Può una breve raccolta di prodigi scritta in latino intorno all’inizio del V secolo dell’età volgare (e.v.) essere utile per la ricerca planetologica e, in particolare, per identificare una serie di cadute di meteoriti altrimenti sconosciute in letteratura scientifica? È quanto pensano Giovanni Pratesi, professore associato di mineralogia all’Università degli Studi di Firenze e l’antropologa Annarita Franza in un articolo, di recente pubblicato su Meteoritics & Planetary Science, dedicato al Prodigiorum liber di Giulio Ossequente[1].
Questo è, dicevamo, una raccolta di prodigi accaduti fra il 190 e l’11 avanti età volgare (a.e.v.). Di vario tipo: fulmini che colpiscono templi, piogge di pietre, piogge di sangue, lance di statue che si muovono, fiamme in cielo, epidemie ecc. Per realizzarla, Ossequente utilizzò l’Ab urbe condita libri CXLII, l’opera storiografica di Tito Livio (59 a.e.v. - 17 e.v.) che andava dalla fondazione di Roma alla morte di Druso (9 a.e.v.), anche i libri non sopravvissuti fino a noi. Infatti, già quasi da subito, l'opera liviana era stata oggetto di “epitomi” - compendi - come è anche l’opera del nostro autore, in grado di renderla più maneggiabile: con la conseguenza, però, che nei secoli successivi tre quarti dell’opera sono andati perduti.
Dell’autore non sappiamo nulla. Si ritiene ora che possa essere vissuto a cavallo del 400 e.v., negli anni in cui a Roma si assisteva a una riscoperta dell’opera liviana e che potesse essere un pagano che, nei decenni che seguirono l’editto di Tessalonica del 380 con la dichiarazione del cristianesimo religione di stato, scrisse il suo libro in un’implicita chiave anti-cristiana.
Il manoscritto che ne conservava l’unico testimone fu riscoperto, durante il suo soggiorno in terra francese tra il 1495 e il 1506, dal frate domenicano veronese Giovanni Giocondo (c. 1433-1515) presso l’abbazia parigina (di canonici regolari) di San Vittore. Oltre all’allora sconosciuto testo di Ossequente conteneva fra le altre opere anche una versione integrale delle lettere di Plinio il Giovane che lo rendeva prezioso per gli umanisti. Nel novembre del 1508 fu pubblicato per la prima volta dallo stampatore veneziano Aldo Manuzio (1449/1452-1515) che ne aveva avuto una copia da Giocondo e a cui, successivamente, era stato anche affidato da colui che l’aveva acquistato, il mercante Alvise Mocenigo (1480-1541), allora ambasciatore della Serenissima presso la corte di Luigi XII[2].
Solo poi nel 1552 il testo del nostro autore fu stampato, a Basilea, separatamente dalle altre opere che comparivano in quel manoscritto, ormai peraltro scomparso: insieme ad esso l’umanista tedesco Conrad Lycosthenes (pseudonimo di Konrad Wolfhart, 1518-1561) pubblicava però altre due opere dedicate ai prodigi, il De Prodigiis [1531] di Polidoro Virgili (1470-1555) e il De Ostentis di Joachim Camerarius “il vecchio” (1500-1574). Soprattutto, però, Lycosthenes “completò” il lavoro di Ossequente a partire dai tempi di Romolo.
È a questo lavoro che un paio di anni più tardi si ispirò il fiorentino Damiano Maraffi per la prima traduzione in lingua italiana del Prodigiorum liber. Il De’ prodigii apparso a Lione nel 1554, infatti, presentava, oltre all’opera di Virgili, anche le giunte di Lycosthenes[3]. Bisognerà poi attendere il 1976 per vederne un’altra versione in lingua italiana, Il libro dei prodigi, ancora con i “supplementi” dell’autore tedesco e il merito fu dell’ambiente ufologico che si ritrovava intorno al fiorentino Giornale dei Misteri: pubblicata infatti dalla stessa casa editrice, la Corrado Tedeschi, nella collana “I libri dell’ignoto”, era opera di un insegnante di lettere delle scuole medie allora poco più che cinquantenne, Solas Boncompagni (1922-2017), che a fine anni '50 aveva dato vita a una piccola associazione ufologica toscana infine divenuta, nel 1968, la nota e ancora in un qualche modo esistente “Sezione Ufologica Fiorentina” (SUF)[4]. Nel 1992 sempre la versione di Boncompagni fu ripubblicata nella collana “Biblioteca dei misteri” delle romane Edizioni Mediterranee.
Solo nel nuovo millennio, infine, il testo di Ossequente è stato invece accolto nelle ordinarie collane italiane di classici greci e latini: prima, da Mondadori, nel 2005, con traduzione e note di Massimo Gusso su testo critico stabilito da Paolo Mastandrea. Poi, nel 2017, per Rusconi, con introduzione, traduzione e note di Mariella Tixi e un saggio di Silvana Rocchi.
“[L’]importanza degli eventi astronomici nel passato, specialmente quelli di età remote” - scriveva nel 1978 l’astrofisico Umberto Dall’Olmo (1925-1980) - “è dimostrata dai molti articoli recentemente pubblicati”[5]. È all’interno della tradizione di ricerca di cui quarant’anni fa lo storico dell’astronomia bolognese notava il fiorire dell’interesse che si colloca l’intervento di Franza e Pratesi. Una tradizione di ricerca che, come in questo caso, ha coinvolto più studiosi di “scienze dure” che classicisti e medievisti (come del resto sembrano indicare le riviste scelte nel corso del tempo per le pubblicazioni).
Per i due autori, “[i]l Liber Prodigiorum è un archivio di informazioni su antiche osservazioni di meteore / bolidi / superbolidi / aurore”. Sono presenti anche quelle che ritengono di poter classificare come “cadute di meteoriti”, che sono il centro del loro interesse: secondo la loro interpretazione è possibile identificarvi sei nuove cadute italiane di meteoriti non attualmente comprese nel registro internazionale di questi eventi, il Meteoritical Bulletin Database.
Attraverso un “approccio combinato storico e scientifico” un certo numero di prodigi avvenuti fra il 188 e il 17 a.e.v. riportati da Ossequente sono infatti attribuibili a meteore (o al limite ad aurore polari) e meteoriti. Il numero esatto non è chiarissimo nel testo; da un nostro conteggio si tratterebbe di 22 eventi registrati in 19 diversi anni: di questi 15 si riferiscono ad eventi sull'Italia centrale, uno in Gallia, 6 in località non specificata (ma probabilmente sulla penisola). Nel loro catalogo ci sono ad esempio gli eventi del 102 e del 94 a.e.v., delle piogge di pietre, rispettivamente in Etruria e nel territorio dei Vestini, nell’attuale Abruzzo. Oppure “il globo infuocato e fulgido come l’oro” (trad. Gusso) di Spoleto del 91 a.e.v.
Quello di Franza e Pratesi è certamente un articolo interessante. È però necessario sottolineare alcune questioni problematiche che avrebbero forse dovuto essere sollevate durante la revisione paritaria che ha preceduto la pubblicazione in modo da permettere agli autori di tenerne conto.
Prima di tutto, i due studiosi sono consapevoli che interpretare attraverso le categorie attuali quegli antichi resoconti è complicato, a causa del diverso contesto “storico, culturale e geografico” in cui l’evento è stato osservato e narrato. Scelgono però, ad esempio, di non discutere se un particolare prodigio è “realmente avvenuto o meno”, in quanto la cosa solleva “questioni storiche, sociologiche e religiose, che vanno oltre lo scopo dell’articolo”. Anche quando la cosa sarebbe rilevante per la loro analisi. Nel notare che il numero di possibili meteoriti registrate per quasi un secolo da Ossequente in Italia centrale è 2-4 volte più elevato rispetto ai calcoli che si possono fare per l’Ottocento e il Novecento, due sono le ipotesi che si trovano ad avanzare: o che il flusso di impatti fosse effettivamente allora più elevato, oppure che “data l’importanza religiosa e politica, alcune comunità o individui potrebbero aver costruito falsi rapporti di pietre cadute dal cielo”, un’ipotesi che andrebbe però suffragata attraverso gli strumenti analitici e interpretativi sviluppati da classicisti, storici e antropologi.
Curiosamente, poi, nella revisione della letteratura precedente sembrano essere sfuggiti due articoli apparsi su WGN, la rivista dell’International Meteor Organization (IMO) fra il 2006 e il 2008: rispettivamente uno di Andrei Dorian Gheorghe e di Alastair McBeath e un altro del solo McBeath[6], cosa ancora più sorprendente perché invece gli autori italiani utilizzano un precedente articolo della stessa serie del primo, risultato del progetto di ricerca dei due astrofili sulle credenze del passato relative alle meteore (il Meteor Beliefs Project). In quello del 2015 Gheorghe e McBeath avevano pubblicato un “catalogo annotato di eventi a meteore, meteoriti e forse collegati” avvenuti fra il 671 e il 17 a.e.v., estratti da Livio e Ossequente, con commenti dei due studiosi che chiariscono come interpretano il prodigio: dei 22 eventi registrati da Franza e Pratesi, 17 appaiono anche nel catalogo di Gheorghe e McBeath, che per il periodo coperto solo da Ossequente ne registrano altri che invece i due autori italiani hanno implicitamente o esplicitamente scartato (è il caso delle piogge di pietre per più giorni consecutivi del 125 e del 91 a.e.v. per le quali Franza e Pratesi ritengono probabile l’ipotesi vulcanica e che, peraltro, anche l’articolo su WGN propone di non considerare di origine astronomica). E al lettore che ha di fronte entrambi gli articoli rimane la curiosità di capire le ragioni delle diverse valutazioni.
Nel secondo articolo, invece, McBeath si dedica a un’analisi degli eventi estratti da Livio e Ossequente per il periodo 218-87 a.e.v. giungendo alla conclusione, per gli eventi che più verosimilmente sono di natura meteorica, che “sono probabilmente comparabili in natura, quantità e frequenza con quanto ci si potrebbe aspettare modernamente”. Come poi in Franza e Pratesi, una parte dell’analisi è dedicata anche alle possibili meteoriti: per l’autore inglese il numero di eventi di “piogge di pietra” registrate negli ultimi due secoli a.e.v. è indice o del fatto che, come per gli autori italiani, il flusso di meteoriti fosse assai più elevato rispetto ad ora oppure che la maggior parte di questi eventi non fossero dovuti a meteoriti (e, implicitamente, che quindi è necessario valutare criticamente descrizioni di quel tipo prima di inserirle in catalogo). Per McBeath quella più plausibile è, infatti, la pietra che Livio registra come caduta a Crustumerium in Lazio nel 177 a.e.v., assente in Ossequente per una lacuna.
In definitiva, comunque, l’articolo di Franza e Pratesi ha il merito di richiamare ancora una volta l’attenzione sull’utilizzo delle fonti del passato nella ricostruzione di fenomeni naturali occasionali come appunto meteore, meteoriti, aurore etc. La speranza è che sia utile a stimolare un dibattito sull’interpretazione di questo genere di materiale che coinvolga però, oltre agli studiosi dei fenomeni che si vanno a cercare, anche classicisti, storici delle religioni, antropologi del mondo antico. Solo così, forse, riusciremo a “far parlare” il più possibile quei testi (senza correre il rischio, sempre in agguato, di tradirli) attraverso il complesso di conoscenze che diverse discipline hanno, in maniera interdisciplinare o meno, elaborato nel corso del tempo, sul mondo antico e sulla natura.
Questo è, dicevamo, una raccolta di prodigi accaduti fra il 190 e l’11 avanti età volgare (a.e.v.). Di vario tipo: fulmini che colpiscono templi, piogge di pietre, piogge di sangue, lance di statue che si muovono, fiamme in cielo, epidemie ecc. Per realizzarla, Ossequente utilizzò l’Ab urbe condita libri CXLII, l’opera storiografica di Tito Livio (59 a.e.v. - 17 e.v.) che andava dalla fondazione di Roma alla morte di Druso (9 a.e.v.), anche i libri non sopravvissuti fino a noi. Infatti, già quasi da subito, l'opera liviana era stata oggetto di “epitomi” - compendi - come è anche l’opera del nostro autore, in grado di renderla più maneggiabile: con la conseguenza, però, che nei secoli successivi tre quarti dell’opera sono andati perduti.
Dell’autore non sappiamo nulla. Si ritiene ora che possa essere vissuto a cavallo del 400 e.v., negli anni in cui a Roma si assisteva a una riscoperta dell’opera liviana e che potesse essere un pagano che, nei decenni che seguirono l’editto di Tessalonica del 380 con la dichiarazione del cristianesimo religione di stato, scrisse il suo libro in un’implicita chiave anti-cristiana.
Il manoscritto che ne conservava l’unico testimone fu riscoperto, durante il suo soggiorno in terra francese tra il 1495 e il 1506, dal frate domenicano veronese Giovanni Giocondo (c. 1433-1515) presso l’abbazia parigina (di canonici regolari) di San Vittore. Oltre all’allora sconosciuto testo di Ossequente conteneva fra le altre opere anche una versione integrale delle lettere di Plinio il Giovane che lo rendeva prezioso per gli umanisti. Nel novembre del 1508 fu pubblicato per la prima volta dallo stampatore veneziano Aldo Manuzio (1449/1452-1515) che ne aveva avuto una copia da Giocondo e a cui, successivamente, era stato anche affidato da colui che l’aveva acquistato, il mercante Alvise Mocenigo (1480-1541), allora ambasciatore della Serenissima presso la corte di Luigi XII[2].
Solo poi nel 1552 il testo del nostro autore fu stampato, a Basilea, separatamente dalle altre opere che comparivano in quel manoscritto, ormai peraltro scomparso: insieme ad esso l’umanista tedesco Conrad Lycosthenes (pseudonimo di Konrad Wolfhart, 1518-1561) pubblicava però altre due opere dedicate ai prodigi, il De Prodigiis [1531] di Polidoro Virgili (1470-1555) e il De Ostentis di Joachim Camerarius “il vecchio” (1500-1574). Soprattutto, però, Lycosthenes “completò” il lavoro di Ossequente a partire dai tempi di Romolo.
È a questo lavoro che un paio di anni più tardi si ispirò il fiorentino Damiano Maraffi per la prima traduzione in lingua italiana del Prodigiorum liber. Il De’ prodigii apparso a Lione nel 1554, infatti, presentava, oltre all’opera di Virgili, anche le giunte di Lycosthenes[3]. Bisognerà poi attendere il 1976 per vederne un’altra versione in lingua italiana, Il libro dei prodigi, ancora con i “supplementi” dell’autore tedesco e il merito fu dell’ambiente ufologico che si ritrovava intorno al fiorentino Giornale dei Misteri: pubblicata infatti dalla stessa casa editrice, la Corrado Tedeschi, nella collana “I libri dell’ignoto”, era opera di un insegnante di lettere delle scuole medie allora poco più che cinquantenne, Solas Boncompagni (1922-2017), che a fine anni '50 aveva dato vita a una piccola associazione ufologica toscana infine divenuta, nel 1968, la nota e ancora in un qualche modo esistente “Sezione Ufologica Fiorentina” (SUF)[4]. Nel 1992 sempre la versione di Boncompagni fu ripubblicata nella collana “Biblioteca dei misteri” delle romane Edizioni Mediterranee.
Solo nel nuovo millennio, infine, il testo di Ossequente è stato invece accolto nelle ordinarie collane italiane di classici greci e latini: prima, da Mondadori, nel 2005, con traduzione e note di Massimo Gusso su testo critico stabilito da Paolo Mastandrea. Poi, nel 2017, per Rusconi, con introduzione, traduzione e note di Mariella Tixi e un saggio di Silvana Rocchi.
“[L’]importanza degli eventi astronomici nel passato, specialmente quelli di età remote” - scriveva nel 1978 l’astrofisico Umberto Dall’Olmo (1925-1980) - “è dimostrata dai molti articoli recentemente pubblicati”[5]. È all’interno della tradizione di ricerca di cui quarant’anni fa lo storico dell’astronomia bolognese notava il fiorire dell’interesse che si colloca l’intervento di Franza e Pratesi. Una tradizione di ricerca che, come in questo caso, ha coinvolto più studiosi di “scienze dure” che classicisti e medievisti (come del resto sembrano indicare le riviste scelte nel corso del tempo per le pubblicazioni).
Per i due autori, “[i]l Liber Prodigiorum è un archivio di informazioni su antiche osservazioni di meteore / bolidi / superbolidi / aurore”. Sono presenti anche quelle che ritengono di poter classificare come “cadute di meteoriti”, che sono il centro del loro interesse: secondo la loro interpretazione è possibile identificarvi sei nuove cadute italiane di meteoriti non attualmente comprese nel registro internazionale di questi eventi, il Meteoritical Bulletin Database.
Attraverso un “approccio combinato storico e scientifico” un certo numero di prodigi avvenuti fra il 188 e il 17 a.e.v. riportati da Ossequente sono infatti attribuibili a meteore (o al limite ad aurore polari) e meteoriti. Il numero esatto non è chiarissimo nel testo; da un nostro conteggio si tratterebbe di 22 eventi registrati in 19 diversi anni: di questi 15 si riferiscono ad eventi sull'Italia centrale, uno in Gallia, 6 in località non specificata (ma probabilmente sulla penisola). Nel loro catalogo ci sono ad esempio gli eventi del 102 e del 94 a.e.v., delle piogge di pietre, rispettivamente in Etruria e nel territorio dei Vestini, nell’attuale Abruzzo. Oppure “il globo infuocato e fulgido come l’oro” (trad. Gusso) di Spoleto del 91 a.e.v.
Quello di Franza e Pratesi è certamente un articolo interessante. È però necessario sottolineare alcune questioni problematiche che avrebbero forse dovuto essere sollevate durante la revisione paritaria che ha preceduto la pubblicazione in modo da permettere agli autori di tenerne conto.
Prima di tutto, i due studiosi sono consapevoli che interpretare attraverso le categorie attuali quegli antichi resoconti è complicato, a causa del diverso contesto “storico, culturale e geografico” in cui l’evento è stato osservato e narrato. Scelgono però, ad esempio, di non discutere se un particolare prodigio è “realmente avvenuto o meno”, in quanto la cosa solleva “questioni storiche, sociologiche e religiose, che vanno oltre lo scopo dell’articolo”. Anche quando la cosa sarebbe rilevante per la loro analisi. Nel notare che il numero di possibili meteoriti registrate per quasi un secolo da Ossequente in Italia centrale è 2-4 volte più elevato rispetto ai calcoli che si possono fare per l’Ottocento e il Novecento, due sono le ipotesi che si trovano ad avanzare: o che il flusso di impatti fosse effettivamente allora più elevato, oppure che “data l’importanza religiosa e politica, alcune comunità o individui potrebbero aver costruito falsi rapporti di pietre cadute dal cielo”, un’ipotesi che andrebbe però suffragata attraverso gli strumenti analitici e interpretativi sviluppati da classicisti, storici e antropologi.
Curiosamente, poi, nella revisione della letteratura precedente sembrano essere sfuggiti due articoli apparsi su WGN, la rivista dell’International Meteor Organization (IMO) fra il 2006 e il 2008: rispettivamente uno di Andrei Dorian Gheorghe e di Alastair McBeath e un altro del solo McBeath[6], cosa ancora più sorprendente perché invece gli autori italiani utilizzano un precedente articolo della stessa serie del primo, risultato del progetto di ricerca dei due astrofili sulle credenze del passato relative alle meteore (il Meteor Beliefs Project). In quello del 2015 Gheorghe e McBeath avevano pubblicato un “catalogo annotato di eventi a meteore, meteoriti e forse collegati” avvenuti fra il 671 e il 17 a.e.v., estratti da Livio e Ossequente, con commenti dei due studiosi che chiariscono come interpretano il prodigio: dei 22 eventi registrati da Franza e Pratesi, 17 appaiono anche nel catalogo di Gheorghe e McBeath, che per il periodo coperto solo da Ossequente ne registrano altri che invece i due autori italiani hanno implicitamente o esplicitamente scartato (è il caso delle piogge di pietre per più giorni consecutivi del 125 e del 91 a.e.v. per le quali Franza e Pratesi ritengono probabile l’ipotesi vulcanica e che, peraltro, anche l’articolo su WGN propone di non considerare di origine astronomica). E al lettore che ha di fronte entrambi gli articoli rimane la curiosità di capire le ragioni delle diverse valutazioni.
Nel secondo articolo, invece, McBeath si dedica a un’analisi degli eventi estratti da Livio e Ossequente per il periodo 218-87 a.e.v. giungendo alla conclusione, per gli eventi che più verosimilmente sono di natura meteorica, che “sono probabilmente comparabili in natura, quantità e frequenza con quanto ci si potrebbe aspettare modernamente”. Come poi in Franza e Pratesi, una parte dell’analisi è dedicata anche alle possibili meteoriti: per l’autore inglese il numero di eventi di “piogge di pietra” registrate negli ultimi due secoli a.e.v. è indice o del fatto che, come per gli autori italiani, il flusso di meteoriti fosse assai più elevato rispetto ad ora oppure che la maggior parte di questi eventi non fossero dovuti a meteoriti (e, implicitamente, che quindi è necessario valutare criticamente descrizioni di quel tipo prima di inserirle in catalogo). Per McBeath quella più plausibile è, infatti, la pietra che Livio registra come caduta a Crustumerium in Lazio nel 177 a.e.v., assente in Ossequente per una lacuna.
In definitiva, comunque, l’articolo di Franza e Pratesi ha il merito di richiamare ancora una volta l’attenzione sull’utilizzo delle fonti del passato nella ricostruzione di fenomeni naturali occasionali come appunto meteore, meteoriti, aurore etc. La speranza è che sia utile a stimolare un dibattito sull’interpretazione di questo genere di materiale che coinvolga però, oltre agli studiosi dei fenomeni che si vanno a cercare, anche classicisti, storici delle religioni, antropologi del mondo antico. Solo così, forse, riusciremo a “far parlare” il più possibile quei testi (senza correre il rischio, sempre in agguato, di tradirli) attraverso il complesso di conoscenze che diverse discipline hanno, in maniera interdisciplinare o meno, elaborato nel corso del tempo, sul mondo antico e sulla natura.
Note
1) Franza, A. & Pratesi, G. 2020. Julius Obsequens’s book, Liber Prodigiorum: A Roman era record of meteorite falls, fireballs, and other celestial phenomena. “Meteoritics & Planetary Science”, vol. 55, n. 7, pp. 1697-1708
2) C. Plinii Secundi Nouocomensis Epistolarum libri decem in quibus multae habentur epistolae non ante impressae [...]. 1508. In aedib. Aldi, et Andreae Asulani soceri, Venetiis, disponibile all’url https://bit.ly/2TlHSCI
4) Stilo, G. 2017. La scomparsa di Solas Boncompagni, uno dei padri dell’ufologia italiana. Cisu.org, disponibile all’url https://bit.ly/2ThrinJ
5) Dall’Olmo, U. 1978. Meteors, Meteor Showers and Meteorites in the Middle Ages: From European Medieval Sources. “Journal for the History of Astronomy”, vol. 9, n. 2, 123-134.
6) Gheorghe A. D. & McBeath, A. 2006. Meteor Beliefs Project: Meteoric portents from Livy and Julius Obsequens. "WGN, the Journal of the IMO". vol. 34, n. 3, 94-100, disponibile all’url https://bit.ly/3dOkszu ; McBeath, A. 2008. An analysis of the meteoric portents identified in the texts of Livy and Obsequens, 218-87 BC. "WGN, the Journal of the IMO". vol. 36, n. 1, 19-24, disponibile all’url https://bit.ly/2TgEUzA