Dall’avvento dei primi radiotelescopi, gli astronomi cercano evidenze di segnali intelligenti extraterrestri. A questo scopo, i vari progetti SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence) raccolgono e analizzano segnali radio in mezzo al rumore cosmico, sia in parallelo ad altre osservazioni, sia in modo mirato. Finora, però, questi tentativi non hanno dato frutti. A causa delle enormi distanze in gioco, infatti, è praticamente impossibile rilevare segnali che non siano rivolti verso di noi, intenzionalmente o casualmente. Da qui l’idea di intervenire sulle trasmissioni inviando segnali diretti verso potenziali pianeti abitabili, il cosiddetto METI (Messaging to Extraterrestrial Intelligence).
Un primo tentativo in questo senso è stato effettuato nel 1975 con il radiotelescopio portoricano di Arecibo, la cui enorme antenna di 300 metri di diametro inviò un’immagine di 1679 pixel contenente la formula chimica del DNA e qualche disegno stilizzato. Tuttavia, poiché si trattava di un messaggio diretto a un ammasso globulare distante 25.000 anni luce, per scoprire se l’esperimento avrà avuto esito positivo bisognerà pazientare 50.000 anni.
Il messaggio di Arecibo ha aperto la strada a quelli trasmessi nel 1999, 2001, 2003 e 2008 dal radiotelescopio (e radar planetario) di Yevpatoria, in Crimea, in direzione di potenziali sistemi planetari abitati a qualche decina di anni luce dalla Terra. Queste trasmissioni usano un linguaggio grafico ideato dagli scienziati canadesi Yvan Dutil e Stéphane Dumas, in cui ogni messaggio è costituito da una serie di immagini (pagine), dove gruppi di 5x7 pixel compongono simboli che rappresentano una cifra numerica, un’operazione matematica o altre entità. Si tratta di messaggi autoesplicativi, in cui il significato delle icone è illustrato usando relazioni matematiche via via più complesse e quantità fisiche universali.
Due anni fa, dopo oltre mezzo secolo di attività, il telescopio di Arecibo è crollato e si è deciso di non ricostruirlo. Al momento, quindi, rimangono pochi altri radiotelescopi in grado di trasmettere un segnale altrettanto potente del suo. In Cina, per esempio, è operativo FAST, dotato di un diametro di 500 metri, ma privo di un trasmettitore. Nonostante questo, sulla rivista scientifica Galaxies recentemente è stata pubblicata un’iniziativa di alcuni astronomi cinesi e statunitensi per riprendere l’invio di comunicazioni utilizzando questa antenna.[1] Il messaggio proposto, battezzato Beacon in the Galaxy (Faro nella galassia), è sostanzialmente lo stesso inviato da Yevpatoria, utilizza il medesimo alfabeto grafico e include disegni della superficie della Terra e degli esseri umani, oltre alle coordinate galattiche del nostro pianeta. Il messaggio chiude con una serie di domande rivolte agli ipotetici destinatari e l’invito a contattarci. Secondo gli autori dell’articolo, in futuro telescopi via via più potenti saranno posti sulla parte nascosta della Luna e trasmetteranno messaggi sempre più complessi, in attesa di eventuali risposte.
Ma per quanto questa ricerca sia stata in parte finanziata dal Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA, non c’è nessun progetto concreto finalizzato all’invio di questi messaggi, e il fatto che non sia stato proposto l’utilizzo degli unici radiotelescopi in grado di trasmettere un segnale abbastanza potente – gestiti proprio dal JPL – è significativo. La soluzione sarebbe quella di dotare di trasmettitori il radiotelescopio FAST o altri radiotelescopi dedicati al SETI; operazione, però, considerevolmente costosa.
Il messaggio è stato anche criticato nei contenuti, poiché usa la base 10, le nostre unità di misura e le conoscenze attuali di cosmologia: tutti concetti familiari per un umano, ma meno per un alieno. Per esempio, l’immagine di un uomo e una donna, per quanto artisticamente accattivante, non risulta molto comprensibile a chi non abbia mai visto degli esseri umani.
A prescindere da tutto questo, però, viene da chiedersi se mandare un messaggio per cercare prove di segnali intelligenti extraterrestri sia davvero una buona idea. Mentre ascoltare le conversazioni altrui non pone grossi rischi, gridare ai quattro venti: «Siamo qui!» potrebbe attirare attenzioni indesiderate, dal momento che non sappiamo chi o cosa ci sia là fuori.
Lo scrittore di fantascienza Liu Cixin ha coniato l’espressione dark forest (selva oscura), per descrivere la nostra situazione: in una selva oscura, in cui non si sentono rumori, è meglio stare quieti, poiché chi si fa sentire viene mangiato o assalito da indigeni ostili.
A tale proposito, diversi scienziati si sono pronunciati contro l’invio di queste comunicazioni senza un’adeguata discussione pubblica: un argomento a cui gli autori dell’articolo ribattono che una civiltà abbastanza avanzata da stabilire comunicazioni interstellari avrà anche raggiunto livelli di cooperazione e mutua comprensione tali da comprendere l’importanza della pace e della collaborazione.
Un primo tentativo in questo senso è stato effettuato nel 1975 con il radiotelescopio portoricano di Arecibo, la cui enorme antenna di 300 metri di diametro inviò un’immagine di 1679 pixel contenente la formula chimica del DNA e qualche disegno stilizzato. Tuttavia, poiché si trattava di un messaggio diretto a un ammasso globulare distante 25.000 anni luce, per scoprire se l’esperimento avrà avuto esito positivo bisognerà pazientare 50.000 anni.
Il messaggio di Arecibo ha aperto la strada a quelli trasmessi nel 1999, 2001, 2003 e 2008 dal radiotelescopio (e radar planetario) di Yevpatoria, in Crimea, in direzione di potenziali sistemi planetari abitati a qualche decina di anni luce dalla Terra. Queste trasmissioni usano un linguaggio grafico ideato dagli scienziati canadesi Yvan Dutil e Stéphane Dumas, in cui ogni messaggio è costituito da una serie di immagini (pagine), dove gruppi di 5x7 pixel compongono simboli che rappresentano una cifra numerica, un’operazione matematica o altre entità. Si tratta di messaggi autoesplicativi, in cui il significato delle icone è illustrato usando relazioni matematiche via via più complesse e quantità fisiche universali.
Due anni fa, dopo oltre mezzo secolo di attività, il telescopio di Arecibo è crollato e si è deciso di non ricostruirlo. Al momento, quindi, rimangono pochi altri radiotelescopi in grado di trasmettere un segnale altrettanto potente del suo. In Cina, per esempio, è operativo FAST, dotato di un diametro di 500 metri, ma privo di un trasmettitore. Nonostante questo, sulla rivista scientifica Galaxies recentemente è stata pubblicata un’iniziativa di alcuni astronomi cinesi e statunitensi per riprendere l’invio di comunicazioni utilizzando questa antenna.[1] Il messaggio proposto, battezzato Beacon in the Galaxy (Faro nella galassia), è sostanzialmente lo stesso inviato da Yevpatoria, utilizza il medesimo alfabeto grafico e include disegni della superficie della Terra e degli esseri umani, oltre alle coordinate galattiche del nostro pianeta. Il messaggio chiude con una serie di domande rivolte agli ipotetici destinatari e l’invito a contattarci. Secondo gli autori dell’articolo, in futuro telescopi via via più potenti saranno posti sulla parte nascosta della Luna e trasmetteranno messaggi sempre più complessi, in attesa di eventuali risposte.
Ma per quanto questa ricerca sia stata in parte finanziata dal Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA, non c’è nessun progetto concreto finalizzato all’invio di questi messaggi, e il fatto che non sia stato proposto l’utilizzo degli unici radiotelescopi in grado di trasmettere un segnale abbastanza potente – gestiti proprio dal JPL – è significativo. La soluzione sarebbe quella di dotare di trasmettitori il radiotelescopio FAST o altri radiotelescopi dedicati al SETI; operazione, però, considerevolmente costosa.
Il messaggio è stato anche criticato nei contenuti, poiché usa la base 10, le nostre unità di misura e le conoscenze attuali di cosmologia: tutti concetti familiari per un umano, ma meno per un alieno. Per esempio, l’immagine di un uomo e una donna, per quanto artisticamente accattivante, non risulta molto comprensibile a chi non abbia mai visto degli esseri umani.
A prescindere da tutto questo, però, viene da chiedersi se mandare un messaggio per cercare prove di segnali intelligenti extraterrestri sia davvero una buona idea. Mentre ascoltare le conversazioni altrui non pone grossi rischi, gridare ai quattro venti: «Siamo qui!» potrebbe attirare attenzioni indesiderate, dal momento che non sappiamo chi o cosa ci sia là fuori.
Lo scrittore di fantascienza Liu Cixin ha coniato l’espressione dark forest (selva oscura), per descrivere la nostra situazione: in una selva oscura, in cui non si sentono rumori, è meglio stare quieti, poiché chi si fa sentire viene mangiato o assalito da indigeni ostili.
A tale proposito, diversi scienziati si sono pronunciati contro l’invio di queste comunicazioni senza un’adeguata discussione pubblica: un argomento a cui gli autori dell’articolo ribattono che una civiltà abbastanza avanzata da stabilire comunicazioni interstellari avrà anche raggiunto livelli di cooperazione e mutua comprensione tali da comprendere l’importanza della pace e della collaborazione.
Note
1) Jiang H. Jonathan e al. "A Beacon in the Galaxy: Updated Arecibo Message for Potential FAST and SETI Projects", in Galaxies 2022, 10(2), 55.