Da diversi anni è attivo un movimento di opinione che chiede alla scuola e all’università di dare più spazio alle discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). Un maggior numero di laureati in queste materie è visto di buon occhio perché sono i più richiesti sul mercato del lavoro e perché la diffusione delle conoscenze STEM favorisce l’innovazione tecnologica. Inoltre i benefici di una solida formazione scientifica per lo spirito critico sono ben noti. Tuttavia non bisogna fare l’errore di sottovalutare l’importanza delle materie umanistiche, perché secondo alcuni studi questo potrebbe comportare rischi per le nostre democrazie.
Affronta la questione un recente rapporto del Center on Education and the Workforce della Georgetown University intitolato “Il ruolo dell’istruzione nel frenare le tendenze autoritarie”[1]. Il rapporto definisce la tendenza all’autoritarismo come l’accettazione indiscussa dell’autorità, contrapposta a un atteggiamento di pensiero indipendente, di rispetto per la diversità e di apertura ai fatti. Il documento conclude che in generale l’istruzione superiore riduce le tendenze autoritarie, ma che tra gli studenti universitari quelli di discipline umanistiche sono meno inclini di quelli di economia o discipline STEM ad adottare atteggiamenti di intolleranza politica, come rifiuto della libertà di parola, xenofobia, razzismo e settarismo religioso.
Non si può escludere un effetto di “autoselezione”, cioè una tendenza a preferire le materie umanistiche da parte degli studenti già in partenza più aperti e tolleranti, tuttavia ci sono prove che frequentare l’università e in particolare i corsi di materie umanistiche riduce nel tempo la tendenza all’autoritarismo, per le ragioni che vedremo più avanti.
La preoccupazione per una possibile crescita dell’autoritarismo non è peregrina, se si considera che organizzazioni come Freedom House, International Institute for Democracy and Electoral Assistance e Our World in Data hanno documentato un declino del livello di democrazia nel mondo negli ultimi 10 anni e che secondo i sondaggi il 20% degli americani approva il tentativo di colpo di stato avvenuto a Washington nel gennaio 2021.
Perché un’educazione che includa le materie umanistiche dovrebbe favorire una mentalità democratica? Prima di tutto bisogna considerare che una democrazia in salute richiede un buon livello di istruzione generale per avere cittadini informati che possano dare un buon contributo alla società. In secondo luogo, i concetti necessari per esercitare nel modo migliore i diritti e i doveri richiesti da una democrazia si insegnano soprattutto con le discipline umanistiche. È nei corsi di materie umanistiche che gli studenti apprendono la storia della democrazia, le teorie della giustizia concorrenti, le cause dei problemi sociali e politici e le possibili soluzioni.
Ma c’è un secondo aspetto più sottile. L’insegnamento delle discipline umanistiche è particolarmente appropriato come attività sociale e quando viene svolto in questo modo è un’efficace palestra di vita democratica. Leggere un buon libro ci può trasformare, ma scoprire e comprendere perché altri reagiscono in modo diverso a quello stesso libro ci può insegnare ancora di più. È a scuola che gli studenti imparano a discutere e deliberare su questioni etiche e politiche con coetanei che hanno punti di vista diversi dai loro e che appartengono ad altre classi sociali, nonché a esercitarsi a vicenda a sviluppare le capacità di persuasione, di argomentazione e immedesimazione che stanno al centro della vita democratica. Quando viene realizzata in questo modo l’educazione umanistica ha una funzione importante nel preparare non solo all’impegno politico ma anche all’impegno civico, inteso come la partecipazione ad attività collettive mirate a promuovere il bene comune, che costruisce reti di reciprocità e fiducia: quello che normalmente viene chiamato “capitale sociale”.
Il ruolo delle materie umanistiche nel favorire l’impegno civico è importante perché gli studi degli ultimi decenni hanno documentato una riduzione di questo impegno nelle società occidentali e ci sono ragioni per pensare che questa riduzione sia un importante fattore che contribuisce all’aumento della polarizzazione. La diminuzione del capitale sociale riduce il numero di persone che interagiscono nelle comunità e in particolare riduce il dialogo e la cooperazione tra persone di orientamenti diversi. Tra fronti ideologici fortemente polarizzati c’è una limitata possibilità di collaborare. Le persone si affidano invece ai media di parte e alla “bolla” cui appartengono sui social network per dipingere una caricatura di coloro che hanno opinioni politiche diverse.
È proprio quello che riscontra il documento della Georgetown University. Gli autori del rapporto sottolineano che l’autoritarismo tende a prosperare quando le norme sociali e la sicurezza personale appaiono in pericolo. In gran parte dei paesi occidentali le crescenti disuguaglianze economiche e il grave impatto della pandemia da Covid hanno alimentato tra molti cittadini una sensazione di vulnerabilità che li ha resi più propensi a cercare la protezione di leader e sistemi politici autoritari. Secondo il rapporto, un buon livello di competenza nelle materie umanistiche rende gli studenti meno suscettibili a manipolazioni demagogiche, diminuisce la probabilità che conflitti tra visioni del mondo diverse scatenino risposte autoritarie e aumenta invece la probabilità che vengano affrontati attraverso l’esame delle evidenze.
Che cosa possiamo concludere sull’istruzione universitaria?
In primo luogo, non credo sia necessario specificare che sottolineare l’importanza delle discipline umanistiche non significa trascurare quelle scientifiche. In questa rubrica abbiamo ricordato spesso quanto è importante l’alfabetizzazione scientifica per la vita democratica, soprattutto se è mirata a far conoscere i processi e i valori della scienza, più che le nozioni. Ma una formazione di respiro ampio e non troppo settoriale, che comprenda anche concetti di etica, di storia e di filosofia della scienza nei corsi di laurea scientifici, permette di formare sia migliori cittadini sia migliori scienziati, più consapevoli delle implicazioni delle loro ricerche per la società. Simmetricamente, è buona pratica migliorare le competenze scientifiche degli studenti di università umanistiche, come avviene per esempio con il corso di “fisica per cittadini” che l’università di Torino propone da qualche anno agli studenti di scienze sociali.
In secondo luogo, i benefici dell’istruzione superiore per la democrazia non dipendono solo da quali materie vengono insegnate, ma anche da come vengono insegnate. Per preparare gli studenti nel modo migliore alla vita democratica i corsi di materie umanistiche devono comprendere discussioni relativamente frequenti e di buon livello, che educhino al confronto civile e alla tolleranza necessari per la democrazia. In effetti nella scuola italiana si sta diffondendo il metodo didattico del debate, così come quello del service learning (l’apprendimento attraverso forme di volontariato per la comunità): entrambi favoriscono l’impegno civico. Inoltre, nell’insegnamento delle materie scientifiche sarebbe opportuno non limitarsi ai fatti e alle nozioni ma dare spazio anche al metodo, alla storia, al contesto che hanno alimentato le scoperte scientifiche.
Infine, lo scopo dell’università non è solo quello di preparare gli studenti a trovare lavori ben pagati: è anche (oserei dire soprattutto, così come dell’istruzione in generale) quello di far crescere buoni cittadini. I buoni cittadini arricchiscono la società con benefici che non sono solo economici: rispettano le differenze, affrontano i conflitti in modo civile, si interessano al bene comune anche se non ne ricavano un vantaggio diretto. La valutazione che diamo dell’istruzione universitaria e dell’istruzione in generale non dovrebbe dare un peso eccessivo al vantaggio privato rispetto al bene pubblico; altrimenti il rischio è che a soffrirne le conseguenze sia tutta la società.
Affronta la questione un recente rapporto del Center on Education and the Workforce della Georgetown University intitolato “Il ruolo dell’istruzione nel frenare le tendenze autoritarie”[1]. Il rapporto definisce la tendenza all’autoritarismo come l’accettazione indiscussa dell’autorità, contrapposta a un atteggiamento di pensiero indipendente, di rispetto per la diversità e di apertura ai fatti. Il documento conclude che in generale l’istruzione superiore riduce le tendenze autoritarie, ma che tra gli studenti universitari quelli di discipline umanistiche sono meno inclini di quelli di economia o discipline STEM ad adottare atteggiamenti di intolleranza politica, come rifiuto della libertà di parola, xenofobia, razzismo e settarismo religioso.
Non si può escludere un effetto di “autoselezione”, cioè una tendenza a preferire le materie umanistiche da parte degli studenti già in partenza più aperti e tolleranti, tuttavia ci sono prove che frequentare l’università e in particolare i corsi di materie umanistiche riduce nel tempo la tendenza all’autoritarismo, per le ragioni che vedremo più avanti.
La preoccupazione per una possibile crescita dell’autoritarismo non è peregrina, se si considera che organizzazioni come Freedom House, International Institute for Democracy and Electoral Assistance e Our World in Data hanno documentato un declino del livello di democrazia nel mondo negli ultimi 10 anni e che secondo i sondaggi il 20% degli americani approva il tentativo di colpo di stato avvenuto a Washington nel gennaio 2021.
Perché un’educazione che includa le materie umanistiche dovrebbe favorire una mentalità democratica? Prima di tutto bisogna considerare che una democrazia in salute richiede un buon livello di istruzione generale per avere cittadini informati che possano dare un buon contributo alla società. In secondo luogo, i concetti necessari per esercitare nel modo migliore i diritti e i doveri richiesti da una democrazia si insegnano soprattutto con le discipline umanistiche. È nei corsi di materie umanistiche che gli studenti apprendono la storia della democrazia, le teorie della giustizia concorrenti, le cause dei problemi sociali e politici e le possibili soluzioni.
Ma c’è un secondo aspetto più sottile. L’insegnamento delle discipline umanistiche è particolarmente appropriato come attività sociale e quando viene svolto in questo modo è un’efficace palestra di vita democratica. Leggere un buon libro ci può trasformare, ma scoprire e comprendere perché altri reagiscono in modo diverso a quello stesso libro ci può insegnare ancora di più. È a scuola che gli studenti imparano a discutere e deliberare su questioni etiche e politiche con coetanei che hanno punti di vista diversi dai loro e che appartengono ad altre classi sociali, nonché a esercitarsi a vicenda a sviluppare le capacità di persuasione, di argomentazione e immedesimazione che stanno al centro della vita democratica. Quando viene realizzata in questo modo l’educazione umanistica ha una funzione importante nel preparare non solo all’impegno politico ma anche all’impegno civico, inteso come la partecipazione ad attività collettive mirate a promuovere il bene comune, che costruisce reti di reciprocità e fiducia: quello che normalmente viene chiamato “capitale sociale”.
Il ruolo delle materie umanistiche nel favorire l’impegno civico è importante perché gli studi degli ultimi decenni hanno documentato una riduzione di questo impegno nelle società occidentali e ci sono ragioni per pensare che questa riduzione sia un importante fattore che contribuisce all’aumento della polarizzazione. La diminuzione del capitale sociale riduce il numero di persone che interagiscono nelle comunità e in particolare riduce il dialogo e la cooperazione tra persone di orientamenti diversi. Tra fronti ideologici fortemente polarizzati c’è una limitata possibilità di collaborare. Le persone si affidano invece ai media di parte e alla “bolla” cui appartengono sui social network per dipingere una caricatura di coloro che hanno opinioni politiche diverse.
È proprio quello che riscontra il documento della Georgetown University. Gli autori del rapporto sottolineano che l’autoritarismo tende a prosperare quando le norme sociali e la sicurezza personale appaiono in pericolo. In gran parte dei paesi occidentali le crescenti disuguaglianze economiche e il grave impatto della pandemia da Covid hanno alimentato tra molti cittadini una sensazione di vulnerabilità che li ha resi più propensi a cercare la protezione di leader e sistemi politici autoritari. Secondo il rapporto, un buon livello di competenza nelle materie umanistiche rende gli studenti meno suscettibili a manipolazioni demagogiche, diminuisce la probabilità che conflitti tra visioni del mondo diverse scatenino risposte autoritarie e aumenta invece la probabilità che vengano affrontati attraverso l’esame delle evidenze.
Che cosa possiamo concludere sull’istruzione universitaria?
In primo luogo, non credo sia necessario specificare che sottolineare l’importanza delle discipline umanistiche non significa trascurare quelle scientifiche. In questa rubrica abbiamo ricordato spesso quanto è importante l’alfabetizzazione scientifica per la vita democratica, soprattutto se è mirata a far conoscere i processi e i valori della scienza, più che le nozioni. Ma una formazione di respiro ampio e non troppo settoriale, che comprenda anche concetti di etica, di storia e di filosofia della scienza nei corsi di laurea scientifici, permette di formare sia migliori cittadini sia migliori scienziati, più consapevoli delle implicazioni delle loro ricerche per la società. Simmetricamente, è buona pratica migliorare le competenze scientifiche degli studenti di università umanistiche, come avviene per esempio con il corso di “fisica per cittadini” che l’università di Torino propone da qualche anno agli studenti di scienze sociali.
In secondo luogo, i benefici dell’istruzione superiore per la democrazia non dipendono solo da quali materie vengono insegnate, ma anche da come vengono insegnate. Per preparare gli studenti nel modo migliore alla vita democratica i corsi di materie umanistiche devono comprendere discussioni relativamente frequenti e di buon livello, che educhino al confronto civile e alla tolleranza necessari per la democrazia. In effetti nella scuola italiana si sta diffondendo il metodo didattico del debate, così come quello del service learning (l’apprendimento attraverso forme di volontariato per la comunità): entrambi favoriscono l’impegno civico. Inoltre, nell’insegnamento delle materie scientifiche sarebbe opportuno non limitarsi ai fatti e alle nozioni ma dare spazio anche al metodo, alla storia, al contesto che hanno alimentato le scoperte scientifiche.
Infine, lo scopo dell’università non è solo quello di preparare gli studenti a trovare lavori ben pagati: è anche (oserei dire soprattutto, così come dell’istruzione in generale) quello di far crescere buoni cittadini. I buoni cittadini arricchiscono la società con benefici che non sono solo economici: rispettano le differenze, affrontano i conflitti in modo civile, si interessano al bene comune anche se non ne ricavano un vantaggio diretto. La valutazione che diamo dell’istruzione universitaria e dell’istruzione in generale non dovrebbe dare un peso eccessivo al vantaggio privato rispetto al bene pubblico; altrimenti il rischio è che a soffrirne le conseguenze sia tutta la società.
Note
1) A.P. Carnevale e al, 2020, “The Role of Education in Taming Authoritarian Attitudes”, Georgetown University Center on Education and the Workforce.
Bibliografia
- Martha Nussbaum, Non per profitto, Il Mulino 2014