Qual è la situazione climatica della Terra secondo i dati scientifici di cui disponiamo? Quali sono le tendenze del riscaldamento in atto? Cosa possiamo fare per controllarle?
Decidere in condizioni di incertezza
La certezza assoluta non è di questo mondo. Non siamo certi che il treno arriverà alle 9:00 e neppure di trovare quella marca di formaggio al supermercato. Tuttavia, da milioni di anni, vivere significa «prendere decisioni in condizioni di incertezza». Basta avere una ragionevole probabilità che il treno arrivi in orario per andare in stazione.
La certezza assoluta non fa a maggior ragione parte del metodo scientifico: fa parte del bagaglio di maghi e indovini. Se provate a misurare con precisione la lunghezza di un tavolo per cinque volte, troverete cinque risultati leggermente diversi. Concluderete che la lunghezza è circa 140 centimetri e questo “circa” vi basta per decidere quale tovaglia comprare. Analogamente non potete avere certezza scientifica in nessun campo dell’attività umana: da sempre, in qualsiasi momento del giorno, l’uomo decide in condizioni di incertezza. Scegliamo la più plausibile tra le ipotesi che abbiamo davanti.
In queste pagine faremo il punto sulle nostre conoscenze sul sistema climatico: troverete che le incertezze scientifiche sono minori che in altre decisioni che ci capita di prendere. Per esempio, decidiamo se prendere l’ombrello avendo un’incertezza dell’ordine del 50% sul tempo che farà. Nel campo del clima le nostre conoscenze sono più che sufficienti per decidere quali strategie adottare nel nostro futuro energetico.
Ancora una premessa: il sistema climatico è un sistema complesso. Studiare il sistema e il suo passato, fare proiezioni per il clima futuro, è quindi un’operazione che richiede competenze specialistiche della ricerca climatologica.
Le certezze sul sistema climatico terrestre
Migliaia di osservatori meteorologici in tutto il mondo misurano la temperatura locale 24 volte al giorno. Facendo la media di 24 letture ottenete la media per quel giorno. Se poi la media è fatta su 365 giorni, ottenete la temperatura media per quell’anno in quel posto. Se ora fate la media dei valori annuali delle migliaia di osservatori, ottenete la media globale per quell’anno. Ottenete un solo numero, ma viene da alcune decine di milioni di misure; quel numero è un punto su una delle linee di figura 1.
La media annuale ha una indeterminazione molto minore di quella di un singolo osservatorio; è una proprietà matematica della media. È quindi possibile definire la temperatura media globale con una precisione migliore di 0,1 gradi. L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha stimato nel suo rapporto del 2007 che negli ultimi 150 anni la temperatura media globale annuale è cresciuta di circa 0,76 gradi e che tale riscaldamento sta accelerando rapidamente, particolarmente negli ultimi 30 anni.[4]
La figura 1 mostra i dati termometrici dal 1850 al 2009 così come sono stati ricostruiti da tre grandi laboratori indipendenti. L’accordo tra le tre curve è veramente molto buono: una chiara evidenza contro l’affermazione secondo la quale le misure esistenti sono in disaccordo, ma che soprattutto evidenzia in maniera definitiva che il mondo si sta scaldando. I ricercatori che lavorano su questi dati stanno rivedendo le curve, ma non ci aspettiamo che queste correzioni modifichino l’aspetto complessivo o le conclusioni che se ne possono trarre.
Abbiamo visto che c’è stato un aumento di temperatura media globale negli ultimi 150 anni: questi sono anni significativi perché l’attività industriale (in particolare l’uso del carbone fossile) è iniziata tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Vogliamo adesso sapere se questo innalzamento di temperatura è insolito o se invece ha avuto precedenti nel lontano passato. Non abbiamo però misure termometriche di temperatura media globale prima del 1850. Come possiamo avere informazioni sul clima degli ultimi mille o diecimila anni? Fortunatamente la natura ha messo a disposizione degli scienziati alcuni utili “indicatori” del clima del passato. Negli ultimi decenni la ricerca nel campo della paleoclimatologia ha infatti permesso di ricostruire con ragionevole accuratezza e buona risoluzione temporale le variazioni climatiche fino ad oltre un milione di anni fa. Questo è possibile attraverso analisi chimico-fisiche delle bolle d’aria intrappolate nelle “carote” di ghiaccio estratte ai poli o dai ghiacciai continentali, dei sedimenti oceanici e lacustri e degli anelli degli alberi.
Sono queste ricostruzioni paleoclimatiche che ci hanno permesso di concludere, ad esempio, che nell’arco del XVII e XVIII secolo si è verificato un lungo periodo di calo delle temperature (circa mezzo grado in meno della media 1950-1980), per questo detto la “piccola era glaciale”, mentre nel medioevo c’è stato un periodo di clima piuttosto mite (ma sempre un decimo di grado in meno della media 1950-1980).[6]
Abbiamo ormai la ragionevole certezza che le temperature degli ultimi cinquanta anni non hanno precedenti nei duemila anni passati.[7] Alla particolare forma della curva (vedi figura 2), con un evidente incremento termico straordinario sia in intensità che in velocità nel periodo più recente, è stato dato il nome di “hockey stick”, ovvero mazza da hockey. I dati paleoclimatici originali e l’analisi statistica che hanno portato a questa particolare curva sono stati violentemente criticati in passato da quanti negano che sia in atto un riscaldamento a livello globale,[8] anche se questa è solo una tra le decine di prove che abbiamo. In realtà altre ricostruzioni paleoclimatiche basate su metodi profondamente diversi e realizzate da team del tutto indipendenti tra loro hanno la stessa forma e confermano l’esistenza dell’hockey stick: il riscaldamento degli ultimi decenni non ha precedenti almeno negli ultimi 2000 anni (vedi figura 2). Nonostante la sua inconsistenza questo argomento è stato riproposto, come spiega Gianni Comoretto a pagina 43, anche recentemente,[9] prima del vertice di Copenhagen sul clima.
L’inverno appena trascorso ci ha dato un esempio molto chiaro di come, guardando solo alla variabilità locale, si possano prendere grossi abbagli. Subito dopo una ondata di freddo sulla costa est degli USA, a fine febbraio, qualche giornalista ha gridato che questo era il segnale di un raffreddamento globale. Ma ora i laboratori che raccolgono milioni di dati da tutto il mondo hanno fatto il consuntivo: mentre gli USA erano sotto la neve, la Siberia aveva una anomalia positiva. Fatta la media su tutto il pianeta, l’inverno scorso è risultato molto più caldo di quelli passati.
Le “carote” di ghiaccio estratte ai poli ci hanno invece permesso di conoscere la storia climatica del nostro pianeta nell’ultimo milione d’anni, in cui si sono susseguiti ogni centomila anni circa periodi più freddi di quello attuale (detti periodi glaciali, in cui la temperatura media globale era più bassa di 5-6 gradi) intervallati da brevi periodi caldi come quello in cui viviamo ora o anche leggermente più caldi, detti periodi interglaciali (figura 4). Si tratta comunque di episodi lontani più di centomila anni, che non possono essere termini di paragone per ciò che succede oggi.
La temperatura del nostro pianeta è sempre stata influenzata dalla concentrazione atmosferica di anidride carbonica (CO₂). L’anidride carbonica contribuisce in modo significativo alla funzione di termostato del nostro pianeta grazie al cosiddetto “effetto serra” naturale: l’anidride carbonica, il vapor d’acqua e altri gas intrappolano parte della radiazione solare che, giunta alla superficie, viene poi riemessa dalla Terra verso lo spazio,. In assenza di effetto serra naturale la temperatura media superficiale sarebbe di circa -18 gradi e lo sviluppo della vita sul pianeta sarebbe stato impossibile.
Quando si parla di CO₂, di riscaldamento globale, di “effetto serra”, non ci si riferisce tuttavia a quello naturale, ma a quello provocato dall’uomo: la concentrazione di CO₂ in atmosfera non è mai stata così alta da almeno ottocentomila anni a questa parte.[17] Questo è il risultato delle emissioni di gas serra (l’anidride carbonica è il più importante) da parte dell’uomo, attraverso l’utilizzo estensivo dei combustibili fossili dall’inizio dell’era industriale in poi. Sull’anidride carbonica abbiamo dati eccezionali per completezza, dettaglio e precisione. Il lavoro di migliaia di ricercatori negli ultimi decenni ci permette di sapere come è variata la concentrazione di anidride carbonica negli ultimi 150 anni, negli ultimi mille e indietro fino a milioni di anni fa.[17][14] Ci interessa sapere anche di queste epoche lontane per capire cosa sta succedendo e per fare confronti con il passato. La figura 4 vi mostra per esempio l’andamento della concentrazione dal 1750 a oggi. Da quando abbiamo cominciato a bruciare combustibili fossili è aumentata di quasi il 40%: un aumento molto significativo.
Se accendiamo il fornello, l’acqua nella pentola si scalda; è altrettanto certo che se ci sono gas serra nell’atmosfera, la superficie del pianeta si scalda. È una notizia certa che ci arriva indipendentemente dalla geologia, dalla fisica molecolare e dall’astronomia.
L’effetto serra aggiuntivo di origine antropica derivato dalle emissioni di gas serra ha alterato l’equilibrio termico del pianeta, dando origine ad un riscaldamento atmosferico su scala globale. Da ricordare che la CO₂ contribuisce al riscaldamento per un 55%:[4] gli altri gas emessi dall’uomo per un 45%.[4] Sull’effetto di riscaldamento dovuto ai CFC (clorofluorocarburi) (circa l’11% del totale)[4] non ci possono essere dubbi di attribuzione: i CFC non esistono in natura e quell’11% è indiscutibilmente da attribuire all’uomo.
I problemi aperti
I problemi aperti nel campo del clima sono moltissimi e fare ricerca vuol dire affrontare queste domande e cercare di dare risposte. Ma i problemi aperti nella ricerca climatica sono (permetteteci la dicitura) di “rifinitura”, nel senso che sono fondamentali per noi che ci lavoriamo, ma non possono cambiare il quadro complessivo che abbiamo tracciato nei paragrafi precedenti.
I problemi aperti sono di un tale livello di specializzazione che non basterebbero molte pagine per raccontarne solo uno in modo esauriente. Allora ci limitiamo a fare un elenco parziale.
Calotte glaciali sull’Antartide e sulla Groenlandia: non sappiamo quanto velocemente si stanno sciogliendo. Sono in corso grandi progetti di ricerca sperimentale per monitorare la dinamica delle calotte.
West Antarctic Ice Sheet: è la parte occidentale della calotta antartica. Un riscaldamento globale elevato ne metterebbe a rischio la stabilità, con conseguenze disastrose sul livello dei mari. Sono in corso progetti di modellizzazione.
Aerosols: minute particelle in sospensione in atmosfera, emesse in gran parte dall’uomo, che hanno la proprietà di raffreddare il pianeta: contrastano cioè i gas serra. Solo che il loro contributo è molto mal conosciuto; è importante sapere meglio come funzionano.
Supercorrente oceanica: c’è la possibilità che il riscaldamento globale in corso possa in futuro fermarla. Le conseguenze potrebbero essere bizzarre, fino a un forte raffreddamento su parte del pianeta. Dobbiamo saperne di più: da 30 anni le boe oceaniche ancorate nell’Atlantico raccolgono dati.
El Niño: il fenomeno climatico più famoso sui giornali. Sappiamo (è un risultato degli ultimi anni) che ha una influenza sull’Europa e probabilmente anche sulla incipiente desertificazione sul Mediterraneo. Massicci progetti di ricerca dispiegano nel Pacifico da anni flotte di boe ancorate, boe derivanti, satelliti, navi oceanografiche per raccogliere dati.
Il ciclo del carbonio in atmosfera: più della metà dell’anidride carbonica emessa dall’umanità negli ultimi 150 anni non è più in atmosfera: è stata sequestrata dai “pozzi” naturali, gli oceani e la biosfera. Senza i “pozzi” il 2010 sarebbe molto più caldo. Ma stiamo usando l’atmosfera come discarica per i nostri rifiuti gassosi; quanto manca ancora a “saturare i pozzi” (cioè riempire questa discarica)? Ricerche teoriche e computazionali in corso.
L’esaurimento dei combustibili fossili: li stiamo consumando più velocemente del previsto. Vogliamo saper come questo può cambiare le nostre proiezioni climatiche.
L’elenco è lungo, ma c’è una cosa che possiamo dire con certezza: l’unico fenomeno che potrebbe portare un raffreddamento e quindi invertire il riscaldamento globale è la supercorrente oceanica. Per tutti gli altri fenomeni, invece, possiamo dire che la loro evoluzione comporterà probabilmente un peggioramento del riscaldamento globale in atto.
Prevedere il futuro climatico
Dal punto di vista dell’uomo comune, dei media e soprattutto dei decisori (politici, amministratori, industriali,…), le domande chiave sono tre e sono semplicissime:
quanto si scalderà ancora la Terra?
con quali conseguenze?
che cosa possiamo fare?
Le risposte sono altrettanto semplici, dato che a nessuno interessa sapere la temperatura della Terra con tre cifre decimali: ci interessa solo sapere se dobbiamo preoccuparci e se dobbiamo fare qualcosa. Per questo sono sufficienti risposte semplici, “a spanne”: se state per decidere di montare o no le catene sulle gomme, non vi serve sapere se oggi cadranno 27,2 o 27,3 centimetri di neve. Una informazione approssimativa come «cadrà più di una decina di centimetri di neve» è più che sufficiente a prendere la decisione.
Seconda domanda: quali potrebbero essere le conseguenze? Non possiamo dire se il livello del mare si innalzerà di 63 o 83 o addirittura 123 centimetri entro il 2100. Possiamo però scommettere che Venezia sarà sott’acqua e con essa migliaia di km quadrati di terreno fertile.[4]
Terza domanda: si può fare qualcosa? Cosa possiamo fare? È necessario ridurre le emissioni di gas serra. Dato che il principale è l’anidride carbonica, dobbiamo ridurre il consumo di combustibili fossili. Sarebbe autolesionista non prendere provvedimenti.
Le conclusioni sul clima
Una società ad alta inefficienza
Le conclusioni del paragrafo precedente permettono di trarne altre. Troverete di seguito alcune affermazioni che sarebbe possibile documentare, ma a costo di portarci fuori dagli obiettivi e dai limiti di spazio di questo articolo. Vale la pena di elencarle ugualmente per mostrare che il futuro non è così nero, che gli impegni che ci attendono sono affrontabili.
Non è questa la sede per analizzare le cause. Ma è importante notare che questo calo è di più di quello che ci aspettavamo dal vertice di Copenhagen. Vuol dire che l’altissima inefficienza energetica attuale ha una faccia positiva: le riduzioni delle emissioni sono possibili e non così gravose.
Decidere in condizioni di incertezza
La certezza assoluta non è di questo mondo. Non siamo certi che il treno arriverà alle 9:00 e neppure di trovare quella marca di formaggio al supermercato. Tuttavia, da milioni di anni, vivere significa «prendere decisioni in condizioni di incertezza». Basta avere una ragionevole probabilità che il treno arrivi in orario per andare in stazione.
La certezza assoluta non fa a maggior ragione parte del metodo scientifico: fa parte del bagaglio di maghi e indovini. Se provate a misurare con precisione la lunghezza di un tavolo per cinque volte, troverete cinque risultati leggermente diversi. Concluderete che la lunghezza è circa 140 centimetri e questo “circa” vi basta per decidere quale tovaglia comprare. Analogamente non potete avere certezza scientifica in nessun campo dell’attività umana: da sempre, in qualsiasi momento del giorno, l’uomo decide in condizioni di incertezza. Scegliamo la più plausibile tra le ipotesi che abbiamo davanti.
In queste pagine faremo il punto sulle nostre conoscenze sul sistema climatico: troverete che le incertezze scientifiche sono minori che in altre decisioni che ci capita di prendere. Per esempio, decidiamo se prendere l’ombrello avendo un’incertezza dell’ordine del 50% sul tempo che farà. Nel campo del clima le nostre conoscenze sono più che sufficienti per decidere quali strategie adottare nel nostro futuro energetico.
Ancora una premessa: il sistema climatico è un sistema complesso. Studiare il sistema e il suo passato, fare proiezioni per il clima futuro, è quindi un’operazione che richiede competenze specialistiche della ricerca climatologica.
Le certezze sul sistema climatico terrestre
Figura 1. Le versioni della curva di temperatura media globale annuale da misure strumentali realizzate dai tre centri di ricerca climatica: HadCRUT3 – Climatic Research Unit, University of East Anglia (UK),[1] NCDC – National Climatic Data Center, National Oceanic and Atmospheric Administration (USA)[2] e GISS – Goddard Institute for Space Studies, NASA (USA).[3] Si noti che, a parte qualche piccola differenza, le tre diverse curve sono in ottimo accordo tra loro.
La media annuale ha una indeterminazione molto minore di quella di un singolo osservatorio; è una proprietà matematica della media. È quindi possibile definire la temperatura media globale con una precisione migliore di 0,1 gradi. L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha stimato nel suo rapporto del 2007 che negli ultimi 150 anni la temperatura media globale annuale è cresciuta di circa 0,76 gradi e che tale riscaldamento sta accelerando rapidamente, particolarmente negli ultimi 30 anni.[4]
La figura 1 mostra i dati termometrici dal 1850 al 2009 così come sono stati ricostruiti da tre grandi laboratori indipendenti. L’accordo tra le tre curve è veramente molto buono: una chiara evidenza contro l’affermazione secondo la quale le misure esistenti sono in disaccordo, ma che soprattutto evidenzia in maniera definitiva che il mondo si sta scaldando. I ricercatori che lavorano su questi dati stanno rivedendo le curve, ma non ci aspettiamo che queste correzioni modifichino l’aspetto complessivo o le conclusioni che se ne possono trarre.
Abbiamo visto che c’è stato un aumento di temperatura media globale negli ultimi 150 anni: questi sono anni significativi perché l’attività industriale (in particolare l’uso del carbone fossile) è iniziata tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Vogliamo adesso sapere se questo innalzamento di temperatura è insolito o se invece ha avuto precedenti nel lontano passato. Non abbiamo però misure termometriche di temperatura media globale prima del 1850.
Figura 2. Le ricostruzioni paleoclimatiche delle variazioni della temperatura media globale negli ultimi 2000 anni rispetto al periodo di riferimento 1950-1980 da anelli degli alberi, coralli, carote di ghiaccio, ghiacciai continentali, speleotemi, fori di sonda e sedimenti oceanici e lacustri.[5] Nonostante evidenti differenze quantitative tra le diverse ricostruzioni, qualitativamente si possono distinguere il periodo caldo medioevale, la piccola era glaciale e il repentino riscaldamento senza precedenti dell’ultimo secolo.
Sono queste ricostruzioni paleoclimatiche che ci hanno permesso di concludere, ad esempio, che nell’arco del XVII e XVIII secolo si è verificato un lungo periodo di calo delle temperature (circa mezzo grado in meno della media 1950-1980), per questo detto la “piccola era glaciale”, mentre nel medioevo c’è stato un periodo di clima piuttosto mite (ma sempre un decimo di grado in meno della media 1950-1980).[6]
Abbiamo ormai la ragionevole certezza che le temperature degli ultimi cinquanta anni non hanno precedenti nei duemila anni passati.[7] Alla particolare forma della curva (vedi figura 2), con un evidente incremento termico straordinario sia in intensità che in velocità nel periodo più recente, è stato dato il nome di “hockey stick”, ovvero mazza da hockey. I dati paleoclimatici originali e l’analisi statistica che hanno portato a questa particolare curva sono stati violentemente criticati in passato da quanti negano che sia in atto un riscaldamento a livello globale,[8] anche se questa è solo una tra le decine di prove che abbiamo. In realtà altre ricostruzioni paleoclimatiche basate su metodi profondamente diversi e realizzate da team del tutto indipendenti tra loro hanno la stessa forma e confermano l’esistenza dell’hockey stick: il riscaldamento degli ultimi decenni non ha precedenti almeno negli ultimi 2000 anni (vedi figura 2). Nonostante la sua inconsistenza questo argomento è stato riproposto, come spiega Gianni Comoretto a pagina 43, anche recentemente,[9] prima del vertice di Copenhagen sul clima.
Che cos’è l’IPCC?
L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), ovvero il comitato intergovernativo sul cambiamento climatico, è un organismo scientifico facente parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), che si occupa dello studio dei cambiamenti climatici. L’IPCC non si occupa direttamente di svolgere attività scientifica di ricerca, bensì si limita a raccogliere e valutare molte migliaia di pubblicazioni scientifiche, tecniche e socio-economiche comparse sulle riviste scientifiche internazionali sul l’argomento dei cambiamenti climatici.
Fondato nel 1988, l’IPCC prepara a intervalli regolari di 5-6 anni valutazioni esaustive e aggiornate sullo stato del clima. Questi rapporti, oltre a contenere le informazioni scientifiche più importanti per l’analisi dei mutamenti climatici indotti dall’uomo, presentano anche i potenziali impatti e le possibilità di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico. L’ultimo rapporto IPCC è stato pubblicato nel 2007,[4] mentre il prossimo è previsto per il 2013.
Se il mondo si sta scaldando, come mai assistiamo ancora oggi, ogni tanto, a inverni rigidi e abbondanti nevicate? Quello che vediamo tutti i giorni rappresenta soltanto un aspetto dell’evoluzione atmosferica su tempi molto brevi rispetto ai tempi tipici del sistema climatico. Il fatto che una stagione o un mese in Italia o in Europa siano stati particolarmente freddi o caldi non ci dice nulla sull’evoluzione climatica a lungo termine del pianeta. La temperatura media globale in un certo anno può essere sensibilmente diversa da quella dell’anno prima o di quello successivo. Sul clima influiscono numerosi fattori diversi, come l’attività solare, le eruzioni vulcaniche o gli episodi El Niño, che si sommano o si sottraggono in maniera caotica determinando una variabilità interannuale ben conosciuta. Il clima del nostro pianeta è piuttosto meglio rappresentato dalle condizioni di temperatura, precipitazioni, ecc. mediate su tutta la superficie terrestre e su tempi dell’ordine della decina di anni come minimo, ma tipicamente 30 anni. Sono perciò le variazioni del clima sull’arco di tanti anni o di un secolo a contare veramente per definire la direzione del cambiamento climatico in atto. Se anche la temperatura media globale scendesse per 10 anni, questo non significherebbe che il riscaldamento globale si sta fermando. L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), ovvero il comitato intergovernativo sul cambiamento climatico, è un organismo scientifico facente parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), che si occupa dello studio dei cambiamenti climatici. L’IPCC non si occupa direttamente di svolgere attività scientifica di ricerca, bensì si limita a raccogliere e valutare molte migliaia di pubblicazioni scientifiche, tecniche e socio-economiche comparse sulle riviste scientifiche internazionali sul l’argomento dei cambiamenti climatici.
Fondato nel 1988, l’IPCC prepara a intervalli regolari di 5-6 anni valutazioni esaustive e aggiornate sullo stato del clima. Questi rapporti, oltre a contenere le informazioni scientifiche più importanti per l’analisi dei mutamenti climatici indotti dall’uomo, presentano anche i potenziali impatti e le possibilità di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico. L’ultimo rapporto IPCC è stato pubblicato nel 2007,[4] mentre il prossimo è previsto per il 2013.
Figura 3. Le due più importanti ricostruzioni paleoclimatiche della temperatura degli ultimi 800 mila anni ottenute dall’analisi chimico-fisica delle carote di ghiaccio estratte in Antartide nelle stazioni di EPICA Dome C[10] e Vostok.[11] Il grafico riporta le variazioni della temperatura media in Antartide rispetto al valore medio dell’ultimo millennio in funzione del tempo. Si osservi che la forte variabilità delle curve non è un artefatto dovuto a scarsa qualità delle misurazioni, ma rappresenta reali variazioni climatiche. Si noti inoltre l’alternanza con una cadenza di circa 100 mila anni tra i picchi di temperatura (i brevi periodi interglaciali) e i lunghi periodi di temperature molto basse (le glaciazioni).
L’inverno appena trascorso ci ha dato un esempio molto chiaro di come, guardando solo alla variabilità locale, si possano prendere grossi abbagli. Subito dopo una ondata di freddo sulla costa est degli USA, a fine febbraio, qualche giornalista ha gridato che questo era il segnale di un raffreddamento globale. Ma ora i laboratori che raccolgono milioni di dati da tutto il mondo hanno fatto il consuntivo: mentre gli USA erano sotto la neve, la Siberia aveva una anomalia positiva. Fatta la media su tutto il pianeta, l’inverno scorso è risultato molto più caldo di quelli passati.
Le “carote” di ghiaccio estratte ai poli ci hanno invece permesso di conoscere la storia climatica del nostro pianeta nell’ultimo milione d’anni, in cui si sono susseguiti ogni centomila anni circa periodi più freddi di quello attuale (detti periodi glaciali, in cui la temperatura media globale era più bassa di 5-6 gradi) intervallati da brevi periodi caldi come quello in cui viviamo ora o anche leggermente più caldi, detti periodi interglaciali (figura 4). Si tratta comunque di episodi lontani più di centomila anni, che non possono essere termini di paragone per ciò che succede oggi.
La temperatura del nostro pianeta è sempre stata influenzata dalla concentrazione atmosferica di anidride carbonica (CO₂). L’anidride carbonica contribuisce in modo significativo alla funzione di termostato del nostro pianeta grazie al cosiddetto “effetto serra” naturale: l’anidride carbonica, il vapor d’acqua e altri gas intrappolano parte della radiazione solare che, giunta alla superficie, viene poi riemessa dalla Terra verso lo spazio,. In assenza di effetto serra naturale la temperatura media superficiale sarebbe di circa -18 gradi e lo sviluppo della vita sul pianeta sarebbe stato impossibile.
Figura 4. L’andamento storico della concentrazione di anidride carbonica in atmosfera negli ultimi due secoli e mezzo circa. Sono riportati i dati delle ricostruzioni paleoclimatiche ottenute con le carote di ghiaccio estratte in Antartide nelle stazioni di Law Dome[12] e Siple Dome[13][14], assieme ai dati misurati strumentalmente a partire dal 1959 sull’isola di Mauna Loa alle Hawaii (USA)[15] e quelli mediati su tutti gli osservatori del mondo dal 1980 in poi[16].
Se accendiamo il fornello, l’acqua nella pentola si scalda; è altrettanto certo che se ci sono gas serra nell’atmosfera, la superficie del pianeta si scalda. È una notizia certa che ci arriva indipendentemente dalla geologia, dalla fisica molecolare e dall’astronomia.
L’effetto serra aggiuntivo di origine antropica derivato dalle emissioni di gas serra ha alterato l’equilibrio termico del pianeta, dando origine ad un riscaldamento atmosferico su scala globale. Da ricordare che la CO₂ contribuisce al riscaldamento per un 55%:[4] gli altri gas emessi dall’uomo per un 45%.[4] Sull’effetto di riscaldamento dovuto ai CFC (clorofluorocarburi) (circa l’11% del totale)[4] non ci possono essere dubbi di attribuzione: i CFC non esistono in natura e quell’11% è indiscutibilmente da attribuire all’uomo.
I problemi aperti
I problemi aperti nel campo del clima sono moltissimi e fare ricerca vuol dire affrontare queste domande e cercare di dare risposte. Ma i problemi aperti nella ricerca climatica sono (permetteteci la dicitura) di “rifinitura”, nel senso che sono fondamentali per noi che ci lavoriamo, ma non possono cambiare il quadro complessivo che abbiamo tracciato nei paragrafi precedenti.
I problemi aperti sono di un tale livello di specializzazione che non basterebbero molte pagine per raccontarne solo uno in modo esauriente. Allora ci limitiamo a fare un elenco parziale.
Calotte glaciali sull’Antartide e sulla Groenlandia: non sappiamo quanto velocemente si stanno sciogliendo. Sono in corso grandi progetti di ricerca sperimentale per monitorare la dinamica delle calotte.
West Antarctic Ice Sheet: è la parte occidentale della calotta antartica. Un riscaldamento globale elevato ne metterebbe a rischio la stabilità, con conseguenze disastrose sul livello dei mari. Sono in corso progetti di modellizzazione.
Aerosols: minute particelle in sospensione in atmosfera, emesse in gran parte dall’uomo, che hanno la proprietà di raffreddare il pianeta: contrastano cioè i gas serra. Solo che il loro contributo è molto mal conosciuto; è importante sapere meglio come funzionano.
Supercorrente oceanica: c’è la possibilità che il riscaldamento globale in corso possa in futuro fermarla. Le conseguenze potrebbero essere bizzarre, fino a un forte raffreddamento su parte del pianeta. Dobbiamo saperne di più: da 30 anni le boe oceaniche ancorate nell’Atlantico raccolgono dati.
El Niño: il fenomeno climatico più famoso sui giornali. Sappiamo (è un risultato degli ultimi anni) che ha una influenza sull’Europa e probabilmente anche sulla incipiente desertificazione sul Mediterraneo. Massicci progetti di ricerca dispiegano nel Pacifico da anni flotte di boe ancorate, boe derivanti, satelliti, navi oceanografiche per raccogliere dati.
Il ciclo del carbonio in atmosfera: più della metà dell’anidride carbonica emessa dall’umanità negli ultimi 150 anni non è più in atmosfera: è stata sequestrata dai “pozzi” naturali, gli oceani e la biosfera. Senza i “pozzi” il 2010 sarebbe molto più caldo. Ma stiamo usando l’atmosfera come discarica per i nostri rifiuti gassosi; quanto manca ancora a “saturare i pozzi” (cioè riempire questa discarica)? Ricerche teoriche e computazionali in corso.
L’esaurimento dei combustibili fossili: li stiamo consumando più velocemente del previsto. Vogliamo saper come questo può cambiare le nostre proiezioni climatiche.
L’elenco è lungo, ma c’è una cosa che possiamo dire con certezza: l’unico fenomeno che potrebbe portare un raffreddamento e quindi invertire il riscaldamento globale è la supercorrente oceanica. Per tutti gli altri fenomeni, invece, possiamo dire che la loro evoluzione comporterà probabilmente un peggioramento del riscaldamento globale in atto.
Prevedere il futuro climatico
Le conseguenze del riscaldamento climatico
Le conseguenze che ci aspettiamo (non c’è bisogno di un computer) sono qualitativamente le stesse che abbiamo già osservato nei passati 50 o 100 anni. Per l’Italia: scioglimento dei ghiacciai alpini; riduzione delle precipitazioni sia di neve che di pioggia; riduzione della disponibilità d’acqua; progressione del processo di desertificazione; aumento delle malattie “vector borne” portate da insetti; ondate di calore più frequenti; innalzamento del livello del mare – con salinizzazione degli estuari fluviali. Tutte cose che stiamo già vedendo. Bene, per un ulteriore aumento di 1,5 gradi moltiplicate tutto per due e avrete sbagliato per difetto: questi fenomeni sono non-lineari.
Nel campo del clima le “previsioni” vengono fatte utilizzando sofisticati modelli climatici numerici. Anche su questi si sono scagliati coloro che negano il riscaldamento globale, sostenendo che i modelli non sono per niente attendibili. L’affermazione non era adeguatamente documentata, ed è stata smentita quando nel 2008 gli scienziati che producono le curve di figura 1 hanno trovato un errore strumentale nei dati verso il 1940-1945.[18] L’errore è piccolo se si guarda alla tendenza della temperatura a crescere: la tendenza viene confermata completamente. Ma ci siamo accorti che nessuno dei 23 modelli climatici funzionanti nel mondo si era lasciato ingannare dall’errore strumentale. Questa è una chiara indicazione della loro affidabilità: i modelli climatici non sono perfetti, ma riproducono i dati chiave con accuratezza e affidabilità sufficienti: possiamo quindi usarli per fare previsioni, con un certo grado di affidabilità, su quello che ci possiamo aspettare. La previsione è però complicata dal fatto che nessuno conosce le decisioni e i comportamenti futuri dell’umanità. In conseguenza non è possibile inserire nei modelli valori sicuri per le concentrazioni future di gas serra. Allora la strategia è quella di fare ipotesi sui comportamenti futuri; un insieme di ipotesi si chiama uno scenario e la previsione che ne scaturisce si chiama più correttamente “proiezione”; scenari diversi producono proiezioni diverse e questo può confondere il non esperto. Le conseguenze che ci aspettiamo (non c’è bisogno di un computer) sono qualitativamente le stesse che abbiamo già osservato nei passati 50 o 100 anni. Per l’Italia: scioglimento dei ghiacciai alpini; riduzione delle precipitazioni sia di neve che di pioggia; riduzione della disponibilità d’acqua; progressione del processo di desertificazione; aumento delle malattie “vector borne” portate da insetti; ondate di calore più frequenti; innalzamento del livello del mare – con salinizzazione degli estuari fluviali. Tutte cose che stiamo già vedendo. Bene, per un ulteriore aumento di 1,5 gradi moltiplicate tutto per due e avrete sbagliato per difetto: questi fenomeni sono non-lineari.
Dal punto di vista dell’uomo comune, dei media e soprattutto dei decisori (politici, amministratori, industriali,…), le domande chiave sono tre e sono semplicissime:
quanto si scalderà ancora la Terra?
con quali conseguenze?
che cosa possiamo fare?
Le risposte sono altrettanto semplici, dato che a nessuno interessa sapere la temperatura della Terra con tre cifre decimali: ci interessa solo sapere se dobbiamo preoccuparci e se dobbiamo fare qualcosa. Per questo sono sufficienti risposte semplici, “a spanne”: se state per decidere di montare o no le catene sulle gomme, non vi serve sapere se oggi cadranno 27,2 o 27,3 centimetri di neve. Una informazione approssimativa come «cadrà più di una decina di centimetri di neve» è più che sufficiente a prendere la decisione.
L’esaurimento dei combustibili fossili
Vale la pena di spendere due righe sul fatto che la riduzione dei consumi di combustibili fossili non è una cosa facoltativa: ci saremo costretti. Accenniamo soltanto al fatto che abbiamo già consumato quasi la metà del petrolio presente sottoterra, un pò di meno di gas naturale e più di un terzo del carbone fossile.[19] Arriveremo al massimo della produzione di combustibili fossili entro due o al più tre decenni:[20] ma ci vorranno almeno due o tre decenni per sostituire l’attuale sistema energetico basato sul petrolio con uno che dipenda di meno dai combustibili fossili. È inevitabile ridurre presto i nostri consumi.
Per la prima domanda abbiamo una risposta “vaga” ma solida: abbiamo la certezza che la Terra continuerà a scaldarsi per qualche centinaio di anni, a causa dei gas serra già emessi nel secolo passato.[4] Seconda certezza: la Terra si scalderà di meno, se prenderemo misure appropriate. Abbiamo anche la certezza che non possiamo “spegnere” l’umanità: continueremo quindi ad emettere ancora gas serra, anche se sperabilmente con più giudizio di quanto abbiamo fatto finora. Queste considerazioni ci permettono di affermare che, se non prenderemo misure adeguate, entro il 2100 la Terra si scalderà ancora di una quantità compresa tra 1,5 e 2 gradi.[21] In quello pessimistico da 2 fino a 6 gradi. Non citiamo gli studi di biologia e di economia che dimostrano questo: vi potete fare un’idea da soli considerando che fino ad oggi abbiamo avuto un riscaldamento di circa 0,8 gradi.[4] Sommando altri due gradi, l’aumento da qui al 2100 sarebbe più del doppio di quello dal 1850 a oggi. Vale la pena di spendere due righe sul fatto che la riduzione dei consumi di combustibili fossili non è una cosa facoltativa: ci saremo costretti. Accenniamo soltanto al fatto che abbiamo già consumato quasi la metà del petrolio presente sottoterra, un pò di meno di gas naturale e più di un terzo del carbone fossile.[19] Arriveremo al massimo della produzione di combustibili fossili entro due o al più tre decenni:[20] ma ci vorranno almeno due o tre decenni per sostituire l’attuale sistema energetico basato sul petrolio con uno che dipenda di meno dai combustibili fossili. È inevitabile ridurre presto i nostri consumi.
Seconda domanda: quali potrebbero essere le conseguenze? Non possiamo dire se il livello del mare si innalzerà di 63 o 83 o addirittura 123 centimetri entro il 2100. Possiamo però scommettere che Venezia sarà sott’acqua e con essa migliaia di km quadrati di terreno fertile.[4]
Terza domanda: si può fare qualcosa? Cosa possiamo fare? È necessario ridurre le emissioni di gas serra. Dato che il principale è l’anidride carbonica, dobbiamo ridurre il consumo di combustibili fossili. Sarebbe autolesionista non prendere provvedimenti.
Le conclusioni sul clima
- La qualità e la quantità dei dati misurati sul sistema climatico ci dà una conoscenza molto soddisfacente del sistema climatico; soprattutto è una base più che sufficiente per fare previsioni sull’andamento futuro della temperatura terrestre e delle variabili associate.
- L’accuratezza delle previsioni climatiche fatte dai laboratori scientifici non è assoluta ma è largamente sufficiente a prendere decisioni sul nostro futuro energetico: non c’è margine di dubbio sul fatto che dobbiamo “uscire dal petrolio”: ridurre i nostri consumi di combustibili fossili.
- Ci sono altre ragioni per ridurre i nostri consumi: il fatto che le riserve geologiche di combustibili fossili si stanno riducendo al punto che siamo vicini all’epoca in cui la disponibilità energetica sarà decrescente e i prezzi dei fossili saranno crescenti.
- Il “risk management” è ormai una scienza e i politici e decisori a livello nazionale e internazionale la dovrebbero conoscere. È il loro mestiere “prendere decisioni in situazioni di incertezza”.
Una società ad alta inefficienza
Le conclusioni del paragrafo precedente permettono di trarne altre. Troverete di seguito alcune affermazioni che sarebbe possibile documentare, ma a costo di portarci fuori dagli obiettivi e dai limiti di spazio di questo articolo. Vale la pena di elencarle ugualmente per mostrare che il futuro non è così nero, che gli impegni che ci attendono sono affrontabili.
- La transizione imminente a una società meno energivora e meno dipendente dai combustibili fossili sarà resa più facile dal fatto che il nostro sistema economico sociale è ad altissima inefficienza energetica. Questo permetterà di ridurre i consumi senza troppi disagi.
- Senza dubbio dovranno cambiare gli stili di vita delle nazioni industrializzate. Il consumismo perderà gradualmente la sua penetrazione: sta già accadendo negli Stati Uniti. Dovremo usare le cose invece di consumarle, possedere gli oggetti solo per usarli.
- Queste riduzioni, questi cambiamenti sono affrontabili con disagi moderati e diluiti nel tempo. Abbiamo già forti indicazioni che la cosa è fattibile. Una prima indicazione viene dal fatto che i paesi industrializzati (escludendo gli USA) hanno ridotto le loro emissioni dal 1997 a ora di quasi il 14%: questo è quasi tre volte quanto si erano impegnati a fare con il trattato di Kyoto (non è vero che è stato un fallimento totale!). Altra indicazione: in Italia i consumi di benzine per autotrazione stanno calando del 4% ogni anno dal 2004.
Non è questa la sede per analizzare le cause. Ma è importante notare che questo calo è di più di quello che ci aspettavamo dal vertice di Copenhagen. Vuol dire che l’altissima inefficienza energetica attuale ha una faccia positiva: le riduzioni delle emissioni sono possibili e non così gravose.
Bibliografia e note
1) Brohan P. et al., Uncertainty estimates in regional and global observed temperature changes: a new dataset from 1850, Journal of Geophysical Research 111, D12106 (2006), http://www.cru.uea.ac.uk/cru/data/temperature/hadcrut3gl.txt .
2) Smith T. M., Reynolds R. W., A global merged land air and sea surface temperature reconstruction based on historical observations (1880-1997), Journal of Climate 18, 2021-2036 (2005), ftp://ftp.ncdc.noaa.gov/pub/data/anomalies/annual.land_ocean.90S.90N.df_1901-2000mean.dat .
3) Hansen J. et al., Global temperature change, Proceedings of the National Academy of Sciences 103, 14288-14293 (2006); http://data.giss.nasa.gov/gistemp/graphs/Fig.A2.txt
4) IPCC, Climate Change 2007: The Physical Science Basis. Contribution of Working Group I to the Fourth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, Solomon S. et al. (eds.), Cambridge University Press, Cambridge, United Kingdom and New York, NY, USA, 996 pp. (2007), http://www.ipcc.ch .
5) Wikipedia, Little Ice Age, http://en.wikipedia.org/wiki/Little_Ice_Age.
6) Questi valori possono essere determinati in maniera non semplice facendo operazioni di media su dati originali come quelli mostrati in figura 2.
7) Mann M. E. et al., Proxy-based reconstructions of hemispheric and global surface temperature variations over the past two millennia, Proceedings of the National Academy of Sciences 105, 13252-13257 (2008).
8) McIntyre S., McKitrick R., Corrections to the Mann et al. (1998) proxy data base and Northern Hemispheric average temperature series, Energy & Environment 14, 751-772 (2003).
9) McIntyre S., McKitrick R., Proxy inconsistency and other problems in millennial paleoclimate reconstructions, Proceedings of the National Academy of Sciences 106, E10 (2009).
10) Jouzel J. et al., Orbital and Millennial Antarctic Climate Variability over the Past 800,000 Years, Science 317, 793-797 (2007).
11) Petit J.R. et al., Climate and Atmospheric History of the Past 420,000 years from the Vostok Ice Core, Antarctica, Nature 399, 429-436 (1999).
12) Etheridge D.M. et al., Natural and anthropogenic changes in atmospheric CO₂ over the last 1000 years from air in Antarctic ice and firn, Journal of Geophysical Research 101, 4115-4128 (1996).
13) Friedli H. et al., Ice core record of 13C/12C ratio of atmospheric CO₂ in the past two centuries, Nature 324, 237-238 (1986).
14) Neftel A. et al., Evidence from polar ice cores for the increase in atmospheric CO₂ in the past two centuries, Nature 315, 45-47 (1985).
15) Tans, P., Mauna Loa CO₂ annual mean data, NOAA/ESRL (2010) ftp://ftp.cmdl.noaa.gov/ccg/co2/trends/co2_annmean_mlo.txt .
16) Tans, P., Globally averaged marine surface annual mean CO₂ data, NOAA/ESRL (2010), ftp://ftp.cmdl.noaa.gov/ccg/co2/trends/co2_annmean_gl.txt .
17) Lüthi D., High-resolution carbon dioxide concentration record 650.000–800.000 years before present, Nature 453, 379-382 (2008).
18) Thompson D. W. J., A large discontinuity in the mid-twentieth century in observed global-mean surface temperature, Nature 453, 646-649 (2008).
19) Zecca A., Zulberti C., Petrolio: siamo in riserva?, Le Scienze 459, 50 (2006) http://data.giss.nasa.gov/gistemp/graphs/Fig.A2.txt .
20) Associazione per lo studio del picco del petrolio e gas (ASPO-Italia), http://www.aspoitalia.it .
21) Zecca A., Chiari L., Global warming projections under fossil fuels depletion, da pubblicare.