È importante sapere a che punto ha avuto inizio veramente la vita. Nei precedenti articoli abbiamo visto come un virus, che è una struttura notevolmente complessa composta di DNA e proteina, sia già qualcosa in grado di replicarsi. Il virus però ha bisogno di una cellula per questa sua replicazione, cioè necessita di un organismo già vivente, anche se si può ipotizzare che in passato certi virus potessero replicarsi usando semplicemente involucri di proteina. La vita sulla Terra non si è accesa come una lampadina, ma piuttosto come quelle lampade teatrali che si illuminano poco alla volta. O come per il passaggio dalla notte al giorno: è difficile dividere nettamente una cosa dall'altra.
Secondo i ricercatori che si occupano dell'origine della vita, vi è stata una gradualità nel passaggio, così come nella costruzione delle strutture che hanno portato alle forme viventi. Noi possiamo vedere chiaramente le due estremità, cioè la non vita e la vita; ma c'è una continuità tra le due cose, e a questo punto la definizione di vita diventa forse una questione di interpretazione. Dipende da come uno scienziato si pone di fronte a questo problema. Alcuni ritengono che la vita cominci nel momento in cui la sintesi proteica e il DNA si uniscono (ed effettivamente questo è un momento molto importante per l'origine della vita). Altri ritengono che non sia sufficiente avere la sintesi proteica, ma sia necessario che ciò avvenga all'interno di una cellula, o comunque in una zona confinata di qualche tipo, in un sistema "separato".
Per noi l'idea di vita è associata naturalmente anche a quella di movimento, di capacità di reagire e di muoversi autonomamente, di nutrirsi. A che punto, nel montaggio molecolare, le molecole che erano per così dire passive diventano attive? In questo senso, un momento molto importante nell'evoluzione della vita è stato l'apparizione di un primitivo metabolismo. Cioè la capacità di una molecola non soltanto di riprodursi, ma di imparare a costruire dei pezzi in grado di modificare il proprio ambiente chimicamente, e di distruggerli, poi, per rifarne altri, e così via.
Uno dei punti su cui sembra esserci accordo è che la vita, comunque siano andate le cose, è cominciata nell'acqua, cioè dove si sono formate e si sono assemblate per milioni di anni le molecole organiche, sotto l'azione dell'energia solare, o di quella dei vulcani sottomarini. L'acqua presentava un gran numero di vantaggi: per esempio proteggeva le prime molecole organiche dai raggi ultravioletti, la temperatura era più stabile, l'ambiente liquido favoriva la riproduzione, la minore gravità facilitava i movimenti. Si ritiene quindi che negli oceani iniziò la vita e dall'acqua emersero i primi organismi, pronti ad affrontare la grande avventura della superficie terrestre.
Possiamo a questo punto chiederci se per caso la vita abbia avuto non uno, ma più inizi: cioè se nel "brodo primordiale" ci siano stati altri tipi di molecole, diverse dal DNA, capaci di replicarsi; e se in definitiva sia prevalso un solo modello (appunto il DNA), rivelatosi il più adatto e il più efficiente. Un modello che, dopo essere partito da una famiglia di molecole, se non proprio da una sola molecola, ha poi seminato la vita sulla superficie terrestre.
Su questo punto molti ricercatori oggi sono d'accordo: tutte le forme viventi della Terra sembrano aver avuto un solo inizio, avvenuto circa tre miliardi e mezzo di anni fa. Se Darwin avesse conosciuto la struttura di tali molecole, avrebbe fornito la seguente spiegazione: che, replicandosi, queste molecole a volte commettevano degli errori; se per caso certi errori si fossero rivelati più utili all'efficienza della struttura, era quella molecola a essere scelta e selezionata. In questo modo poterono svilupparsi famiglie di molecole capaci di replicarsi meglio, più in fretta, e da queste famiglie ne derivò finalmente una dalla quale probabilmente discendono tutte le forme viventi. Tra tutte le cellule esistenti in natura vi è una straordinaria unitarietà, una sorprendente parentela che sembra proprio indicare l'origine comune di ogni forma vivente. Un cane, una cavalletta, un limone, un rinoceronte, una medusa, un garofano, un protozoo, un pappagallo, una noce, un tonno, un uomo: tutti parenti.
Ciò che continua a stupire è il fatto che una molecola del tipo del DNA sia virtualmente identica in un batterio primitivo, in un albero, in una cellula umana, così com'è sorprendentemente simile il meccanismo alla base della formazione di proteine ed enzimi. Naturalmente vi sono notevoli differenze che distinguono le nostre cellule da quelle delle piante, per esempio, oppure dei batteri, ma l'evoluzione ha, in pratica, adottato questo unico modello per ricamarci sopra, giungendo in definitiva a certe peculiarità come quelle che permettono di sviluppare una farfalla, un'orchidea o un essere umano.
Allo stadio attuale delle conoscenze, per noi è più difficile capire il passaggio dalle prime forme molecolari al batterio che non quello dal batterio all'uomo. Quando l'evoluzione giunge a questo punto, i dati a disposizione e il confronto tra similitudini e differenze ci permettono di valutare con sufficiente precisione quanto tempo è stato necessario per passare da una forma all'altra. Mentre per il periodo precedente, quello tra le primitive forme molecolari e la nascita di un batterio, si possono fare soltanto ipotesi.
Tra il primo amminoacido e il primo batterio esiste infatti un intervallo di mezzo miliardo di anni, o forse più, in cui non sappiamo precisamente cosa sia avvenuto. Ci sono ipotesi, qualche buon esperimento e alcune valide osservazioni, ma manca ancora l'esatta sequenza degli avvenimenti.
Oggi abbiamo acquisito molte conoscenze. La questione non è più se è possibile costruire degli amminoacidi (poiché ciò è stato ormai realizzato), ma se per studiarne l'origine bisogna continuare sulla strada delle scariche elettriche nell'atmosfera o su quella dei meteoriti, oppure dell'attività vulcanica. Ci sono diverse possibilità di ricerca, e il problema attuale è quello di comprendere meglio quale direzione prendere. Per ora gli scienziati pensano di aver capito il tracciato, ma non possono affatto vedere i dettagli. Per questo, probabilmente, ci vorrà molto tempo.
Da tutto ciò che si è imparato in questi ultimi anni si possono trarre conclusioni circa la probabilità che il processo di montaggio molecolare della vita abbia avuto luogo anche altrove, su altri pianeti? Possiamo soltanto tirare a indovinare, perché ognuno potrebbe dire la sua, dal momento che manca qualsiasi prova o indizio. Rimaniamo dunque nel campo delle ipotesi, delle opinioni. Tuttavia, molti hanno la sensazione che, in definitiva, qualcosa ci possa essere. Le leggi della fisica e della chimica, per quanto se ne sa, valgono in tutto l'universo; il numero degli astri è enorme; i tempi a disposizione sono molto lunghi; gli elementi chimici che costituiscono la vita terrestre sono i più diffusi nel cosmo; nello spazio sono già state trovate molecole organiche; la storia dei pianeti è regolata dagli stessi meccanismi ovunque; e solo nella Via Lattea ci sono più di 100 o 200 miliardi di stelle. L'impressione comune è che se si riesce a superare la prima fase, quella che permette di passare dalle molecole organiche a un semplice batterio, il meccanismo della selezione naturale potrebbe portare gradualmente all'apparizione di forme sempre più evolute e complesse.
Un'ultima cosa, per concludere, che mi colpì molto ai miei esordi di divulgatore scientifico: la scoperta dell'estrema complessità del vivente, una complessità che lascia davvero a bocca aperta.
Pensate che in una goccia di sangue di un millimetro cubo vi sono circa cinque milioni di globuli rossi. Se guardiamo all'interno di un singolo globulo notiamo che contiene 280 milioni di molecole di emoglobina. Una molecola di emoglobina è composta di circa 10.000 atomi e questi atomi hanno una loro precisa collocazione spaziale, strutturale. È sufficiente sostituire nelle molecole di emoglobina tre atomi di carbonio in una certa posizione, eliminandone due di ossigeno, per provocare la morte dell'individuo. Queste cose me le spiegava il professor Max Perutz, premio Nobel, che da trent'anni studiava la struttura della molecola di emoglobina. Nel suo laboratorio all'Università di Cambridge, su una specie di tavolo da ping-pong aveva ricostruito, con una serie di fili di ferro, bulloncini e morsetti, la struttura spaziale di una molecola di emoglobina. «Ho dedicato tutta la vita alla scoperta di questa struttura, e devo dirle che non ho ancora finito. Pensi che l'emoglobina è soltanto una delle grandi molecole che appartengono alla classe degli enzimi, e di tipi di enzimi (cioè di modelli diversi) si suppone ve ne siano svariati milioni nel corpo umano. Noi ne conosciamo pochissimi, per ora. Questo le lascia immaginare» sospirò Perutz «quanto sia complicato il nostro organismo, e quanto siamo ancora indietro, malgrado tutti i progressi.» Insomma, a livello molecolare (o addirittura a livello atomico), il nostro corpo sbalordisce per la sua straordinaria complessità e precisione. È quasi incredibile che tutto riesca a funzionare a dovere, che non vi siano alterazioni ogni secondo, dal momento che un piccolo spostamento di atomi è sufficiente per provocare la morte.
Visto nel suo insieme, effettivamente l'organismo non può darci la chiave per capire come possano essersi organizzate delle strutture vitali così complesse, per la semplice ragione che un organismo è il punto d'arrivo di un processo evolutivo durato miliardi di anni. E come se, dopo aver ascoltato un pianista, ci mettessimo al pianoforte per la prima volta. Potremmo riprendere la frase di prima e dire che l'esecuzione del pianista «sbalordisce per la sua straordinaria complessità e precisione. È quasi incredibile che tutto riesca a funzionare a dovere, e che non vi siano "stecche" ogni secondo, dal momento che un piccolo spostamento di note è sufficiente per provocare la morte dell'esecuzione». Com'è ovvio, la risposta è che l'esecuzione dei pianista è il culmine di un lungo processo cominciato con le scale, gli arpeggi, i pezzi facili, per continuare poi con quelli sempre più complessi, più "strutturati", fino ad arrivare al brano da concerto. E cioè una lenta evoluzione, lungo la quale sono state eliminate via via tutte le stecche e i difetti. In realtà sono stati scartati anche tutti i pianisti che non erano in grado di arrivare alla sala da concerto. Per l'uomo è accaduta la stessa cosa: la vita è passata dalle prime lettere chimiche alle pagine, ai volumi, all'enciclopedia. E a questo punto sarà bene portare il discorso sull'evoluzione, e vedere come si è passati dal semplice al complesso, dalle pagine sciolte all'enciclopedia.
Piero Angela Giornalista e scrittore. Il suo ultimo libro si intitola Ti amerò per sempre (Mondadori, 2005).
Secondo i ricercatori che si occupano dell'origine della vita, vi è stata una gradualità nel passaggio, così come nella costruzione delle strutture che hanno portato alle forme viventi. Noi possiamo vedere chiaramente le due estremità, cioè la non vita e la vita; ma c'è una continuità tra le due cose, e a questo punto la definizione di vita diventa forse una questione di interpretazione. Dipende da come uno scienziato si pone di fronte a questo problema. Alcuni ritengono che la vita cominci nel momento in cui la sintesi proteica e il DNA si uniscono (ed effettivamente questo è un momento molto importante per l'origine della vita). Altri ritengono che non sia sufficiente avere la sintesi proteica, ma sia necessario che ciò avvenga all'interno di una cellula, o comunque in una zona confinata di qualche tipo, in un sistema "separato".
Per noi l'idea di vita è associata naturalmente anche a quella di movimento, di capacità di reagire e di muoversi autonomamente, di nutrirsi. A che punto, nel montaggio molecolare, le molecole che erano per così dire passive diventano attive? In questo senso, un momento molto importante nell'evoluzione della vita è stato l'apparizione di un primitivo metabolismo. Cioè la capacità di una molecola non soltanto di riprodursi, ma di imparare a costruire dei pezzi in grado di modificare il proprio ambiente chimicamente, e di distruggerli, poi, per rifarne altri, e così via.
Uno dei punti su cui sembra esserci accordo è che la vita, comunque siano andate le cose, è cominciata nell'acqua, cioè dove si sono formate e si sono assemblate per milioni di anni le molecole organiche, sotto l'azione dell'energia solare, o di quella dei vulcani sottomarini. L'acqua presentava un gran numero di vantaggi: per esempio proteggeva le prime molecole organiche dai raggi ultravioletti, la temperatura era più stabile, l'ambiente liquido favoriva la riproduzione, la minore gravità facilitava i movimenti. Si ritiene quindi che negli oceani iniziò la vita e dall'acqua emersero i primi organismi, pronti ad affrontare la grande avventura della superficie terrestre.
Possiamo a questo punto chiederci se per caso la vita abbia avuto non uno, ma più inizi: cioè se nel "brodo primordiale" ci siano stati altri tipi di molecole, diverse dal DNA, capaci di replicarsi; e se in definitiva sia prevalso un solo modello (appunto il DNA), rivelatosi il più adatto e il più efficiente. Un modello che, dopo essere partito da una famiglia di molecole, se non proprio da una sola molecola, ha poi seminato la vita sulla superficie terrestre.
Su questo punto molti ricercatori oggi sono d'accordo: tutte le forme viventi della Terra sembrano aver avuto un solo inizio, avvenuto circa tre miliardi e mezzo di anni fa. Se Darwin avesse conosciuto la struttura di tali molecole, avrebbe fornito la seguente spiegazione: che, replicandosi, queste molecole a volte commettevano degli errori; se per caso certi errori si fossero rivelati più utili all'efficienza della struttura, era quella molecola a essere scelta e selezionata. In questo modo poterono svilupparsi famiglie di molecole capaci di replicarsi meglio, più in fretta, e da queste famiglie ne derivò finalmente una dalla quale probabilmente discendono tutte le forme viventi. Tra tutte le cellule esistenti in natura vi è una straordinaria unitarietà, una sorprendente parentela che sembra proprio indicare l'origine comune di ogni forma vivente. Un cane, una cavalletta, un limone, un rinoceronte, una medusa, un garofano, un protozoo, un pappagallo, una noce, un tonno, un uomo: tutti parenti.
Ciò che continua a stupire è il fatto che una molecola del tipo del DNA sia virtualmente identica in un batterio primitivo, in un albero, in una cellula umana, così com'è sorprendentemente simile il meccanismo alla base della formazione di proteine ed enzimi. Naturalmente vi sono notevoli differenze che distinguono le nostre cellule da quelle delle piante, per esempio, oppure dei batteri, ma l'evoluzione ha, in pratica, adottato questo unico modello per ricamarci sopra, giungendo in definitiva a certe peculiarità come quelle che permettono di sviluppare una farfalla, un'orchidea o un essere umano.
Allo stadio attuale delle conoscenze, per noi è più difficile capire il passaggio dalle prime forme molecolari al batterio che non quello dal batterio all'uomo. Quando l'evoluzione giunge a questo punto, i dati a disposizione e il confronto tra similitudini e differenze ci permettono di valutare con sufficiente precisione quanto tempo è stato necessario per passare da una forma all'altra. Mentre per il periodo precedente, quello tra le primitive forme molecolari e la nascita di un batterio, si possono fare soltanto ipotesi.
Tra il primo amminoacido e il primo batterio esiste infatti un intervallo di mezzo miliardo di anni, o forse più, in cui non sappiamo precisamente cosa sia avvenuto. Ci sono ipotesi, qualche buon esperimento e alcune valide osservazioni, ma manca ancora l'esatta sequenza degli avvenimenti.
Oggi abbiamo acquisito molte conoscenze. La questione non è più se è possibile costruire degli amminoacidi (poiché ciò è stato ormai realizzato), ma se per studiarne l'origine bisogna continuare sulla strada delle scariche elettriche nell'atmosfera o su quella dei meteoriti, oppure dell'attività vulcanica. Ci sono diverse possibilità di ricerca, e il problema attuale è quello di comprendere meglio quale direzione prendere. Per ora gli scienziati pensano di aver capito il tracciato, ma non possono affatto vedere i dettagli. Per questo, probabilmente, ci vorrà molto tempo.
Da tutto ciò che si è imparato in questi ultimi anni si possono trarre conclusioni circa la probabilità che il processo di montaggio molecolare della vita abbia avuto luogo anche altrove, su altri pianeti? Possiamo soltanto tirare a indovinare, perché ognuno potrebbe dire la sua, dal momento che manca qualsiasi prova o indizio. Rimaniamo dunque nel campo delle ipotesi, delle opinioni. Tuttavia, molti hanno la sensazione che, in definitiva, qualcosa ci possa essere. Le leggi della fisica e della chimica, per quanto se ne sa, valgono in tutto l'universo; il numero degli astri è enorme; i tempi a disposizione sono molto lunghi; gli elementi chimici che costituiscono la vita terrestre sono i più diffusi nel cosmo; nello spazio sono già state trovate molecole organiche; la storia dei pianeti è regolata dagli stessi meccanismi ovunque; e solo nella Via Lattea ci sono più di 100 o 200 miliardi di stelle. L'impressione comune è che se si riesce a superare la prima fase, quella che permette di passare dalle molecole organiche a un semplice batterio, il meccanismo della selezione naturale potrebbe portare gradualmente all'apparizione di forme sempre più evolute e complesse.
Un'ultima cosa, per concludere, che mi colpì molto ai miei esordi di divulgatore scientifico: la scoperta dell'estrema complessità del vivente, una complessità che lascia davvero a bocca aperta.
Pensate che in una goccia di sangue di un millimetro cubo vi sono circa cinque milioni di globuli rossi. Se guardiamo all'interno di un singolo globulo notiamo che contiene 280 milioni di molecole di emoglobina. Una molecola di emoglobina è composta di circa 10.000 atomi e questi atomi hanno una loro precisa collocazione spaziale, strutturale. È sufficiente sostituire nelle molecole di emoglobina tre atomi di carbonio in una certa posizione, eliminandone due di ossigeno, per provocare la morte dell'individuo. Queste cose me le spiegava il professor Max Perutz, premio Nobel, che da trent'anni studiava la struttura della molecola di emoglobina. Nel suo laboratorio all'Università di Cambridge, su una specie di tavolo da ping-pong aveva ricostruito, con una serie di fili di ferro, bulloncini e morsetti, la struttura spaziale di una molecola di emoglobina. «Ho dedicato tutta la vita alla scoperta di questa struttura, e devo dirle che non ho ancora finito. Pensi che l'emoglobina è soltanto una delle grandi molecole che appartengono alla classe degli enzimi, e di tipi di enzimi (cioè di modelli diversi) si suppone ve ne siano svariati milioni nel corpo umano. Noi ne conosciamo pochissimi, per ora. Questo le lascia immaginare» sospirò Perutz «quanto sia complicato il nostro organismo, e quanto siamo ancora indietro, malgrado tutti i progressi.» Insomma, a livello molecolare (o addirittura a livello atomico), il nostro corpo sbalordisce per la sua straordinaria complessità e precisione. È quasi incredibile che tutto riesca a funzionare a dovere, che non vi siano alterazioni ogni secondo, dal momento che un piccolo spostamento di atomi è sufficiente per provocare la morte.
Visto nel suo insieme, effettivamente l'organismo non può darci la chiave per capire come possano essersi organizzate delle strutture vitali così complesse, per la semplice ragione che un organismo è il punto d'arrivo di un processo evolutivo durato miliardi di anni. E come se, dopo aver ascoltato un pianista, ci mettessimo al pianoforte per la prima volta. Potremmo riprendere la frase di prima e dire che l'esecuzione del pianista «sbalordisce per la sua straordinaria complessità e precisione. È quasi incredibile che tutto riesca a funzionare a dovere, e che non vi siano "stecche" ogni secondo, dal momento che un piccolo spostamento di note è sufficiente per provocare la morte dell'esecuzione». Com'è ovvio, la risposta è che l'esecuzione dei pianista è il culmine di un lungo processo cominciato con le scale, gli arpeggi, i pezzi facili, per continuare poi con quelli sempre più complessi, più "strutturati", fino ad arrivare al brano da concerto. E cioè una lenta evoluzione, lungo la quale sono state eliminate via via tutte le stecche e i difetti. In realtà sono stati scartati anche tutti i pianisti che non erano in grado di arrivare alla sala da concerto. Per l'uomo è accaduta la stessa cosa: la vita è passata dalle prime lettere chimiche alle pagine, ai volumi, all'enciclopedia. E a questo punto sarà bene portare il discorso sull'evoluzione, e vedere come si è passati dal semplice al complesso, dalle pagine sciolte all'enciclopedia.
Piero Angela Giornalista e scrittore. Il suo ultimo libro si intitola Ti amerò per sempre (Mondadori, 2005).