissime macchie solari, nel cosiddetto minimo di Maunder, e altri periodi di attività molto ridotta si sono avuti nei primi anni del 1800 (minimo di Dalton) e del 1900. Nel corso del ventesimo secolo l’attività solare è aumentata fino a circa il 1980, per poi calare. L’ultimo ciclo è stato particolarmente debole, e stiamo uscendo ora da lungo periodo quasi senza macchie solari. Il minimo di Maunder corrisponde al periodo più freddo della cosiddetta “piccola era glaciale”, e anche il minimo di Dalton corrisponde ad un irrigidimento della temperatura. Si stima che durante il minimo di Maunder la luminosità solare fosse inferiore di circa lo 0,2% rispetto ad oggi, e la temperatura inferiore di circa 0.5-0.6 gradi rispetto alla metà del secolo scorso. Da misure del carbonio 14 negli anelli degli alberi è stato possibile avere una stima dell’attività solare negli ultimi 11 mila anni, trovando una correlazione tra questa e le stime di temperatura paleoclimatiche.
In definitiva sappiamo che a un periodo di alta attività solare corrisponde una più alta temperatura sulla terra (e viceversa). Il fatto che la temperatura media terrestre stia aumentando negli ultimi anni mentre l’attività solare è bassa mostra però che non è il sole il principale fattore del riscaldamento tra il 1850 ed il 2009.
Sappiamo anche che nell’ultimo milione di anni c’è stata una alternanza di periodi miti interglaciali e di glaciazioni con differenze di temperatura dell’ordine dei 5-7 gradi. La teoria più accreditata è quella nata dagli studi di Milutin Milankovitch, che ha collegato le glaciazioni alle piccole variazioni periodiche dell’orbita terrestre. I “cicli di Milankovitch” hanno periodicità che vanno dai 22 mila anni della rotazione dell’orbita ellittica, ai 41 mila dell’oscillazione dell’inclinazione dell’asse terrestre, fino ai 100 mila della variazione dell’eccentricità dell’orbita. La teoria ha comunque diversi problemi, in particolare le variazioni di insolazione non sono sufficienti, da sole, a giustificare le glaciazioni, e quindi si pensa che queste vangano rafforzate da meccanismi di retroazione positiva (amplificazione). I modelli climatici considerano quindi un gran numero di feedback, sia positivi che negativi.
Le variazioni di luminosità ultravioletta del Sole sono circa 5 volte più marcate rispetto a quella nella luminosità totale.[1] Questo comporta una corrispondente variazione nella produzione di ozono atmosferico, che a sua volta influenza la dinamica dell’alta atmosfera e può avere effetti significativi sul clima. L’attività solare influenza il campo magnetico terrestre, in particolare si è visto che nei giorni seguenti ad una grossa tempesta magnetica si verifica una variazione di pressione in una regione attorno alla zona dei grandi laghi nordamericani. Quindi entrambi questi meccanismi sono stati proposti per giustificare un effetto del Sole sul clima molto maggiore di quanto comunemente accettato, anche se queste ipotesi non hanno ricevuto finora nessuna prova.
Tra il 1850 e il 1950 la temperatura globale è salita di circa 0.2 - 0.3 gradi (vedi fig. 2 dell’articolo di A. Zecca) Considerando gli effetti sul clima del Sole nei periodi precedenti, si stima che circa metà di questa variazione sia imputabile all’aumento dell’attività solare. Ma attribuire al sole il riscaldamento in corso diventa problematico a partire dal 1970, in quanto tra il 1970 ed il 1995 si osserva un aumento di temperatura di 0.45 – 0.5 gradi, contro un contributo solare (facendo l’ipotesi improbabile di un aumento di attività costante) di soli 0,11 gradi. Inoltre a partire da quel periodo l’attività solare mostra una decisa diminuzione. Diversi studi hanno quindi cercato una correlazione tra altri indicatori di attività solare, oltre al classico indice basato sul numero di macchie solari.
Uno studio[2] ha osservato che l’attività geomagnetica (le piccole variazioni di campo magnetico terrestre responsabili delle tempeste magnetiche), misurata secondo il cosiddetto “AA index”, ha continuato ad aumentare dopo il 1970. Anche questo indice ha cominciato tuttavia a calare dopo il 1985, per cui si è provato ad utilizzare un indice composto, ottenuto sottraendo l’attività solare dall’AA index, ed infine mediando il risultato su 30 anni. Purtroppo mediando su tempi così lunghi si riduce l’effetto di un calo recente, e si hanno pochissimi dati (uno ogni 30 anni) per verificare l’ipotesi.[3] Ad oggi non esistono quindi prove che il contributo dell’attività geomagnetica sia significativo.
Un altro studio ipotizza che l’aumento del flusso di raggi cosmici osservato durante un minimo solare possa avere un effetto sul clima, ad es. favorendo la formazione di nubi che riflettono i raggi solari e quindi contribuiscono al raffreddamento. Misure dirette sui raggi cosmici[4] sono state effettuate utilizzando satelliti artificiali e palloni stratosferici, e non si osserva una variazione tale da giustificare neppure una piccola parte del riscaldamento in atto.
Recentemente un ricercatore ha osservato che l’attività solare mostra periodicità che sono simili al periodo orbitale dei maggiori pianeti. In particolare l’orbita di Giove ha un periodo vicino a 11 anni, e combinando i periodi di Giove e Saturno si ricava un periodo di 60 anni presente in alcune serie climatiche. Ha quindi proposto che queste periodicità siano quelle effettivamente importanti per il clima. Lo studio non è ancora pubblicato, per cui risulta difficile da valutare, ma manca completamente un meccanismo fisico che colleghi l’ipotesi al clima. Inoltre la periodicità a 11 anni non è presente nelle osservazioni climatiche.
Tutti i meccanismi proposti per collegare la maggior parte del riscaldamento globale che osserviamo al Sole sono stati valutati, e trovati insufficienti. Un effetto del Sole esiste, non è trascurabile, ma il grosso di quel che vediamo non è imputabile a questo. Naturalmente non possiamo escludere qualche meccanismo ancora non conosciuto, o non valutato correttamente. E non esiste ragione per credere che un meccanismo sconosciuto porti a un riscaldamento.
Il Sole fornisce una densità di potenza, mediata su tutta la superficie terrestre e sull’anno, di circa 340 W/mq. Questo valore viene misurato accuratamente e varia di circa lo 0,1% durante il ciclo solare di 11 anni, con il massimo durante il periodo di massima attività solare (indicato dal numero di macchie solari). Questo ciclo di attività non ha un’ampiezza costante, ma alterna periodi più e meno intensi. In particolare tra il 1645 e il 1715 sono state osservate pochissime macchie solari, nel cosiddetto minimo di Maunder, e altri periodi di attività molto ridotta si sono avuti nei primi anni del 1800 (minimo di Dalton) e del 1900. Nel corso del ventesimo secolo l’attività solare è aumentata fino a circa il 1980, per poi calare. L’ultimo ciclo è stato particolarmente debole, e stiamo uscendo ora da lungo periodo quasi senza macchie solari. Il minimo di Maunder corrisponde al periodo più freddo della cosiddetta “piccola era glaciale”, e anche il minimo di Dalton corrisponde ad un irrigidimento della temperatura. Si stima che durante il minimo di Maunder la luminosità solare fosse inferiore di circa lo 0,2% rispetto ad oggi, e la temperatura inferiore di circa 0.5-0.6 gradi rispetto alla metà del secolo scorso. Da misure del carbonio 14 negli anelli degli alberi è stato possibile avere una stima dell’attività solare negli ultimi 11 mila anni, trovando una correlazione tra questa e le stime di temperatura paleoclimatiche.
In definitiva sappiamo che a un periodo di alta attività solare corrisponde una più alta temperatura sulla terra (e viceversa). Il fatto che la temperatura media terrestre stia aumentando negli ultimi anni mentre l’attività solare è bassa mostra però che non è il sole il principale fattore del riscaldamento tra il 1850 ed il 2009.
Sappiamo anche che nell’ultimo milione di anni c’è stata una alternanza di periodi miti interglaciali e di glaciazioni con differenze di temperatura dell’ordine dei 5-7 gradi. La teoria più accreditata è quella nata dagli studi di Milutin Milankovitch, che ha collegato le glaciazioni alle piccole variazioni periodiche dell’orbita terrestre. I “cicli di Milankovitch” hanno periodicità che vanno dai 22 mila anni della rotazione dell’orbita ellittica, ai 41 mila dell’oscillazione dell’inclinazione dell’asse terrestre, fino ai 100 mila della variazione dell’eccentricità dell’orbita. La teoria ha comunque diversi problemi, in particolare le variazioni di insolazione non sono sufficienti, da sole, a giustificare le glaciazioni, e quindi si pensa che queste vangano rafforzate da meccanismi di retroazione positiva (amplificazione). I modelli climatici considerano quindi un gran numero di feedback, sia positivi che negativi.
Le variazioni di luminosità ultravioletta del Sole sono circa 5 volte più marcate rispetto a quella nella luminosità totale.[1] Questo comporta una corrispondente variazione nella produzione di ozono atmosferico, che a sua volta influenza la dinamica dell’alta atmosfera e può avere effetti significativi sul clima. L’attività solare influenza il campo magnetico terrestre, in particolare si è visto che nei giorni seguenti ad una grossa tempesta magnetica si verifica una variazione di pressione in una regione attorno alla zona dei grandi laghi nordamericani. Quindi entrambi questi meccanismi sono stati proposti per giustificare un effetto del Sole sul clima molto maggiore di quanto comunemente accettato, anche se queste ipotesi non hanno ricevuto finora nessuna prova.
Tra il 1850 e il 1950 la temperatura globale è salita di circa 0.2 - 0.3 gradi (vedi fig. 2 dell’articolo di A. Zecca) Considerando gli effetti sul clima del Sole nei periodi precedenti, si stima che circa metà di questa variazione sia imputabile all’aumento dell’attività solare. Ma attribuire al sole il riscaldamento in corso diventa problematico a partire dal 1970, in quanto tra il 1970 ed il 1995 si osserva un aumento di temperatura di 0.45 – 0.5 gradi, contro un contributo solare (facendo l’ipotesi improbabile di un aumento di attività costante) di soli 0,11 gradi. Inoltre a partire da quel periodo l’attività solare mostra una decisa diminuzione. Diversi studi hanno quindi cercato una correlazione tra altri indicatori di attività solare, oltre al classico indice basato sul numero di macchie solari.
Uno studio[2] ha osservato che l’attività geomagnetica (le piccole variazioni di campo magnetico terrestre responsabili delle tempeste magnetiche), misurata secondo il cosiddetto “AA index”, ha continuato ad aumentare dopo il 1970. Anche questo indice ha cominciato tuttavia a calare dopo il 1985, per cui si è provato ad utilizzare un indice composto, ottenuto sottraendo l’attività solare dall’AA index, ed infine mediando il risultato su 30 anni. Purtroppo mediando su tempi così lunghi si riduce l’effetto di un calo recente, e si hanno pochissimi dati (uno ogni 30 anni) per verificare l’ipotesi.[3] Ad oggi non esistono quindi prove che il contributo dell’attività geomagnetica sia significativo.
Un altro studio ipotizza che l’aumento del flusso di raggi cosmici osservato durante un minimo solare possa avere un effetto sul clima, ad es. favorendo la formazione di nubi che riflettono i raggi solari e quindi contribuiscono al raffreddamento. Misure dirette sui raggi cosmici[4] sono state effettuate utilizzando satelliti artificiali e palloni stratosferici, e non si osserva una variazione tale da giustificare neppure una piccola parte del riscaldamento in atto.
Recentemente un ricercatore ha osservato che l’attività solare mostra periodicità che sono simili al periodo orbitale dei maggiori pianeti. In particolare l’orbita di Giove ha un periodo vicino a 11 anni, e combinando i periodi di Giove e Saturno si ricava un periodo di 60 anni presente in alcune serie climatiche. Ha quindi proposto che queste periodicità siano quelle effettivamente importanti per il clima. Lo studio non è ancora pubblicato, per cui risulta difficile da valutare, ma manca completamente un meccanismo fisico che colleghi l’ipotesi al clima. Inoltre la periodicità a 11 anni non è presente nelle osservazioni climatiche.
Tutti i meccanismi proposti per collegare la maggior parte del riscaldamento globale che osserviamo al Sole sono stati valutati, e trovati insufficienti. Un effetto del Sole esiste, non è trascurabile, ma il grosso di quel che vediamo non è imputabile a questo. Naturalmente non possiamo escludere qualche meccanismo ancora non conosciuto, o non valutato correttamente. E non esiste ragione per credere che un meccanismo sconosciuto porti a un riscaldamento.
Note
1) The Sun and Climate, U.S. Geological Survey. USGS Fact Sheet FS-095-00 (August 2000)
2) Katya Georgieva “The role of the sun in climate change” Earth and Environmental Science 6 (2009) 092016 doi:10.1088/1755-1307/6/9/092016
3) G. Comoretto: Tutta colpa del sole? http://aspoitalia.blogspot.com/2009/09/tutta-colpa-del-sole.html
4) A. D. Erlykin, T. Sloan, A. W. Wolfendale: “Solar activity and the mean global temperature” Environmental Research Letters (2009)