Cercare tracce di vita, magari microscopica, su un pianeta lontano non è facile: tra tutte le cose che potrebbero andare storte, ci sono anche i falsi fossili. Ad avvertirci è un team di ricercatori guidati dall’astrobiologo Sean McMahon (Università di Edimburgo) e dalla geobiologa Julie Cosmidis (Università di Oxford), autori di uno studio pubblicato sul Journal of the Geological Society.[1]
Ma di cosa si tratta, esattamente? In pratica, di depositi minerali originati da processi abiotici (cioè prodottisi senza l’intervento di organismi biologici) che potrebbero assomigliare molto a fossili, traendo in inganno gli studiosi alla ricerca di tracce di vita passata. Gli autori dello studio hanno elencato diversi processi che potrebbero portare a queste strutture: formazioni modellate da agenti atmosferici, depositi di strati sedimentari, “giardino chimico” (cioè miscelazione di sostanze chimiche in grado di produrre strutture che assomigliano a piantine o altri organismi biologici),[2] biomorfi originati da particolari minerali o trame nella roccia... Questi processi possono dar luogo a strutture ingannevoli, che la pareidolia ci porta a interpretare come fossili autentici benché abbiano un’origine inorganica.
Questo è già accaduto, in passato: i lettori di Query forse ricorderanno il caso di ALH 84001, una meteorite recuperata in Antartide che nel 1996 fu al centro di una vivace polemica sulla possibilità che avesse ospitato forme di vita batterica. Lo studioso David McKay (NASA) vi aveva infatti individuato alcune strutture simili a quelle di nanobatteri terrestri, e ipotizzato che si trattasse di organismi ormai fossilizzati. Un team di ricercatori dimostrò poi che si era trattato di un’illusione ottica: quelle strutture minerali avevano probabilmente avuto origine in determinate condizioni di calore e pressione.[3]
Nella ricerca di tracce di vita passata su Marte, in generale, esistono due problemi in più rispetto all’individuazione di fossili “terrestri”: il primo è che non sappiamo quale aspetto potrebbero aver assunto eventuali organismi sul Pianeta Rosso. Il secondo è che tutto quello che sappiamo sui processi chimici, fisici e geologici sulla Terra potrebbe non essere immediatamente applicabile a Marte: potrebbero esistere infatti altri processi ancora sconosciuti in grado di produrre pseudofossili. I ricercatori invitano, pertanto, anche a indagare in questa direzione, conducendo studi approfonditi sulla fisica e la chimica di Marte.
Come ha spiegato McMahon, «Un rover su Marte troverà quasi sicuramente qualcosa che assomiglia molto a un fossile. Quindi è vitale essere in grado di distinguerli con sicurezza dalle strutture e dalle sostanze prodotte tramite reazioni chimiche. Per ogni tipo di fossile là fuori, esiste almeno un processo non biologico che crea strutture molto simili, quindi occorre davvero migliorare la nostra comprensione di come si formano».
Ma di cosa si tratta, esattamente? In pratica, di depositi minerali originati da processi abiotici (cioè prodottisi senza l’intervento di organismi biologici) che potrebbero assomigliare molto a fossili, traendo in inganno gli studiosi alla ricerca di tracce di vita passata. Gli autori dello studio hanno elencato diversi processi che potrebbero portare a queste strutture: formazioni modellate da agenti atmosferici, depositi di strati sedimentari, “giardino chimico” (cioè miscelazione di sostanze chimiche in grado di produrre strutture che assomigliano a piantine o altri organismi biologici),[2] biomorfi originati da particolari minerali o trame nella roccia... Questi processi possono dar luogo a strutture ingannevoli, che la pareidolia ci porta a interpretare come fossili autentici benché abbiano un’origine inorganica.
Questo è già accaduto, in passato: i lettori di Query forse ricorderanno il caso di ALH 84001, una meteorite recuperata in Antartide che nel 1996 fu al centro di una vivace polemica sulla possibilità che avesse ospitato forme di vita batterica. Lo studioso David McKay (NASA) vi aveva infatti individuato alcune strutture simili a quelle di nanobatteri terrestri, e ipotizzato che si trattasse di organismi ormai fossilizzati. Un team di ricercatori dimostrò poi che si era trattato di un’illusione ottica: quelle strutture minerali avevano probabilmente avuto origine in determinate condizioni di calore e pressione.[3]
Nella ricerca di tracce di vita passata su Marte, in generale, esistono due problemi in più rispetto all’individuazione di fossili “terrestri”: il primo è che non sappiamo quale aspetto potrebbero aver assunto eventuali organismi sul Pianeta Rosso. Il secondo è che tutto quello che sappiamo sui processi chimici, fisici e geologici sulla Terra potrebbe non essere immediatamente applicabile a Marte: potrebbero esistere infatti altri processi ancora sconosciuti in grado di produrre pseudofossili. I ricercatori invitano, pertanto, anche a indagare in questa direzione, conducendo studi approfonditi sulla fisica e la chimica di Marte.
Come ha spiegato McMahon, «Un rover su Marte troverà quasi sicuramente qualcosa che assomiglia molto a un fossile. Quindi è vitale essere in grado di distinguerli con sicurezza dalle strutture e dalle sostanze prodotte tramite reazioni chimiche. Per ogni tipo di fossile là fuori, esiste almeno un processo non biologico che crea strutture molto simili, quindi occorre davvero migliorare la nostra comprensione di come si formano».
Note
1) McMahon, S., & Cosmidis, J. (2021). False biosignatures on Mars: anticipating ambiguity. Journal of the Geological Society. DOI: 10.1144/jgs2021-050
2) Alcuni esempi di “giardino chimico” sono disponibili alla relativa pagina Wikipedia: https://bit.ly/3ruvfGr
3) Si veda Scienza & Paranormale N.64, “Siamo soli nell’universo?”, di Daniele Venturoli e Gianluca Ranzini: https://www.cicap.org/n/articolo.php?id=101809