Nella primavera del 2008 è stata condotta un’interessante indagine da parte dell’Istituto GfK Eurisko, commissionata dalla rivista di didattica Linx. L’indagine aveva lo scopo di rilevare i problemi, i bisogni e le aspettative dei docenti di materie scientifiche nella scuola superiore. Il campione comprendeva oltre 300 docenti di materie scientifiche delle scuole superiori italiane.
Uno dei risultati più significativi è che il 64% degli interpellati ritiene che insegnare scienza sia più difficile che in passato (per il 35% è più facile, per l’1% è come nel passato). Le ragioni, per gli intervistati, sono due: 1) il diminuito livello nella preparazione di base degli studenti 2) la loro scarsa motivazione.
Riguardo al primo fattore, occorre precisare che esso non riguarda solo il bagaglio di conoscenze con cui lo studente arriva alle superiori, ma anche abilità quali il metodo di studio, la capacità di analizzare ed elaborare un testo, la durata dell’attenzione e della concentrazione, il repertorio lessicale. Il problema della motivazione è ritenuto cruciale da quasi tutti i docenti, ma è particolarmente sentito dai docenti degli istituti professionali.
Come docente di chimica delle scuole superiori non posso che concordare con i docenti interpellati. Motivare gli studenti nei confronti della materia insegnata è uno dei principali problemi di un docente. Se si riesce a risolverlo, tutto il lavoro successivo risulterà semplificato. Purtroppo però, nonostante i fiumi di inchiostro dedicati al problema, non esistono facili ricette per catturare l’interesse dei ragazzi.
Personalmente ritengo che una condizione necessaria, anche se non sufficiente, per trasmettere interesse (e fors’anche passione) per la materia agli studenti è che tale interesse e passione siano presenti nel docente.
L’entusiasmo è un’emozione contagiosa e se il docente è entusiasta della disciplina c’è speranza che riesca a trasmetterne anche ai discenti. Se il primo ad avere scarso interesse per la materia che insegna è il docente, ben pochi studenti si appassioneranno a essa e qualsiasi altra iniziativa didattica avrà scarso successo. Ora, chi ha scelto in gioventù un certo corso di laurea e ha dedicato anni per specializzarsi in una disciplina ha presumibilmente un interesse nei confronti di quest’ultima. La conclusione è che ogni docente dovrebbe insegnare la materia nella quale si è specializzato (ovviamente, oltre al discorso sull’entusiasmo e la passione, vi è quello fondamentale sulla effettiva preparazione). Queste considerazioni apparirebbero banali se non fosse che da qualche tempo, a livello ministeriale, vi è l’insana tendenza al cosiddetto «accorpamento delle classi di concorso» e all’introduzione delle cosiddette «scienze integrate»: si tratta di espressioni burocratiche che significano che ogni docente dovrà insegnare diverse discipline, comprese quelle in cui ha scarsa preparazione e presumibilmente scarso entusiasmo. Conosco biologi che all’università hanno sputato sangue per superare i due previsti esami di chimica. Se questi biologi andranno a insegnare chimica (e questo succede già oggi nei licei scientifici) come potranno motivare gli studenti e trasmettere loro un po’ di entusiasmo? E, per par condicio: come potrò io (chimico fisico) andare a insegnare biologia senza aver mai sostenuto neanche un esame universitario che avesse a che fare con le scienze della vita? Sono domande banali che, evidentemente, i consulenti pedagogici del nostro Ministero non si pongono, ritenendo ottimisticamente che possano esistere docenti tuttologi e in grado di appassionare gli studenti a tutte le discipline.
Dopo questa nota un po’ polemica, un appello ai colleghi insegnanti e agli studenti che leggono questa rivista: che si può fare per rendere più accattivante l’insegnamento delle scienze? Chi ha idee e suggerimenti può mandarli a [email protected] . In questa rubrica, esamineremo i contributi più significativi perché proprio di “motivazione degli studenti” vorremmo trattare nelle prossime puntate.
Uno dei risultati più significativi è che il 64% degli interpellati ritiene che insegnare scienza sia più difficile che in passato (per il 35% è più facile, per l’1% è come nel passato). Le ragioni, per gli intervistati, sono due: 1) il diminuito livello nella preparazione di base degli studenti 2) la loro scarsa motivazione.
Riguardo al primo fattore, occorre precisare che esso non riguarda solo il bagaglio di conoscenze con cui lo studente arriva alle superiori, ma anche abilità quali il metodo di studio, la capacità di analizzare ed elaborare un testo, la durata dell’attenzione e della concentrazione, il repertorio lessicale. Il problema della motivazione è ritenuto cruciale da quasi tutti i docenti, ma è particolarmente sentito dai docenti degli istituti professionali.
Come docente di chimica delle scuole superiori non posso che concordare con i docenti interpellati. Motivare gli studenti nei confronti della materia insegnata è uno dei principali problemi di un docente. Se si riesce a risolverlo, tutto il lavoro successivo risulterà semplificato. Purtroppo però, nonostante i fiumi di inchiostro dedicati al problema, non esistono facili ricette per catturare l’interesse dei ragazzi.
Personalmente ritengo che una condizione necessaria, anche se non sufficiente, per trasmettere interesse (e fors’anche passione) per la materia agli studenti è che tale interesse e passione siano presenti nel docente.
L’entusiasmo è un’emozione contagiosa e se il docente è entusiasta della disciplina c’è speranza che riesca a trasmetterne anche ai discenti. Se il primo ad avere scarso interesse per la materia che insegna è il docente, ben pochi studenti si appassioneranno a essa e qualsiasi altra iniziativa didattica avrà scarso successo. Ora, chi ha scelto in gioventù un certo corso di laurea e ha dedicato anni per specializzarsi in una disciplina ha presumibilmente un interesse nei confronti di quest’ultima. La conclusione è che ogni docente dovrebbe insegnare la materia nella quale si è specializzato (ovviamente, oltre al discorso sull’entusiasmo e la passione, vi è quello fondamentale sulla effettiva preparazione). Queste considerazioni apparirebbero banali se non fosse che da qualche tempo, a livello ministeriale, vi è l’insana tendenza al cosiddetto «accorpamento delle classi di concorso» e all’introduzione delle cosiddette «scienze integrate»: si tratta di espressioni burocratiche che significano che ogni docente dovrà insegnare diverse discipline, comprese quelle in cui ha scarsa preparazione e presumibilmente scarso entusiasmo. Conosco biologi che all’università hanno sputato sangue per superare i due previsti esami di chimica. Se questi biologi andranno a insegnare chimica (e questo succede già oggi nei licei scientifici) come potranno motivare gli studenti e trasmettere loro un po’ di entusiasmo? E, per par condicio: come potrò io (chimico fisico) andare a insegnare biologia senza aver mai sostenuto neanche un esame universitario che avesse a che fare con le scienze della vita? Sono domande banali che, evidentemente, i consulenti pedagogici del nostro Ministero non si pongono, ritenendo ottimisticamente che possano esistere docenti tuttologi e in grado di appassionare gli studenti a tutte le discipline.
Dopo questa nota un po’ polemica, un appello ai colleghi insegnanti e agli studenti che leggono questa rivista: che si può fare per rendere più accattivante l’insegnamento delle scienze? Chi ha idee e suggerimenti può mandarli a [email protected] . In questa rubrica, esamineremo i contributi più significativi perché proprio di “motivazione degli studenti” vorremmo trattare nelle prossime puntate.