Il nostro compianto Piero Angela ha confessato in diverse occasioni di non essere stato uno studente particolarmente brillante, attribuendone la causa alla noia che caratterizzava la scuola da lui frequentata. Nel suo libro La macchina per pensare, del 1987, scriveva: «Personalmente, mi sono annoiato mortalmente a scuola e sono stato un pessimo studente. Tutti coloro che si occupano di insegnamento dovrebbero ricordare continuamente l’antico motto latino ludendo docere, cioè insegnare divertendo».
Questa sua esperienza giovanile ha poi influito moltissimo sulla sua attività professionale di divulgatore. Tutte le sue opere (indipendentemente dal mezzo utilizzato: televisione, libri, conferenze e così via) sono infatti costantemente caratterizzate dalla preoccupazione di divertire il pubblico per catturarne l’interesse e non annoiarlo.
In questa rubrica abbiamo già affrontato il problema della noia a scuola[1]. La didattica si occupa giustamente della correttezza dei contenuti trasmessi ai discenti, ma spesso i docenti non tengono in adeguata considerazione gli aspetti emotivi. Come ha affermato il neuroscienziato Antonio Damasio, «non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano»[2]. Questo vale per chiunque, a qualsiasi età, ma per i ragazzi le emozioni sono il centro intorno al quale ruota la propria esistenza. Esse sono quindi fondamentali nel processo di apprendimento e ogni docente ne deve tenere opportunamente conto.
Nell’ambito della sfera emotiva dei ragazzi, le relazioni interpersonali sono estremamente importanti e l’ambiente scolastico rappresenta per essi un luogo fondamentale in questo senso. La creazione di un solido gruppo classe può facilitare enormemente l’apprendimento e facilitare il compito dell’insegnante. Il gioco può fornire un utile contributo al raggiungimento di tali obiettivi.
Andrea Ligabue, docente e ludologo, nel suo libro Didattica ludica. Competenze in gioco[3], sostiene che il gioco è un’opportunità di apprendimento difficile e interessante, che fruisce di tutte le qualità essenziali che rendono l’apprendimento efficace e durevole. Esso richiede l’applicazione di abilità fondamentali per lo sviluppo del fanciullo, come competenze sociali (collaborazione, rispetto delle regole), competenze cognitive (pianificazione, strategia), competenze motorie (coordinazione, senso dello spazio), competenze emotive (competizione, paura).
Particolarmente adatti al raggiungimento di questi obiettivi sono i giochi cooperativi, che favoriscono lo sviluppo di competenze sociali e di problem solving, la conoscenza di sé stessi e degli altri. Tali giochi favoriscono le relazioni interpersonali in cui i ragazzi possono confrontarsi con i compagni, acquisendo in tal modo le regole della convivenza sociale.
L’insegnamento attraverso il gioco non è una novità della pedagogia contemporanea: se ne possono trovare infatti ampi riferimenti anche piuttosto antichi. Oltre al motto latino citato da Angela, anche Platone, nella Repubblica, sottolineava l’importanza di un insegnamento non costrittivo che, valorizzando le tendenze individuali di ciascuno, concedesse ampio spazio alla dimensione ludica.
Pur avendo origini antiche, tuttavia, la didattica basata sul gioco, detta anche ludodidattica, è stata sviluppata in modo organico solamente nel secolo scorso. Pedagogisti come Jean Piaget (1896-1980), Lev Vygotskij (1896-1934) e altri hanno sottolineato la valenza formativa del gioco nello sviluppo del bambino. Vigotskij, nel suo saggio Il ruolo del gioco nello sviluppo, scrive: […] è impossibile ignorare il fatto che il bambino soddisfa certi bisogni nel gioco. Se non comprendiamo il carattere speciale di questi bisogni, non possiamo capire l’unicità del gioco come forma di attività».
La didattica ludica può fornire un utile contributo all’eliminazione di quelle barriere emotive (ansia, paura di non farcela, paura di essere giudicati) che possono rendere difficoltoso il processo di apprendimento. Essa può infatti far scattare quella che il linguista statunitense Stephen D. Krashen ha chiamato rule of forgetting: l’allievo, mentre gioca, dimentica che sta studiando e impara. Nel gioco inoltre il discente si trova al centro del processo di apprendimento diventandone il principale protagonista, attivamente coinvolto nella costruzione del sapere.
Per i bambini, fin dalla più tenera età, il gioco rappresenta un mezzo fondamentale per divertirsi e, al tempo stesso, indagare e comprendere la realtà circostante. Sotto questo punto di vista, una delle attività umane che più di ogni altra assomiglia al gioco è proprio la scienza. I veri scienziati svolgono le loro ricerche divertendosi e, al tempo stesso, indagando e comprendendo la realtà. Nel passato non sono mancati diversi esempi di illustri scienziati che non furono affatto professionisti, ma abili dilettanti che, divertendosi, portarono importanti contributi alla conoscenza.
Se la didattica ludica può valere per qualsiasi materia scolastica, essa è quindi particolarmente adatta proprio all’insegnamento delle discipline scientifiche e l’approccio laboratoriale non può che essere lo strumento principe in tal senso. Attraverso la realizzazione di esperimenti, in prima persona e “sporcandosi le mani”, lo studente gioca e, aumentando la probabilità che scatti la rule of forgetting di Krashen, impara.
Questa sua esperienza giovanile ha poi influito moltissimo sulla sua attività professionale di divulgatore. Tutte le sue opere (indipendentemente dal mezzo utilizzato: televisione, libri, conferenze e così via) sono infatti costantemente caratterizzate dalla preoccupazione di divertire il pubblico per catturarne l’interesse e non annoiarlo.
In questa rubrica abbiamo già affrontato il problema della noia a scuola[1]. La didattica si occupa giustamente della correttezza dei contenuti trasmessi ai discenti, ma spesso i docenti non tengono in adeguata considerazione gli aspetti emotivi. Come ha affermato il neuroscienziato Antonio Damasio, «non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano»[2]. Questo vale per chiunque, a qualsiasi età, ma per i ragazzi le emozioni sono il centro intorno al quale ruota la propria esistenza. Esse sono quindi fondamentali nel processo di apprendimento e ogni docente ne deve tenere opportunamente conto.
Nell’ambito della sfera emotiva dei ragazzi, le relazioni interpersonali sono estremamente importanti e l’ambiente scolastico rappresenta per essi un luogo fondamentale in questo senso. La creazione di un solido gruppo classe può facilitare enormemente l’apprendimento e facilitare il compito dell’insegnante. Il gioco può fornire un utile contributo al raggiungimento di tali obiettivi.
Andrea Ligabue, docente e ludologo, nel suo libro Didattica ludica. Competenze in gioco[3], sostiene che il gioco è un’opportunità di apprendimento difficile e interessante, che fruisce di tutte le qualità essenziali che rendono l’apprendimento efficace e durevole. Esso richiede l’applicazione di abilità fondamentali per lo sviluppo del fanciullo, come competenze sociali (collaborazione, rispetto delle regole), competenze cognitive (pianificazione, strategia), competenze motorie (coordinazione, senso dello spazio), competenze emotive (competizione, paura).
Le materie scientifiche si prestano in modo particolare alla didattica ludica attraverso l’uso dei laboratori © DragonImages/iStock
Particolarmente adatti al raggiungimento di questi obiettivi sono i giochi cooperativi, che favoriscono lo sviluppo di competenze sociali e di problem solving, la conoscenza di sé stessi e degli altri. Tali giochi favoriscono le relazioni interpersonali in cui i ragazzi possono confrontarsi con i compagni, acquisendo in tal modo le regole della convivenza sociale.
L’insegnamento attraverso il gioco non è una novità della pedagogia contemporanea: se ne possono trovare infatti ampi riferimenti anche piuttosto antichi. Oltre al motto latino citato da Angela, anche Platone, nella Repubblica, sottolineava l’importanza di un insegnamento non costrittivo che, valorizzando le tendenze individuali di ciascuno, concedesse ampio spazio alla dimensione ludica.
Pur avendo origini antiche, tuttavia, la didattica basata sul gioco, detta anche ludodidattica, è stata sviluppata in modo organico solamente nel secolo scorso. Pedagogisti come Jean Piaget (1896-1980), Lev Vygotskij (1896-1934) e altri hanno sottolineato la valenza formativa del gioco nello sviluppo del bambino. Vigotskij, nel suo saggio Il ruolo del gioco nello sviluppo, scrive: […] è impossibile ignorare il fatto che il bambino soddisfa certi bisogni nel gioco. Se non comprendiamo il carattere speciale di questi bisogni, non possiamo capire l’unicità del gioco come forma di attività».
La didattica ludica può fornire un utile contributo all’eliminazione di quelle barriere emotive (ansia, paura di non farcela, paura di essere giudicati) che possono rendere difficoltoso il processo di apprendimento. Essa può infatti far scattare quella che il linguista statunitense Stephen D. Krashen ha chiamato rule of forgetting: l’allievo, mentre gioca, dimentica che sta studiando e impara. Nel gioco inoltre il discente si trova al centro del processo di apprendimento diventandone il principale protagonista, attivamente coinvolto nella costruzione del sapere.
Per i bambini, fin dalla più tenera età, il gioco rappresenta un mezzo fondamentale per divertirsi e, al tempo stesso, indagare e comprendere la realtà circostante. Sotto questo punto di vista, una delle attività umane che più di ogni altra assomiglia al gioco è proprio la scienza. I veri scienziati svolgono le loro ricerche divertendosi e, al tempo stesso, indagando e comprendendo la realtà. Nel passato non sono mancati diversi esempi di illustri scienziati che non furono affatto professionisti, ma abili dilettanti che, divertendosi, portarono importanti contributi alla conoscenza.
Se la didattica ludica può valere per qualsiasi materia scolastica, essa è quindi particolarmente adatta proprio all’insegnamento delle discipline scientifiche e l’approccio laboratoriale non può che essere lo strumento principe in tal senso. Attraverso la realizzazione di esperimenti, in prima persona e “sporcandosi le mani”, lo studente gioca e, aumentando la probabilità che scatti la rule of forgetting di Krashen, impara.
Note
1) S. Fuso, La scuola è noiosa? 143 Query n. 43, Autunno 2020.
2) A. Damasio, L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, 1995.
3) A. Ligabue, Didattica ludica. Competenze in gioco, Erickson, 2020.