Il 27 settembre 2022, la sonda DART (che in inglese vuol dire dardo, ma è anche l’acronimo di Double Asteroid Redirection Test, prova di deflessione di un asteroide doppio), lanciata dalla NASA il 24 novembre 2021, ha colpito con successo Dimorphos, un piccolo satellite naturale dell'asteroide Didymos, modificandone l'orbita intorno al corpo centrale di circa 32 minuti.
La missione serviva a dimostrare che una tecnologia relativamente semplice può essere utilizzata per difendere la Terra dagli impatti degli asteroidi. L'obiettivo principale era infatti testare la tecnica dell'impattatore cinetico, che consiste nell’urto meccanico fra due corpi in movimento, per deviare un asteroide dalla propria orbita usando la sonda stessa come proiettile ad alta velocità senza ricorrere a esplosivi: un piccolo passo, ma sicuramente significativo, nella difesa del nostro pianeta.
Al momento dell’impatto il sistema asteroidale binario composto dal corpo principale Didymos (780 metri di diametro) e dal suo satellite Dimorphos (160 metri di diametro) si trovava a 11 milioni di chilometri dal nostro pianeta, quindi non troppo lontano, in modo da poter osservare gli esiti dell’impatto anche con telescopi terrestri, ma comunque a distanza di sicurezza. Il sistema Didymos-Dimorphos è in effetti classificato come NEO (dall’inglese Near-Earth Object; o anche NEA, dove la A sta per Asteroid), un’espressione che indica tutti quei corpi le cui orbite si trovano a passare vicine a quella della Terra. E non sono pochi.
È noto che il nostro pianeta ha subito, nel corso della sua lunga storia, collisioni con altri corpi, molti di piccole dimensioni, altri notevoli. Ancora oggi, nonostante i dintorni dell’orbita terrestre siano “puliti”, l’atmosfera della Terra è quotidianamente bombardata da milioni di frammenti per un totale di centinaia di tonnellate di massa, frammenti che hanno le dimensioni tipiche del granello di sabbia (ma alcuni possono andare da pochi millimetri a qualche centimetro) e che danno origine al fenomeno delle meteore, più noto con il nome di “stelle cadenti”.
L’impatto più catastrofico nel passato della Terra è stato senz’altro quello che ha dato origine alla Luna che, secondo la teoria più accreditata, è una vera e propria “costola” del nostro pianeta: circa 50 milioni di anni dopo la formazione del sistema solare (avvenuta attorno a 4,6 miliardi di anni fa), un corpo delle dimensioni di Marte, denominato Theia, colpì il nostro pianeta, ancora caldo, immettendo così in orbita una quantità di materiale sufficiente a dare origine alla Luna.
Molto più di recente, anche se in tempi ancora remoti, l’impatto con un grosso asteroide causò – o comunque innescò – la grande estinzione del Permiano, circa 250 milioni di anni fa. Meno nota dell’estinzione dei dinosauri (avvenuta 65 milioni di anni fa, anch’essa probabilmente innescata da un impatto cosmico), ma di sicuro più disastrosa, l’estinzione del Permiano vide la scomparsa di oltre il 90 per cento delle forme di vita marine e di oltre il 70 per cento di quelle terrestri.
A quell’epoca i continenti della Terra non erano ancora separati e le terre emerse erano unite in un unico grande supercontinente, la Pangea. A causa dei grandi movimenti geologici successivi è quindi praticamente impossibile trovare le tracce dell’immane cratere che l’impatto dell’asteroide, dal diametro stimato di una decina di chilometri, lasciò sulla crosta terrestre. Ma molti crateri da impatto sono ancora ben visibili, come per esempio il Meteor Crater, che si trova nel deserto dell’Arizona, a circa 50 chilometri da Flagstaff. Noto anche come Cratere Barringer, dal nome del geologo Daniel Barringer, che per primo, nel 1906, ne dimostrò l’origine da impatto asteroidale, è uno dei crateri da impatto meglio conservati: circondato da una “corona” di materiale sollevato dall’impatto di 45 metri di altezza, ha un diametro di 1200 metri ed è profondo 170 metri. A generarlo, circa 50.000 anni fa, durante il Pleistocene, fu un meteorite metallico (nickel-ferro) di 50 metri di diametro, che doveva viaggiare a una velocità di diversi chilometri al secondo. L’impatto produsse un’esplosione con un’energia equivalente ad almeno 2,5 milioni di tonnellate di tritolo, pari a circa 150 volte l’energia delle bombe atomiche impiegate a Hiroshima e Nagasaki.
Al giorno d’oggi, il rischio che la Terra possa essere nuovamente bersaglio di un asteroide non è altissimo, ma non è nemmeno nullo. Per questo motivo esistono molti progetti dedicati alla ricerca e al controllo delle orbite dei NEO. Di questi, nel momento in cui scriviamo, se ne conoscono quasi 32.000[1]. In base alle loro dimensioni (almeno 150 metri di diametro) e ai parametri orbitali (minima distanza dall’orbita terrestre sotto 7,5 milioni di chilometri, 20 volte la distanza media Terra-Luna), alcune migliaia di essi sono classificati come PHO (Potentially Hazardous Object, oggetto potenzialmente pericoloso): è infatti sufficiente una piccola perturbazione gravitazionale perché uno di questi oggetti diventi un proiettile scagliato contro la Terra. Quasi 1500 sono inseriti in uno speciale catalogo, denominato Risk list[2], che raccoglie tutti gli oggetti noti sinora per i quali è stata calcolata una probabilità di impatto non nulla. L’elenco è tenuto continuamente aggiornato dal Near-Earth Object Coordination Centre (NEOCC) dell’Agenzia spaziale europea (ESA), il centro europeo che si occupa del calcolo delle orbite di asteroidi e comete e della loro probabilità di impatto con la Terra.
Nel corso degli anni la Terra ha avuto numerosi incontri ravvicinati con piccoli asteroidi, l’ultimo dei quali è avvenuto il 15 febbraio 2013, quando 367943 Duende (o 2012 DA14, secondo il nome provvisorio dell’epoca), un asteroide di 30 metri di diametro e una massa stimata di 40.000 tonnellate, è passato ad appena 27.700 chilometri da noi, molto meno di un decimo della distanza Terra-Luna. Gli astronomi usano infatti la distanza media Terra-Luna, che è di circa 384.400 chilometri, come unità di misura delle distanze di massimo avvicinamento dei NEO.
A oggi, quello di 2012 DA14 è l’incontro più ravvicinato di un asteroide di quelle dimensioni con il nostro pianeta. Curiosamente, in quello stesso giorno un piccolo asteroide di circa 20 metri di diametro entrò in atmosfera ed esplose a circa 30 chilometri di quota sopra la città russa di Chelyabinsk. L’onda d’urto generata provocò circa 1500 feriti, la maggior parte dei quali a causa delle numerose schegge di vetro prodotte dalla rottura delle finestre. Per inciso, i calcoli delle orbite di Duende e del meteorite di Chelyabinsk hanno poi rivelato che i due eventi erano totalmente indipendenti. Quando si dice il caso…
Ma proprio all’inizio di quest’anno abbiamo avuto uno dei passaggi più ravvicinati mai osservati finora: il 26 gennaio scorso, infatti, l'asteroide 2023 BU - di dimensioni stimate tra i 3,5 e gli 8,5 metri - è passato a soli 3600 chilometri dalla superficie della Terra, quindi ben all'interno dell'orbita dei satelliti geosincroni (che orbitano a una distanza dieci volte maggiore). Se anche avesse impattato con il nostro pianeta, si sarebbe probabilmente trasformato in una palla di fuoco e in gran parte disintegrato nell’atmosfera; tuttavia, alcuni dei detriti più grandi sarebbero potuti cadere come piccoli meteoriti. Questo per dire che, tutto considerato, il rischio che il “cielo ci cada sulla testa”, come teme Abraracourcix, il capo del villaggio gallico di Asterix, è sempre presente, e non è detto che il problema possa essere liquidato con la sua celebre frase: «Che cada è certo, ma di sicuro non domani».
Basandosi su modelli e osservazioni, gli astronomi hanno valutato la probabilità di impatto di un asteroide sulla Terra, scoprendo che impatti di oggetti come quello di Chelyabinsk possono verificarsi ogni 70-100 anni, mentre impatti di asteroidi di un chilometro possono verificarsi ogni 500.000 anni circa. È possibile stimare anche la probabilità per un individuo di essere colpito da un meteorite (il meteorite è il frammento che arriva fino al suolo), che è pari a circa 1 su un miliardo nell'arco della vita. Vincere al Superenalotto, dove la probabilità di fare 6 è di 1 su oltre 622 milioni, è molto più facile.
Messa in questi termini, insomma, il rischio non sembra poi così alto. Purtroppo, però, la scoperta di asteroidi pericolosi può avvenire troppo tardi per intervenire. Infatti, gli asteroidi pericolosi sono spesso scoperti solo quando sono già troppo vicini o sono già passati oltre la Terra, perché per essere individuati in anticipo devono trovarsi in una posizione favorevole. Infatti, alcuni asteroidi, come quello di Chelyabinsk, si avvicinano alla Terra dalla direzione del Sole, rendendo impossibile scoprirli in anticipo poiché andrebbero osservati di giorno.
In ogni caso, non tanto per mettersi al riparo (è impossibile, almeno per il momento), quanto per poter almeno classificare gli asteroidi in base al potenziale rischio di impatto, gli astronomi hanno ideato un doppio sistema di valutazione. Così, imitando i geologi che, per valutare un terremoto, impiegano la scala Mercalli, basata sulla fenomenologia osservata, e la scala della magnitudo Richter, basata sull’energia rilasciata dall’evento tellurico, anche gli astronomi hanno creato due scale per la valutazione del rischio da impatto di un NEO con il nostro pianeta. Curiosamente, le due scale prendono il nome di Scala Torino e di Scala Palermo, dalle città dove si sono svolte le conferenze in cui sono state presentate per la prima volta. Mentre la prima è una scala a passi discreti (da 0 a 10) ideata per comunicare con il pubblico i rischi associati a un possibile impatto, la seconda è una scala continua di tipo logaritmico che combina due tipi di dati – la probabilità di impatto e il rendimento cinetico stimato, ovvero il danno causato – in un unico valore di "pericolo", che può anche essere negativo.
L’esperienza ci dice che i terremoti sono molto più frequenti degli impatti asteroidali. Ma questo non significa che le Scale Torino e Palermo siano un banale esercizio di stile: tutt’altro. La dimostrazione della loro utilità emerse con forza nel 2004, quando si ebbe il serio timore che un asteroide fosse davvero in rotta di collisione con la Terra. L’asteroide si chiama Apophis – Apophis è il nome greco di Apep, una divinità egizia nemica del dio del sole Ra – e la sua storia è emblematica di quello che si deve e non si deve fare in queste circostanze.
Apophis fu scoperto la notte del 19 giugno 2004 da un gruppo di ricercatori del Kitt Peak National Observatory, vicino a Tucson, in Arizona. Il 21 dicembre dello stesso anno, al suo passaggio al perigeo – punto di minima distanza dalla superficie della Terra – si avvicinò a meno di 15 milioni di chilometri: abbastanza vicino rispetto ad altri che si trovano ampiamente a distanze di sicurezza, ma non particolarmente preoccupante. Tuttavia i calcoli preliminari dell’orbita, basati su poche osservazioni ravvicinate, quindi non particolarmente adatte per calcolare una traiettoria precisa, davano per molto probabile un impatto con la Terra. Anche la data era fissata: venerdì 13 aprile 2029 (anche il cielo talvolta gioca brutti scherzi ai superstiziosi!).
Con una probabilità calcolata di impatto del 2,7 % (1 su 37), Apophis è stato il primo e per ora l’unico asteroide a raggiungere, il 27 dicembre 2004, i livelli più alti delle due scale: il livello 1,1 della Scala Palermo e il livello 4 dei 10 previsti dalla Scala Torino. Quello stesso giorno, grazie al recupero di un’osservazione dell’asteroide risalente al 15 marzo, quindi prima dell’effettiva scoperta (gli scienziati chiamano queste osservazioni precovery, contrazione dell’espressione pre-discovery, pre-scoperta), gli astronomi poterono calcolare l’orbita con maggiore precisione, escludendo definitivamente l’impatto del 2029. Ma osservazioni condotte negli anni seguenti spostarono il possibile impatto, seppure molto meno probabile, al 13 aprile 2036, esattamente sette anni dopo, portando l’asteroide al livello 1 della Scala Torino (e a valori negativi della Scala Palermo). Adesso, dopo ulteriori osservazioni prolungate negli anni, sappiamo con certezza che anche questo impatto non avrà luogo e che, anzi, Apophis passerà a una distanza minima maggiore di quella che, in quello stesso anno, separerà la Terra dal pianeta Venere. Apophis insomma non fa più paura, e gli astronomi hanno calcolato che non ha alcuna possibilità di impattare la Terra nei prossimi 100 anni.
Il suo passaggio ravvicinato del 13 aprile 2029 sarà comunque spettacolare e rappresenterà il record di avvicinamento di un asteroide di questa taglia (Apophis ha una dimensione stimata di 370 metri). L’asteroide passerà infatti ad appena 31.600 chilometri dalla superficie terrestre, quindi a una distanza minore dell’anello delle orbite dei satelliti geostazionari e meno di un decimo della distanza media Terra-Luna. Gli astronomi hanno stimato che durante il passaggio l’asteroide diventerà visibile a occhio nudo (se osservato da cieli sufficientemente scuri e limpidi), e anche questa circostanza sarà una prima assoluta. Nessun asteroide di queste dimensioni è mai stato visibile a occhio nudo (l’unico visibile a occhio nudo, in circostanze eccezionali, è Vesta, che si trova nella fascia principale, quella compresa fra le orbite di Marte e Giove).
La storia di Apophis chiarisce molto bene quanto sia difficile calcolare con precisione l’orbita di un asteroide, soprattutto se è di piccole dimensioni. Per il calcolo di un’orbita servono infatti almeno tre osservazioni in tre momenti diversi, e, ovviamente, più sono i punti e maggiore è l’arco descritto, maggiore sarà anche la precisione raggiunta. Purtroppo, però, ogni passaggio ravvicinato con un pianeta (o con un satellite, o un altro asteroide) perturba l’orbita originale, che quindi va ricalcolata. Lo stesso passaggio del 2029 modificherà in maniera significativa l’orbita di Apophis, rendendola meno minacciosa. A contribuire ad alterare l’orbita, seppure in misura nettamente minore rispetto alla forza di gravità, ci sono anche gli effetti connessi all’assorbimento e alla riemissione della radiazione solare. Insomma, prima di annunciare che un asteroide ci cadrà addosso occorre fare molti calcoli, e non è detto che siano sempre affidabili (il risultato dipende dalla precisione con cui sono raccolte le osservazioni).
Da quanto scritto fin qui, si capisce bene inoltre che una sola osservazione – come invece gli sceneggiatori lasciano intuire, per esempio, nel film Deep Impact (1998) o nel più recente Don’t Look Up (2021), dove a minacciare la Terra non è un asteroide, ma una cometa, ancora più imprevedibile – non può dire niente sulla sorte dell’oggetto né su quella del nostro pianeta.
A chi dobbiamo rivolgerci per essere sempre aggiornati sulla situazione “rischio da impatto di asteroidi”? Agli appassionati di complotti la risposta non piacerà, perché l’elenco completo degli asteroidi minacciosi è pubblico e aggiornato praticamente in tempo reale, e ognuno può andare a consultarlo e valutare l’opportunità di costruirsi o meno un bunker sotterraneo (forse può risultare più utile per difendersi dalla minaccia nucleare). Si trova in una pagina del sito web del Center for Near-Earth Object Studies (CNEOS), l’istituto ospitato presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA, a Pasadena, in California, che si occupa di calcolare le orbite degli asteroidi appena scoperti e di eseguire le analisi a lungo termine di possibili posizioni future di asteroidi pericolosi rispetto alla Terra, in modo da determinare e avvertire di qualsiasi rischio di impatto[3]. È quindi il CNEOS a calcolare il tempo e la posizione dell'impatto nel caso di una minaccia di impatto prevista.
Il sistema di calcolo dei rischi si chiama Sentry, e, come si legge sulla pagina di presentazione, «è un sistema di monitoraggio delle collisioni altamente automatizzato che scansiona continuamente il catalogo più aggiornato di asteroidi per verificare la possibilità di futuri impatti con la Terra nei prossimi 100 anni. Ogni volta che viene rilevato un potenziale impatto, questo viene analizzato e i risultati vengono immediatamente pubblicati qui, tranne in casi insoliti in cui cerchiamo una conferma indipendente. È normale che, man mano che si rendono disponibili ulteriori osservazioni, gli oggetti spariscano da questa tabella quando non ci sono più potenziali impatti rilevati. Per questo motivo manteniamo un elenco degli oggetti rimossi con la data di rimozione». In testa alla speciale classifica degli asteroidi minacciosi – ma non così tanto da superare il livello 0 della Scala Torino – troviamo 101955 Bennu, l’asteroide visitato dalla sonda OSIRIS-REx della NASA, dalla cui superficie ha raccolto un campione di materiale che tornerà sulla Terra il 24 settembre 2023.
La caccia agli asteroidi pericolosi viene tipicamente condotta attraverso sistemi telescopici robotizzati che scandagliano continuamente il cielo ogni notte, come quelli della Catalina Sky Survey (CSS), in Arizona, o della Pan-STARRS (Panoramic Survey Telescope And Rapid Response System), alle Hawaii, coadiuvati da una fitta rete mondiale di osservatori amatoriali, di cui molti anche in Italia. La scoperta viene sempre annunciata pubblicamente, con i nomi degli scopritori, l’elenco delle osservazioni (sia quella di scoperta che quelle di conferma), i dati orbitali preliminari e altre informazioni, sulle celebri circolari[4] del Minor Planet Center (MPC), che opera sotto il mandato dell’Unione Astronomica Internazionale e si trova presso lo Smithsonian Astrophysical Observatory, a Cambridge (Massachusetts, Stati Uniti). Le circolari, denominate Minor Planet Electronic Circular (MPEC), sono quindi la fonte primaria su cui informarsi di ogni nuova scoperta di un asteroide o di una cometa.
Il motivo per cui questi dati sono messi subito a disposizione di tutti è perché si possano avere nel più breve tempo possibile conferme indipendenti da parte di altri osservatori e si possano aggiungere osservazioni in modo da tracciare con la maggior precisione possibile l’arco dell’orbita. Perché è così che funziona – o, almeno, dovrebbe funzionare – la scienza: gli scopritori pubblicano i dati delle loro osservazioni perché chiunque possa confermarle, o eventualmente smentirle, con altre osservazioni.
Come abbiamo visto, quindi, il modo per informarsi in questo ambito da fonti certe e autorevoli esiste, ed è semplicissimo. Nonostante questo, annunci di possibili impatti per il nostro pianeta, magari conditi con tutto l’apparato di devastazioni a cui ci ha abituato il fortunato filone dei film catastrofici e post-apocalittici, dove non mancano mai conseguenze disastrose per la nostra specie, si susseguono periodicamente sui media tradizionali e digitali. D’altra parte sappiamo bene che un titolo sensazionalistico funziona ottimamente per attirare l’attenzione dei lettori. Così, l’intervento serio e documentato di uno scienziato della NASA a un convegno sulla sicurezza planetaria per un sito di news italiano diventa: “La NASA avverte: la Terra si prepari all’estinzione di massa”[5]. E poi, quando si va a leggere l’articolo, si scopre che il ricercatore ha precisato che, in ogni caso, impatti catastrofici come quello che ha portato all’estinzione dei dinosauri sono estremamente rari, ma che se dovesse arrivare un impatto di tale portata la Terra sarebbe totalmente indifesa. Ed è sicuramente un esercizio molto utile confrontare l’articolo italiano con la fonte originale dell’informazione, a partire dal titolo: “La Terra è tristemente impreparata ad affrontare una cometa o un asteroide a sorpresa, avverte uno scienziato della Nasa”[6].
Ma riprendendo, per concludere, la vicenda di Apophis, è ovvio che all’annuncio, fatto da fonti affidabili, che un asteroide aveva un’alta probabilità di impatto con il nostro pianeta in un futuro non molto lontano, vari media (e molti blogger dell’epoca) si lanciarono nella sfida al titolo wow!, mentre la notizia data dal CNEOS il 23 dicembre 2004 era molto chiara e scritta con un tono assolutamente non allarmistico[7].
Questo era l’attacco: «Si prevede che un asteroide di 400 metri recentemente riscoperto passerà vicino alla Terra il 13 aprile 2029. La distanza del sorvolo è incerta e non si può ancora escludere un impatto con la Terra. Le probabilità di impatto, attualmente circa 1 su 300, sono abbastanza insolite da meritare un monitoraggio speciale da parte degli astronomi, ma non dovrebbero destare preoccupazione nel pubblico. È probabile che queste probabilità cambino di giorno in giorno, via via che si ricevono nuovi dati. Con ogni probabilità, la possibilità di un impatto verrà eliminata man mano che l’asteroide continuerà a essere monitorato dagli astronomi di tutto il mondo». E, nell’aggiornamento del giorno successivo, pur davanti a un innalzamento della probabilità di impatto, quindi a un peggioramento della situazione, gli autori comunque concludevano con una frase estremamente rassicurante: «Tuttavia, le probabilità contro l’impatto sono ancora alte, circa 60 a 1 [NdA: il giorno precedente erano 300 a 1], il che significa che c’è una probabilità superiore al 98% che i nuovi dati nei prossimi giorni, settimane e mesi escludano qualsiasi possibilità di impatto nel 2029». Quindi, se proprio volete scoprire a che ora è la fine del mondo, meglio che vi rivolgiate a ESA e NASA anziché al primo sito che vi propongono i motori di ricerca.
La missione serviva a dimostrare che una tecnologia relativamente semplice può essere utilizzata per difendere la Terra dagli impatti degli asteroidi. L'obiettivo principale era infatti testare la tecnica dell'impattatore cinetico, che consiste nell’urto meccanico fra due corpi in movimento, per deviare un asteroide dalla propria orbita usando la sonda stessa come proiettile ad alta velocità senza ricorrere a esplosivi: un piccolo passo, ma sicuramente significativo, nella difesa del nostro pianeta.
Al momento dell’impatto il sistema asteroidale binario composto dal corpo principale Didymos (780 metri di diametro) e dal suo satellite Dimorphos (160 metri di diametro) si trovava a 11 milioni di chilometri dal nostro pianeta, quindi non troppo lontano, in modo da poter osservare gli esiti dell’impatto anche con telescopi terrestri, ma comunque a distanza di sicurezza. Il sistema Didymos-Dimorphos è in effetti classificato come NEO (dall’inglese Near-Earth Object; o anche NEA, dove la A sta per Asteroid), un’espressione che indica tutti quei corpi le cui orbite si trovano a passare vicine a quella della Terra. E non sono pochi.
L'illustrazione mostra la navicella DART, e la piccola sonda italiana LICIACube che la accompagnava, prima dell’impatto con il sistema Didymos-Dimorphos © NASA/Johns Hopkins APL/Steve Gribben
Impatti celebri
È noto che il nostro pianeta ha subito, nel corso della sua lunga storia, collisioni con altri corpi, molti di piccole dimensioni, altri notevoli. Ancora oggi, nonostante i dintorni dell’orbita terrestre siano “puliti”, l’atmosfera della Terra è quotidianamente bombardata da milioni di frammenti per un totale di centinaia di tonnellate di massa, frammenti che hanno le dimensioni tipiche del granello di sabbia (ma alcuni possono andare da pochi millimetri a qualche centimetro) e che danno origine al fenomeno delle meteore, più noto con il nome di “stelle cadenti”.
L’impatto più catastrofico nel passato della Terra è stato senz’altro quello che ha dato origine alla Luna che, secondo la teoria più accreditata, è una vera e propria “costola” del nostro pianeta: circa 50 milioni di anni dopo la formazione del sistema solare (avvenuta attorno a 4,6 miliardi di anni fa), un corpo delle dimensioni di Marte, denominato Theia, colpì il nostro pianeta, ancora caldo, immettendo così in orbita una quantità di materiale sufficiente a dare origine alla Luna.
Molto più di recente, anche se in tempi ancora remoti, l’impatto con un grosso asteroide causò – o comunque innescò – la grande estinzione del Permiano, circa 250 milioni di anni fa. Meno nota dell’estinzione dei dinosauri (avvenuta 65 milioni di anni fa, anch’essa probabilmente innescata da un impatto cosmico), ma di sicuro più disastrosa, l’estinzione del Permiano vide la scomparsa di oltre il 90 per cento delle forme di vita marine e di oltre il 70 per cento di quelle terrestri.
A quell’epoca i continenti della Terra non erano ancora separati e le terre emerse erano unite in un unico grande supercontinente, la Pangea. A causa dei grandi movimenti geologici successivi è quindi praticamente impossibile trovare le tracce dell’immane cratere che l’impatto dell’asteroide, dal diametro stimato di una decina di chilometri, lasciò sulla crosta terrestre. Ma molti crateri da impatto sono ancora ben visibili, come per esempio il Meteor Crater, che si trova nel deserto dell’Arizona, a circa 50 chilometri da Flagstaff. Noto anche come Cratere Barringer, dal nome del geologo Daniel Barringer, che per primo, nel 1906, ne dimostrò l’origine da impatto asteroidale, è uno dei crateri da impatto meglio conservati: circondato da una “corona” di materiale sollevato dall’impatto di 45 metri di altezza, ha un diametro di 1200 metri ed è profondo 170 metri. A generarlo, circa 50.000 anni fa, durante il Pleistocene, fu un meteorite metallico (nickel-ferro) di 50 metri di diametro, che doveva viaggiare a una velocità di diversi chilometri al secondo. L’impatto produsse un’esplosione con un’energia equivalente ad almeno 2,5 milioni di tonnellate di tritolo, pari a circa 150 volte l’energia delle bombe atomiche impiegate a Hiroshima e Nagasaki.
Veduta di Dimorphos creata combinando le ultime 10 immagini a pieno schermo ottenute dalla camera di DART ©NASA/Johns Hopkins APL
Incontri ravvicinati
Al giorno d’oggi, il rischio che la Terra possa essere nuovamente bersaglio di un asteroide non è altissimo, ma non è nemmeno nullo. Per questo motivo esistono molti progetti dedicati alla ricerca e al controllo delle orbite dei NEO. Di questi, nel momento in cui scriviamo, se ne conoscono quasi 32.000[1]. In base alle loro dimensioni (almeno 150 metri di diametro) e ai parametri orbitali (minima distanza dall’orbita terrestre sotto 7,5 milioni di chilometri, 20 volte la distanza media Terra-Luna), alcune migliaia di essi sono classificati come PHO (Potentially Hazardous Object, oggetto potenzialmente pericoloso): è infatti sufficiente una piccola perturbazione gravitazionale perché uno di questi oggetti diventi un proiettile scagliato contro la Terra. Quasi 1500 sono inseriti in uno speciale catalogo, denominato Risk list[2], che raccoglie tutti gli oggetti noti sinora per i quali è stata calcolata una probabilità di impatto non nulla. L’elenco è tenuto continuamente aggiornato dal Near-Earth Object Coordination Centre (NEOCC) dell’Agenzia spaziale europea (ESA), il centro europeo che si occupa del calcolo delle orbite di asteroidi e comete e della loro probabilità di impatto con la Terra.
Nel corso degli anni la Terra ha avuto numerosi incontri ravvicinati con piccoli asteroidi, l’ultimo dei quali è avvenuto il 15 febbraio 2013, quando 367943 Duende (o 2012 DA14, secondo il nome provvisorio dell’epoca), un asteroide di 30 metri di diametro e una massa stimata di 40.000 tonnellate, è passato ad appena 27.700 chilometri da noi, molto meno di un decimo della distanza Terra-Luna. Gli astronomi usano infatti la distanza media Terra-Luna, che è di circa 384.400 chilometri, come unità di misura delle distanze di massimo avvicinamento dei NEO.
A oggi, quello di 2012 DA14 è l’incontro più ravvicinato di un asteroide di quelle dimensioni con il nostro pianeta. Curiosamente, in quello stesso giorno un piccolo asteroide di circa 20 metri di diametro entrò in atmosfera ed esplose a circa 30 chilometri di quota sopra la città russa di Chelyabinsk. L’onda d’urto generata provocò circa 1500 feriti, la maggior parte dei quali a causa delle numerose schegge di vetro prodotte dalla rottura delle finestre. Per inciso, i calcoli delle orbite di Duende e del meteorite di Chelyabinsk hanno poi rivelato che i due eventi erano totalmente indipendenti. Quando si dice il caso…
Ma proprio all’inizio di quest’anno abbiamo avuto uno dei passaggi più ravvicinati mai osservati finora: il 26 gennaio scorso, infatti, l'asteroide 2023 BU - di dimensioni stimate tra i 3,5 e gli 8,5 metri - è passato a soli 3600 chilometri dalla superficie della Terra, quindi ben all'interno dell'orbita dei satelliti geosincroni (che orbitano a una distanza dieci volte maggiore). Se anche avesse impattato con il nostro pianeta, si sarebbe probabilmente trasformato in una palla di fuoco e in gran parte disintegrato nell’atmosfera; tuttavia, alcuni dei detriti più grandi sarebbero potuti cadere come piccoli meteoriti. Questo per dire che, tutto considerato, il rischio che il “cielo ci cada sulla testa”, come teme Abraracourcix, il capo del villaggio gallico di Asterix, è sempre presente, e non è detto che il problema possa essere liquidato con la sua celebre frase: «Che cada è certo, ma di sicuro non domani».
Le Scale Torino e Palermo
Basandosi su modelli e osservazioni, gli astronomi hanno valutato la probabilità di impatto di un asteroide sulla Terra, scoprendo che impatti di oggetti come quello di Chelyabinsk possono verificarsi ogni 70-100 anni, mentre impatti di asteroidi di un chilometro possono verificarsi ogni 500.000 anni circa. È possibile stimare anche la probabilità per un individuo di essere colpito da un meteorite (il meteorite è il frammento che arriva fino al suolo), che è pari a circa 1 su un miliardo nell'arco della vita. Vincere al Superenalotto, dove la probabilità di fare 6 è di 1 su oltre 622 milioni, è molto più facile.
Messa in questi termini, insomma, il rischio non sembra poi così alto. Purtroppo, però, la scoperta di asteroidi pericolosi può avvenire troppo tardi per intervenire. Infatti, gli asteroidi pericolosi sono spesso scoperti solo quando sono già troppo vicini o sono già passati oltre la Terra, perché per essere individuati in anticipo devono trovarsi in una posizione favorevole. Infatti, alcuni asteroidi, come quello di Chelyabinsk, si avvicinano alla Terra dalla direzione del Sole, rendendo impossibile scoprirli in anticipo poiché andrebbero osservati di giorno.
In ogni caso, non tanto per mettersi al riparo (è impossibile, almeno per il momento), quanto per poter almeno classificare gli asteroidi in base al potenziale rischio di impatto, gli astronomi hanno ideato un doppio sistema di valutazione. Così, imitando i geologi che, per valutare un terremoto, impiegano la scala Mercalli, basata sulla fenomenologia osservata, e la scala della magnitudo Richter, basata sull’energia rilasciata dall’evento tellurico, anche gli astronomi hanno creato due scale per la valutazione del rischio da impatto di un NEO con il nostro pianeta. Curiosamente, le due scale prendono il nome di Scala Torino e di Scala Palermo, dalle città dove si sono svolte le conferenze in cui sono state presentate per la prima volta. Mentre la prima è una scala a passi discreti (da 0 a 10) ideata per comunicare con il pubblico i rischi associati a un possibile impatto, la seconda è una scala continua di tipo logaritmico che combina due tipi di dati – la probabilità di impatto e il rendimento cinetico stimato, ovvero il danno causato – in un unico valore di "pericolo", che può anche essere negativo.
Il caso di Apophis
L’esperienza ci dice che i terremoti sono molto più frequenti degli impatti asteroidali. Ma questo non significa che le Scale Torino e Palermo siano un banale esercizio di stile: tutt’altro. La dimostrazione della loro utilità emerse con forza nel 2004, quando si ebbe il serio timore che un asteroide fosse davvero in rotta di collisione con la Terra. L’asteroide si chiama Apophis – Apophis è il nome greco di Apep, una divinità egizia nemica del dio del sole Ra – e la sua storia è emblematica di quello che si deve e non si deve fare in queste circostanze.
Apophis fu scoperto la notte del 19 giugno 2004 da un gruppo di ricercatori del Kitt Peak National Observatory, vicino a Tucson, in Arizona. Il 21 dicembre dello stesso anno, al suo passaggio al perigeo – punto di minima distanza dalla superficie della Terra – si avvicinò a meno di 15 milioni di chilometri: abbastanza vicino rispetto ad altri che si trovano ampiamente a distanze di sicurezza, ma non particolarmente preoccupante. Tuttavia i calcoli preliminari dell’orbita, basati su poche osservazioni ravvicinate, quindi non particolarmente adatte per calcolare una traiettoria precisa, davano per molto probabile un impatto con la Terra. Anche la data era fissata: venerdì 13 aprile 2029 (anche il cielo talvolta gioca brutti scherzi ai superstiziosi!).
Con una probabilità calcolata di impatto del 2,7 % (1 su 37), Apophis è stato il primo e per ora l’unico asteroide a raggiungere, il 27 dicembre 2004, i livelli più alti delle due scale: il livello 1,1 della Scala Palermo e il livello 4 dei 10 previsti dalla Scala Torino. Quello stesso giorno, grazie al recupero di un’osservazione dell’asteroide risalente al 15 marzo, quindi prima dell’effettiva scoperta (gli scienziati chiamano queste osservazioni precovery, contrazione dell’espressione pre-discovery, pre-scoperta), gli astronomi poterono calcolare l’orbita con maggiore precisione, escludendo definitivamente l’impatto del 2029. Ma osservazioni condotte negli anni seguenti spostarono il possibile impatto, seppure molto meno probabile, al 13 aprile 2036, esattamente sette anni dopo, portando l’asteroide al livello 1 della Scala Torino (e a valori negativi della Scala Palermo). Adesso, dopo ulteriori osservazioni prolungate negli anni, sappiamo con certezza che anche questo impatto non avrà luogo e che, anzi, Apophis passerà a una distanza minima maggiore di quella che, in quello stesso anno, separerà la Terra dal pianeta Venere. Apophis insomma non fa più paura, e gli astronomi hanno calcolato che non ha alcuna possibilità di impattare la Terra nei prossimi 100 anni.
Il suo passaggio ravvicinato del 13 aprile 2029 sarà comunque spettacolare e rappresenterà il record di avvicinamento di un asteroide di questa taglia (Apophis ha una dimensione stimata di 370 metri). L’asteroide passerà infatti ad appena 31.600 chilometri dalla superficie terrestre, quindi a una distanza minore dell’anello delle orbite dei satelliti geostazionari e meno di un decimo della distanza media Terra-Luna. Gli astronomi hanno stimato che durante il passaggio l’asteroide diventerà visibile a occhio nudo (se osservato da cieli sufficientemente scuri e limpidi), e anche questa circostanza sarà una prima assoluta. Nessun asteroide di queste dimensioni è mai stato visibile a occhio nudo (l’unico visibile a occhio nudo, in circostanze eccezionali, è Vesta, che si trova nella fascia principale, quella compresa fra le orbite di Marte e Giove).
La storia di Apophis chiarisce molto bene quanto sia difficile calcolare con precisione l’orbita di un asteroide, soprattutto se è di piccole dimensioni. Per il calcolo di un’orbita servono infatti almeno tre osservazioni in tre momenti diversi, e, ovviamente, più sono i punti e maggiore è l’arco descritto, maggiore sarà anche la precisione raggiunta. Purtroppo, però, ogni passaggio ravvicinato con un pianeta (o con un satellite, o un altro asteroide) perturba l’orbita originale, che quindi va ricalcolata. Lo stesso passaggio del 2029 modificherà in maniera significativa l’orbita di Apophis, rendendola meno minacciosa. A contribuire ad alterare l’orbita, seppure in misura nettamente minore rispetto alla forza di gravità, ci sono anche gli effetti connessi all’assorbimento e alla riemissione della radiazione solare. Insomma, prima di annunciare che un asteroide ci cadrà addosso occorre fare molti calcoli, e non è detto che siano sempre affidabili (il risultato dipende dalla precisione con cui sono raccolte le osservazioni).
Da quanto scritto fin qui, si capisce bene inoltre che una sola osservazione – come invece gli sceneggiatori lasciano intuire, per esempio, nel film Deep Impact (1998) o nel più recente Don’t Look Up (2021), dove a minacciare la Terra non è un asteroide, ma una cometa, ancora più imprevedibile – non può dire niente sulla sorte dell’oggetto né su quella del nostro pianeta.
Il cratere Roter Kamm in Namibia. Largo 2,5 chilometri e profondo 130 metri, ha un'età stimata intorno ai 4 milioni e mezzo di anni © Olga Ernst/Hp.Baumeler/CC BY-SA 4.0
Le fonti ufficiali
A chi dobbiamo rivolgerci per essere sempre aggiornati sulla situazione “rischio da impatto di asteroidi”? Agli appassionati di complotti la risposta non piacerà, perché l’elenco completo degli asteroidi minacciosi è pubblico e aggiornato praticamente in tempo reale, e ognuno può andare a consultarlo e valutare l’opportunità di costruirsi o meno un bunker sotterraneo (forse può risultare più utile per difendersi dalla minaccia nucleare). Si trova in una pagina del sito web del Center for Near-Earth Object Studies (CNEOS), l’istituto ospitato presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA, a Pasadena, in California, che si occupa di calcolare le orbite degli asteroidi appena scoperti e di eseguire le analisi a lungo termine di possibili posizioni future di asteroidi pericolosi rispetto alla Terra, in modo da determinare e avvertire di qualsiasi rischio di impatto[3]. È quindi il CNEOS a calcolare il tempo e la posizione dell'impatto nel caso di una minaccia di impatto prevista.
Il sistema di calcolo dei rischi si chiama Sentry, e, come si legge sulla pagina di presentazione, «è un sistema di monitoraggio delle collisioni altamente automatizzato che scansiona continuamente il catalogo più aggiornato di asteroidi per verificare la possibilità di futuri impatti con la Terra nei prossimi 100 anni. Ogni volta che viene rilevato un potenziale impatto, questo viene analizzato e i risultati vengono immediatamente pubblicati qui, tranne in casi insoliti in cui cerchiamo una conferma indipendente. È normale che, man mano che si rendono disponibili ulteriori osservazioni, gli oggetti spariscano da questa tabella quando non ci sono più potenziali impatti rilevati. Per questo motivo manteniamo un elenco degli oggetti rimossi con la data di rimozione». In testa alla speciale classifica degli asteroidi minacciosi – ma non così tanto da superare il livello 0 della Scala Torino – troviamo 101955 Bennu, l’asteroide visitato dalla sonda OSIRIS-REx della NASA, dalla cui superficie ha raccolto un campione di materiale che tornerà sulla Terra il 24 settembre 2023.
La caccia agli asteroidi pericolosi viene tipicamente condotta attraverso sistemi telescopici robotizzati che scandagliano continuamente il cielo ogni notte, come quelli della Catalina Sky Survey (CSS), in Arizona, o della Pan-STARRS (Panoramic Survey Telescope And Rapid Response System), alle Hawaii, coadiuvati da una fitta rete mondiale di osservatori amatoriali, di cui molti anche in Italia. La scoperta viene sempre annunciata pubblicamente, con i nomi degli scopritori, l’elenco delle osservazioni (sia quella di scoperta che quelle di conferma), i dati orbitali preliminari e altre informazioni, sulle celebri circolari[4] del Minor Planet Center (MPC), che opera sotto il mandato dell’Unione Astronomica Internazionale e si trova presso lo Smithsonian Astrophysical Observatory, a Cambridge (Massachusetts, Stati Uniti). Le circolari, denominate Minor Planet Electronic Circular (MPEC), sono quindi la fonte primaria su cui informarsi di ogni nuova scoperta di un asteroide o di una cometa.
Il motivo per cui questi dati sono messi subito a disposizione di tutti è perché si possano avere nel più breve tempo possibile conferme indipendenti da parte di altri osservatori e si possano aggiungere osservazioni in modo da tracciare con la maggior precisione possibile l’arco dell’orbita. Perché è così che funziona – o, almeno, dovrebbe funzionare – la scienza: gli scopritori pubblicano i dati delle loro osservazioni perché chiunque possa confermarle, o eventualmente smentirle, con altre osservazioni.
L’illustrazione mostra la sonda OSIRIS-REx della NASA mentre preleva campioni dell’asteroide Bennu. Ad aprile 2022 la missione è stata estesa per studiare l'asteroide 99942 Apophis a partire dal 2029, quando passerà vicino alla Terra © NASA/Goddard/University of Arizona
A che ora è la fine del mondo?
Come abbiamo visto, quindi, il modo per informarsi in questo ambito da fonti certe e autorevoli esiste, ed è semplicissimo. Nonostante questo, annunci di possibili impatti per il nostro pianeta, magari conditi con tutto l’apparato di devastazioni a cui ci ha abituato il fortunato filone dei film catastrofici e post-apocalittici, dove non mancano mai conseguenze disastrose per la nostra specie, si susseguono periodicamente sui media tradizionali e digitali. D’altra parte sappiamo bene che un titolo sensazionalistico funziona ottimamente per attirare l’attenzione dei lettori. Così, l’intervento serio e documentato di uno scienziato della NASA a un convegno sulla sicurezza planetaria per un sito di news italiano diventa: “La NASA avverte: la Terra si prepari all’estinzione di massa”[5]. E poi, quando si va a leggere l’articolo, si scopre che il ricercatore ha precisato che, in ogni caso, impatti catastrofici come quello che ha portato all’estinzione dei dinosauri sono estremamente rari, ma che se dovesse arrivare un impatto di tale portata la Terra sarebbe totalmente indifesa. Ed è sicuramente un esercizio molto utile confrontare l’articolo italiano con la fonte originale dell’informazione, a partire dal titolo: “La Terra è tristemente impreparata ad affrontare una cometa o un asteroide a sorpresa, avverte uno scienziato della Nasa”[6].
Ma riprendendo, per concludere, la vicenda di Apophis, è ovvio che all’annuncio, fatto da fonti affidabili, che un asteroide aveva un’alta probabilità di impatto con il nostro pianeta in un futuro non molto lontano, vari media (e molti blogger dell’epoca) si lanciarono nella sfida al titolo wow!, mentre la notizia data dal CNEOS il 23 dicembre 2004 era molto chiara e scritta con un tono assolutamente non allarmistico[7].
Questo era l’attacco: «Si prevede che un asteroide di 400 metri recentemente riscoperto passerà vicino alla Terra il 13 aprile 2029. La distanza del sorvolo è incerta e non si può ancora escludere un impatto con la Terra. Le probabilità di impatto, attualmente circa 1 su 300, sono abbastanza insolite da meritare un monitoraggio speciale da parte degli astronomi, ma non dovrebbero destare preoccupazione nel pubblico. È probabile che queste probabilità cambino di giorno in giorno, via via che si ricevono nuovi dati. Con ogni probabilità, la possibilità di un impatto verrà eliminata man mano che l’asteroide continuerà a essere monitorato dagli astronomi di tutto il mondo». E, nell’aggiornamento del giorno successivo, pur davanti a un innalzamento della probabilità di impatto, quindi a un peggioramento della situazione, gli autori comunque concludevano con una frase estremamente rassicurante: «Tuttavia, le probabilità contro l’impatto sono ancora alte, circa 60 a 1 [NdA: il giorno precedente erano 300 a 1], il che significa che c’è una probabilità superiore al 98% che i nuovi dati nei prossimi giorni, settimane e mesi escludano qualsiasi possibilità di impatto nel 2029». Quindi, se proprio volete scoprire a che ora è la fine del mondo, meglio che vi rivolgiate a ESA e NASA anziché al primo sito che vi propongono i motori di ricerca.