Supponiamo di avere un testo, ad esempio un libro, scritto in una lingua straniera e di volerne trasmettere il contenuto a qualcuno che non conosca quella lingua.
Abbiamo sostanzialmente due possibilità. La prima consiste nel cercare di insegnare al nostro interlocutore i fondamenti di quella lingua, dal lessico alla grammatica, in modo che gradualmente sia in grado di leggere autonomamente il testo. Magari comincerà col capire le parti più semplici che noi gli indicheremo e progressivamente, con non poca fatica, arriverà al punto di leggere autonomamente l’intero testo comprendendone il significato. A quel punto sarà anche in grado di leggere altri testi scritti nella stessa lingua.
La seconda strada consiste invece nel fornire noi la traduzione del testo, magari con qualche semplificazione e abbreviazione, in modo che il nostro interlocutore, con una fatica relativamente modesta, possa coglierne gli aspetti principali del contenuto. Ovviamente, in questo modo, il nostro interlocutore non sarà in grado di cogliere certe sottigliezze e certi dettagli che solamente chi padroneggia la lingua può apprezzare. Ma se noi gli forniremo una traduzione ben fatta, potrà farsi un’idea sufficientemente precisa del testo. È chiaro invece che se noi eseguissimo una traduzione raffazzonata, imprecisa e che addirittura altera il significato di certe affermazioni originali, renderemmo un pessimo servizio al nostro interlocutore e anche all’autore del testo.
Il paragone che abbiamo appena fatto può essere utile per distinguere tra didattica e divulgazione scientifica, buona e cattiva.
Nella didattica delle discipline scientifiche si trasmettono, a diversi livelli, i fondamenti di una certa branca del sapere, sia per quanto riguarda i contenuti e il linguaggio specifico, sia per gli aspetti metodologici. Da parte del discente è richiesto naturalmente un notevole impegno nello studio, costante esercizio e in certi casi vera e propria fatica. Ma alla fine egli raggiungerà adeguati livelli di conoscenza e competenza, con immancabile soddisfazione.
Nella divulgazione[1] l’approccio è diverso. Non è necessario che il destinatario si impadronisca completamente della disciplina. È sufficiente fornirgli un’idea generale dei contenuti, tralasciando certi dettagli e soprattutto ogni aspetto tecnico, traducendo quanto più possibile il linguaggio specifico in termini di uso comune, comprensibili ai non addetti ai lavori. La fatica richiesta per il destinatario sarà sicuramente di gran lunga inferiore a quella che deve fare un discente che si appresta a imparare quella stessa disciplina. Tuttavia, anche in questo caso un minimo di sforzo è inevitabilmente richiesto per seguire la trattazione del divulgatore. Quest’ultimo deve sforzarsi di essere quanto più possibile chiaro e comprensibile, ma deve comunque far capire la complessità oggettiva di certi argomenti, anche per far apprezzare al destinatario l’impegno e lo sforzo che i ricercatori del settore hanno dovuto affrontare e l’ingegno che hanno dovuto impiegare per riuscire a raggiungere determinate conoscenze.
Sia la didattica che la divulgazione hanno nobili origini e tradizioni. L’attenzione per l’insegnamento nacque nell’antica Grecia dove ebbe illustri protagonisti e autorevoli istituzioni (pensiamo all’accademia Platonica). Proseguì poi nel Medioevo, dove venne praticata soprattutto da monaci e chierici. Nel Seicento spiccò la figura del ceco Giovanni Amos Comenio (Iohannes Amos Comenius) (1592-1670), strenuo sostenitore dell’importanza dell’insegnamento per il miglioramento della società. Nel Novecento e nella nostra epoca grandi contributi sono stati dati da diversi studiosi alla pedagogia, anche se non sempre le istituzioni (soprattutto nel nostro Paese) hanno riservato la giusta attenzione all’istruzione.
La divulgazione scientifica nasce invece più recentemente dalla necessità di far conoscere, almeno al pubblico colto, le conquiste della rivoluzione scientifica. Lo stesso Galileo, con la scelta di utilizzare l’italiano al posto del latino, si proponeva un’ampia diffusione del sapere. Le prime pubblicazioni destinate alla circolazione delle conoscenze scientifiche furono Le journal des savants a Parigi e le Philosophical transactions of the Royal Society of London a Londra, entrambi nati nel 1665. L’Illuminismo portò ulteriormente avanti questa missione e l’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert ne rappresenta un significativo esempio. Al giorno d’oggi quella del divulgatore è diventata una vera professione (tanto per citare due nomi di spicco, ricordiamo il nostro Piero Angela e l’inglese David Attenborough) e spesso vi sono anche illustri scienziati che si occupano di diffondere in prima persona le proprie conoscenze.
Didattica e divulgazione, in ogni caso, non sono nettamente distinte. Capita spesso, ad esempio, in ambito didattico di dover ricorrere a una sorta di divulgazione di alcuni argomenti che non potrebbero essere affrontati in modo approfondito dai discenti per mancanza di alcune conoscenze propedeutiche.
Sia il docente che il divulgatore devono inoltre adottare alcune strategie comuni, che sono necessarie per tenere accese l’attenzione e la curiosità di chi ascolta o legge. Un docente e un divulgatore noiosi ottengono infatti ben scarsi risultati.
Sia il docente che il divulgatore devono però essere onesti e non devono barare. Vi sono purtroppo docenti che semplificano eccessivamente la loro trattazione. In tal modo danno al discente solamente l’illusione di aver imparato. Inoltre, alcuni docenti, per ottenere popolarità tra i propri studenti, abbandonano il loro ruolo, assumendo alcuni atteggiamenti e un linguaggio simili a quelli degli studenti. Senza naturalmente auspicare il ritorno alla soggezione che i docenti di un tempo incutevano ai propri studenti, i ruoli vanno però rispettati. Il docente deve fare il proprio mestiere e, poiché rappresenta inevitabilmente un modello per i propri studenti, anche nei suoi comportamenti non deve dimenticarsi di svolgere un ruolo educativo.
Lo stesso vale per il divulgatore. Alcuni divulgatori semplificano talmente certi contenuti disciplinari fino al punto di banalizzarli completamente. In tal modo essi non effettuano un semplice lavoro di traduzione dal linguaggio tecnico a quello comune: essi stravolgono completamente il senso di certe affermazioni scientifiche. Alcuni di essi, inoltre, per incontrare il favore del pubblico, soprattutto giovanile, assumono comportamenti francamente discutibili: quali l’uso continuo di turpiloquio e di gag inopportune e assai poco spiritose. Questo appare particolarmente evidente in alcuni divulgatori molto attivi su youtube e sui social. Gli stessi divulgatori (ma forse sarebbe meglio chiamarli volgarizzatori, con tutte le accezioni che il termine contempla), per restare fedeli alla loro linea, non esistano a falsare completamente i dati storici. Qualcuno fa addirittura apparire alcuni personaggi chiave della storia della scienza come una sorta di idioti, privi di ogni ingegno, che per pura fortuna e/o opportunismo sono riusciti a combinare qualcosa di buono[2]. Questi “divulgatori” magari possono avere meriti di altro tipo, ad esempio come performer teatrali, musicali e comici (per chi ama il genere), ma francamente non rendono un buon servizio né alla scienza né ai propri lettori-follower. Forniscono infatti un’immagine del tutto falsata di cosa sia la scienza e danno l’impressione che chiunque, anche un demente, possa sperare di fare importanti scoperte scientifiche. Questa non è divulgazione, ma completa banalizzazione della scienza che viene semplicemente utilizzata per fare umorismo di bassa lega e per acquisire facile popolarità tra un certo tipo di pubblico.
Sia un docente che un divulgatore devono avere l’onestà intellettuale e la serietà come principi ispiratori. Onestà intellettuale significa aderenza ai fatti scientifici e storici: non si possono inventare di sana pianta alcune affermazioni o manipolarne altre semplicemente per sostenere le proprie tesi preconcette. Serietà significa aver ben chiari gli obiettivi del proprio compito e cercare di raggiungerli in modo corretto, senza utilizzare sotterfugi di bassa lega per acquisire facili consensi.
Abbiamo sostanzialmente due possibilità. La prima consiste nel cercare di insegnare al nostro interlocutore i fondamenti di quella lingua, dal lessico alla grammatica, in modo che gradualmente sia in grado di leggere autonomamente il testo. Magari comincerà col capire le parti più semplici che noi gli indicheremo e progressivamente, con non poca fatica, arriverà al punto di leggere autonomamente l’intero testo comprendendone il significato. A quel punto sarà anche in grado di leggere altri testi scritti nella stessa lingua.
La seconda strada consiste invece nel fornire noi la traduzione del testo, magari con qualche semplificazione e abbreviazione, in modo che il nostro interlocutore, con una fatica relativamente modesta, possa coglierne gli aspetti principali del contenuto. Ovviamente, in questo modo, il nostro interlocutore non sarà in grado di cogliere certe sottigliezze e certi dettagli che solamente chi padroneggia la lingua può apprezzare. Ma se noi gli forniremo una traduzione ben fatta, potrà farsi un’idea sufficientemente precisa del testo. È chiaro invece che se noi eseguissimo una traduzione raffazzonata, imprecisa e che addirittura altera il significato di certe affermazioni originali, renderemmo un pessimo servizio al nostro interlocutore e anche all’autore del testo.
Il paragone che abbiamo appena fatto può essere utile per distinguere tra didattica e divulgazione scientifica, buona e cattiva.
Nella didattica delle discipline scientifiche si trasmettono, a diversi livelli, i fondamenti di una certa branca del sapere, sia per quanto riguarda i contenuti e il linguaggio specifico, sia per gli aspetti metodologici. Da parte del discente è richiesto naturalmente un notevole impegno nello studio, costante esercizio e in certi casi vera e propria fatica. Ma alla fine egli raggiungerà adeguati livelli di conoscenza e competenza, con immancabile soddisfazione.
Nella divulgazione[1] l’approccio è diverso. Non è necessario che il destinatario si impadronisca completamente della disciplina. È sufficiente fornirgli un’idea generale dei contenuti, tralasciando certi dettagli e soprattutto ogni aspetto tecnico, traducendo quanto più possibile il linguaggio specifico in termini di uso comune, comprensibili ai non addetti ai lavori. La fatica richiesta per il destinatario sarà sicuramente di gran lunga inferiore a quella che deve fare un discente che si appresta a imparare quella stessa disciplina. Tuttavia, anche in questo caso un minimo di sforzo è inevitabilmente richiesto per seguire la trattazione del divulgatore. Quest’ultimo deve sforzarsi di essere quanto più possibile chiaro e comprensibile, ma deve comunque far capire la complessità oggettiva di certi argomenti, anche per far apprezzare al destinatario l’impegno e lo sforzo che i ricercatori del settore hanno dovuto affrontare e l’ingegno che hanno dovuto impiegare per riuscire a raggiungere determinate conoscenze.
Sia la didattica che la divulgazione hanno nobili origini e tradizioni. L’attenzione per l’insegnamento nacque nell’antica Grecia dove ebbe illustri protagonisti e autorevoli istituzioni (pensiamo all’accademia Platonica). Proseguì poi nel Medioevo, dove venne praticata soprattutto da monaci e chierici. Nel Seicento spiccò la figura del ceco Giovanni Amos Comenio (Iohannes Amos Comenius) (1592-1670), strenuo sostenitore dell’importanza dell’insegnamento per il miglioramento della società. Nel Novecento e nella nostra epoca grandi contributi sono stati dati da diversi studiosi alla pedagogia, anche se non sempre le istituzioni (soprattutto nel nostro Paese) hanno riservato la giusta attenzione all’istruzione.
La divulgazione scientifica nasce invece più recentemente dalla necessità di far conoscere, almeno al pubblico colto, le conquiste della rivoluzione scientifica. Lo stesso Galileo, con la scelta di utilizzare l’italiano al posto del latino, si proponeva un’ampia diffusione del sapere. Le prime pubblicazioni destinate alla circolazione delle conoscenze scientifiche furono Le journal des savants a Parigi e le Philosophical transactions of the Royal Society of London a Londra, entrambi nati nel 1665. L’Illuminismo portò ulteriormente avanti questa missione e l’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert ne rappresenta un significativo esempio. Al giorno d’oggi quella del divulgatore è diventata una vera professione (tanto per citare due nomi di spicco, ricordiamo il nostro Piero Angela e l’inglese David Attenborough) e spesso vi sono anche illustri scienziati che si occupano di diffondere in prima persona le proprie conoscenze.
Didattica e divulgazione, in ogni caso, non sono nettamente distinte. Capita spesso, ad esempio, in ambito didattico di dover ricorrere a una sorta di divulgazione di alcuni argomenti che non potrebbero essere affrontati in modo approfondito dai discenti per mancanza di alcune conoscenze propedeutiche.
Sia il docente che il divulgatore devono inoltre adottare alcune strategie comuni, che sono necessarie per tenere accese l’attenzione e la curiosità di chi ascolta o legge. Un docente e un divulgatore noiosi ottengono infatti ben scarsi risultati.
Sia il docente che il divulgatore devono però essere onesti e non devono barare. Vi sono purtroppo docenti che semplificano eccessivamente la loro trattazione. In tal modo danno al discente solamente l’illusione di aver imparato. Inoltre, alcuni docenti, per ottenere popolarità tra i propri studenti, abbandonano il loro ruolo, assumendo alcuni atteggiamenti e un linguaggio simili a quelli degli studenti. Senza naturalmente auspicare il ritorno alla soggezione che i docenti di un tempo incutevano ai propri studenti, i ruoli vanno però rispettati. Il docente deve fare il proprio mestiere e, poiché rappresenta inevitabilmente un modello per i propri studenti, anche nei suoi comportamenti non deve dimenticarsi di svolgere un ruolo educativo.
Lo stesso vale per il divulgatore. Alcuni divulgatori semplificano talmente certi contenuti disciplinari fino al punto di banalizzarli completamente. In tal modo essi non effettuano un semplice lavoro di traduzione dal linguaggio tecnico a quello comune: essi stravolgono completamente il senso di certe affermazioni scientifiche. Alcuni di essi, inoltre, per incontrare il favore del pubblico, soprattutto giovanile, assumono comportamenti francamente discutibili: quali l’uso continuo di turpiloquio e di gag inopportune e assai poco spiritose. Questo appare particolarmente evidente in alcuni divulgatori molto attivi su youtube e sui social. Gli stessi divulgatori (ma forse sarebbe meglio chiamarli volgarizzatori, con tutte le accezioni che il termine contempla), per restare fedeli alla loro linea, non esistano a falsare completamente i dati storici. Qualcuno fa addirittura apparire alcuni personaggi chiave della storia della scienza come una sorta di idioti, privi di ogni ingegno, che per pura fortuna e/o opportunismo sono riusciti a combinare qualcosa di buono[2]. Questi “divulgatori” magari possono avere meriti di altro tipo, ad esempio come performer teatrali, musicali e comici (per chi ama il genere), ma francamente non rendono un buon servizio né alla scienza né ai propri lettori-follower. Forniscono infatti un’immagine del tutto falsata di cosa sia la scienza e danno l’impressione che chiunque, anche un demente, possa sperare di fare importanti scoperte scientifiche. Questa non è divulgazione, ma completa banalizzazione della scienza che viene semplicemente utilizzata per fare umorismo di bassa lega e per acquisire facile popolarità tra un certo tipo di pubblico.
Sia un docente che un divulgatore devono avere l’onestà intellettuale e la serietà come principi ispiratori. Onestà intellettuale significa aderenza ai fatti scientifici e storici: non si possono inventare di sana pianta alcune affermazioni o manipolarne altre semplicemente per sostenere le proprie tesi preconcette. Serietà significa aver ben chiari gli obiettivi del proprio compito e cercare di raggiungerli in modo corretto, senza utilizzare sotterfugi di bassa lega per acquisire facili consensi.
Note
1) S. Bencivelli, F.P. De Ceglia, Comunicare la scienza, Carocci, Roma 2013; D. Gouthier, Scrivere di scienza. Esercizi e buone pratiche per divulgatori, giornalisti, insegnanti e ricercatori di oggi, Codice, Torino 2019.
2) A.R. Longo, “Premio immeritato per «Il genio non esiste» di Barbascura X”, Scienza in rete, 28 gennaio 2021: https://tinyurl.com/gbr54g3g .