L'altra medicina

Una valutazione scientifica

  • In Articoli
  • 23-07-2002
  • di Giovanni Federspil, Cesare Scandellari

Negli ultimi anni si è assistito in Italia e in genere in tutti i paesi occidentali, a una enorme diffusione delle più varie forme di medicina alternativa. Tale fenomeno è stato accompagnato da una vera esplosione dell'interesse collettivo verso le diverse dottrine che sono alla base delle singole pratiche terapeutiche.

Per quanto possa apparire strano che, in un periodo in cui le scienze biomediche stanno mietendo tanti successi, l'attenzione pubblica sia rivolta verso queste pratiche mediche alternative, è tuttavia necessario riconoscere che questa attenzione rientra in quel più vasto movimento di opinione odierno che guarda alla scienza con sospetto o addirittura con ostilità e che, dando credito alle più varie forme di irrazionalismo, vagheggia un ritorno a un immaginario regno della natura incontaminata (si veda l'articolo "Tendenze antiscientifiche nell'Unione Sovietica" di Sergej Kapitza in Le Scienze n. 278, ottobre 1991).

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Nella "medicina alternativa" sono comprese svariate dottrine e/o numerose pratiche mediche accomunate soltanto dal fatto di essere estranee alla medicina scientifica. Indicate con vari nomi, medicine eretiche, medicine naturali, medicine non-convenzionali, medicine dolci, medicine parallele, medicina non-ufficiale, si fondano su dottrine e prassi che hanno uno statuto scientifico molto differente; mentre infatti alcune di esse sono vere e proprie pratiche empiriche - come l'erboristeria e la chiropratica - , altre affondano le loro radici in un pensiero molto lontano dalla impostazione razionale del pensiero scientifico. Altre medicine eretiche sembrano, infine confinare con le tradizioni esoteriche o addirittura con la magia.

In questo articolo verranno descritte tre fra le principali medicine eretiche oggi diffuse: l'omeopatia, l'agopuntura cinese e la pranoterapia. Esporremo poi alcune considerazioni intorno al valore ditali pratiche mediche in rapporto alle conoscenze scientifiche che attualmente possediamo.

La medicina omeopatica

Fra le medicine alternative, quella meno lontana dalla scienza moderna è, sia per la sua origine sia per il suo contenuto, l'omeopatia.

L'omeopatia nacque in Germania verso la fine del XVIII secolo per opera di un medico sassone, Samuel Hahnemann (1755-1843). Per comprenderne in modo adeguato la natura, è indispensabile conoscere qual era la situazione generale della medicina nel momento in cui questa nuova dottrina vide la luce.

Fra la fine del XVIII e i primi decenni del XIX secolo la medicina europea era andata incontro a una serie di cambiamenti concettuali che ne avevano mutato profondamente l'assetto. Dopo che l'opera di Giovan Battista Morgagni (1682-1771) e quella di Albrecht von Haller (1708-1777) avevano dato vita all'anatomia patologica e alla fisiologia moderna, la clinica basata sugli antichissimi precetti di Galeno mostrava chiaramente tutta la propria insufficienza. In questo nuovo clima i medici cercavano di svincolarsi dalla tradizione e di battere nuove vie che permettessero di rinnovare sia la teoria sia la prassi della medicina. In tutta l'Europa vennero concepite e proposte numerose dottrine, chiamate "sistemi medici", che tendevano a interpretare l'enorme varietà dei fenomeni morbosi sulla base di poche idee molto semplici. Queste teorie, spesso basate su speculazioni filosofiche, risentivano in misura più o meno evidente del clima culturale europeo che, all'epoca, era fortemente influenzato dalla filosofia tedesca della natura. Esse erano caratterizzate da pochi concetti schematici che permettevano di spiegare facilmente un grandissimo numero di fatti clinici e si presentavano come sistemi di idee coerenti e onnicomprensivi che venivano formulati in modo definitivo e che erano quindi del tutto incapaci di venire corretti dall'esperienza. I principali di questi sistemi furono il brownismo, originatosi in Inghilterra, il mesmerismo e il broussarismo in Francia, la dottrina del controstimolo di Giovanni Rasori (1766-1837) in Italia, la frenologia di Franz Joseph Gall (1758-1828) e, appunto, l'omeopatia di Hahnemann in Germania e in Francia.

Nella formulazione originale che ne diede Hahnemann, l'omeopatia si basa su una serie di principi fisiologici, patologici, farmacologici e diagnostico-terapeutici che ne fanno una dottrina unitaria e complessa. Nell'ultima edizione della sua opera maggiore, l'Organon, Hahnemann scrive che il funzionamento dell'organismo è dovuto a una "energia vitale immateriale che anima la parte materiale del corpo umano e mantiene l'armonia fra le varie componenti dell'organismo". La malattia in generale, e più specificamente le diverse malattie croniche, sono dovute "a un turbamento di questa energia vitale immateriale", turbamento che deriva dal difettoso stile di vita dell'uomo malato.

A questa concezione generale sulla natura delle malattie Hahneman affiancò anche una propria nosografia, vale a dire una classificazione e una descrizione delle varie malattie croniche. Queste sarebbero soltanto tre: la psora, la lue e la sicosi. La prima fra queste - la psora - è la più grave e la più diffusa delle malattie, quella che provoca tutte le varie affezioni che la medicina identifica e descrive come malattie distinte: dalla cataratta ai disturbi spastici, dalla gotta alla sterilità, dai tumori benigni e maligni alle emottisi.

Nella prassi medica dominante del XVIII e del XIX secolo, in presenza di una certa malattia venivano somministrati quei farmaci che erano in grado di combattere i sintomi del paziente e tale strategia terapeutica veniva sintetizzata nel principio galenico "contraria contrariis curantur". Hahnemann, partendo da alcune osservazioni occasionali, ritenne di aver constatato che ogni medicamento, quando veniva somministrato nelle dosi usuali a un soggetto sano, provocava una serie di sintomi che riproducevano quelli osservabili in certe malattie. Partendo da questa constatazione egli propose di somministrare nelle diverse forme morbose proprio quei farmaci che, nel soggetto sano, provocavano la comparsa di una sintomatologia uguale a quella della malattia in esame. Così, mentre per esempio i medici suoi contemporanei in un paziente febbricitante somministravano un farmaco capace di ridurre la febbre, Hahnemann prescriveva a quel paziente un farmaco capace di provocare nel sano una sintomatologia febbrile. In tal modo egli oppose al comune principio terapeutico dei contrari un principio opposto, il principio dei simili, sintetizzato nell'aforisma "similia similibus curantur". Sulla base di tale distinzione, alla comune pratica medica diede il nome di "allopatia" e alla propria dottrina quello di "omeopatia".

Al principio dei simili Hahnemann ne aggiunse presto un secondo, quello delle diluizioni infinitesimali. Sperimentando nell'uomo vari medicamenti, egli ritenne di individuare una nuova legge terapeutica secondo la quale l'effetto di un medicamento, con il ridursi delle dosi, invece di diminuire aumentava progressivamente. Se quindi una sostanza terapeutica veniva diluita sciogliendone un grammo in 10 o in 100 parti di acqua e se poi si diluiva 1 millilitro di questa prima soluzione in 10 o in 100 millilitri di acqua e si ripeteva quest'ultima operazione per 10, 20, 30 o più volte, si potevano raggiungere effetti terapeutici estremamente potenti. Infine, a questo secondo principio Hahnemann ne aggiunse un terzo, quello della dinamizzazione. Egli ritenne, infatti, di avere scoperto che l'effetto terapeutico di un farmaco diluito poteva venire ulteriormente aumentato sottoponendo il farmaco stesso a una serie di scuotimenti manuali.

Al di là di questi principi farmacologici, Hahnemann modificò profondamente anche la pratica clinica, cosicché ancora oggi il procedimento clinico omeopatico si presenta radicalmente diverso da quello della medicina scientifica. Mentre il medico comune si sforza di formulare una diagnosi quanto più possibile esatta, il medico omeopatico ortodosso non ha alcun bisogno di raggiungere una diagnosi precisa basata sulla comune classificazione delle malattie. La medicina omeopatica, infatti, non attribuisce alla malattia una realtà piena e sottolinea soprattutto l'esistenza degli uomini malati; l'interesse del medico omeopatico è quindi rivolto, più che a diagnosticare una malattia, ad analizzare la sintomatologia del malato e a individuare il farmaco simillimum, il farmaco cioè che, provocando nel sano sintomi uguali a quelli del paziente, porterà quest'ultimo alla guarigione.

Si comprende quindi perché la semeiologia del medico omeopatico non abbia nulla a che fare con quella scientifica che è fondata sulla microbiologia, sulla anatomia patologica e sulla fisiopatologia moderna. Per l'omeopata i segni rilevanti non consistono in modificazioni della forma o della struttura degli organi né in alterazioni funzionali o biochimiche, ma nei disturbi del malato che riproducono quelli osservati dopo la somministrazione di questo o quel farmaco. Egli cioè cerca la "patogenesi del rimedio".

Una volta compiuta la "diagnosi individuale", cioè una volta accertato che i disturbi presentati da un paziente sono uguali o almeno molto simili a quelli provocati da un certo medicamento, il medico omeopatico passa alla fase terapeutica somministrando quella sostanza a dosi infinitesimali.

Da questa breve esposizione della dottrina di Hahnemann risulta evidente che nella prassi omeopatica l'attenzione maggiore del medico è rivolta verso la fase terapeutica e che la diagnosi di malattia vi svolge un ruolo secondario. Sul piano storico ciò non deve stupire, poiché costituisce una caratteristica di tutti i sistemi medici del primo Ottocento, nei quali la classificazione delle malattie e la diagnostica corrispondente erano state ipersemplificate, e l'impegno clinico era tutto concentrato nella scelta dei provvedimenti terapeutici.

Sulla base della costruzione teorica che aveva elaborato, il medico sassone continuò a praticare la medicina peregrinando con alterne fortune in varie città tedesche fino a giungere a Parigi, dove ottenne una notevolissima fama professionale e sociale.

Fortemente osteggiato dal mondo della medicina ufficiale, Hahnemann seppe radunare intorno a sé un gruppo di allievi entusiasti i quali iniziarono a diffondere l'omeopatia in tutti i paesi d'Europa. Dopo un primo periodo di notevole successo, nella seconda metà dell'Ottocento essa conobbe una lunga eclissi e soltanto intorno al 1920 ricominciò a diffondersi nella maggior parte dei paesi occidentali.

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Dopo la scomparsa di Hahnemann, la diffusione dell'omeopatia si accompagnò alla nascita di accesi contrasti fra gli omeopati, e questi contrasti finirono poi per dare origine a differenti indirizzi teorico-pratici e ad altrettante scuole. Negli Stati Uniti Costantino Hering (1800-1880) fondò una scuola secondo la quale i malati dovevano essere curati con gli stessi prodotti patologici della loro malattia, come, per esempio, il pus gonococcico nella cura della gonorrea. Sempre negli Stati Uniti J. Tyler Kent (1849-1916) accentuò il carattere spiritualistico della dottrina hahnemanniana originale, mentre la scuola francese, con Léon Vannier, sviluppò la dottrina delle Costituzioni, identificando tre tipi fondamentali: carbonico, fluorico e fosforico. Fra gli esponenti della scuola argentina, Tomas Pablo Paschero ha sostenuto che la malattia è una perturbazione dello spirito originata da uno squilibrio fra intelletto e volontà, mentre Alfonso E. Masi ha identificato la psora con la vulnerabilità e l'irritabilità delle cellule.

Nel 1952 Hans Heinrich Reckeweg, cercando di avvicinare l'omeopatia ai concetti della biochimica moderna, ha proposto una nuova dottrina denominata omotossicologia, basata sull'assunto che tutte le aggressioni provenienti dall'ambiente sono dovute all'azione di non meglio precisate omotossine.

Sul piano pratico, poi, gli omeopati si sono divisi in unicisti, in pluralisti e in complessisti, a seconda che a un paziente venga prescritto un solo farmaco o più farmaci in sequenza o, infine, più farmaci contemporaneamente.

Le varie scuole omeopatiche oggi esistenti si differenziano fra loro per il diverso atteggiamento che assumono nei riguardi della dottrina originaria. Alcuni infatti affermano di volere una omeopatia che tenga conto dei progressi delle varie scienze biomediche e che collabori con la medicina ufficiale, mentre altri non intendono in alcun modo di doversi allontanare dalla teoria e dalla prassi elaborate da Hahnemann. Tuttavia, al di là dei contrasti che oppongono una scuola all'altra e al di là delle proclamazioni verbali di adesione alla scienza moderna, tutti i medici omeopatici si riconoscono nel ritenere validi i tre principi fondamentali enunciati da Hahnemann, la legge dei simili, il principio delle diluizioni infinitesimali e la dinamizzazione del rimedio omeopatico.

Una analisi approfondita delle varie tesi dell'omeopatia richiederebbe un altro articolo (v. a pag. 28 di questo S&P, n.d.r.), tuttavia anche questa rapida esposizione permette di svolgere alcune considerazioni critiche.

Nello sviluppo del pensiero medico la separazione fra sapere scientifico e sapere extrascientifico è avvenuta lentamente e con grande difficoltà lungo tutto l'arco del XVIII e del XIX secolo. A cavallo fra questi due secoli, i sistemi medici, che influenzavano buona parte del mondo accademico e di quello professionale, rappresentavano dottrine e pratiche mediche in cui le affermazioni scientifiche e quelle filosofiche erano ancora intrecciate molto strettamente. L'omeopatia, sorta come uno dei tanti sistemi, si è sempre mantenuta fedele ai principi teorici originari e si presenta ancora oggi come una teoria medica nella quale tesi scientifiche e tesi metafisiche sono strettamente commiste.

Analizzandone il contenuto è facile constatare che già sul piano della chimica le idee dell'omeopatia sono del tutto insostenibili. Quando infatti si diluisce una sostanza con la tecnica omeopatica si ottengono rapidamente diluizioni così elevate che, dopo pochi passaggi, non rimane che solvente puro. Come è ben noto, grazie al numero di Avogadro (la costante che indica il numero di molecole presenti in una grammomolecola di qualsiasi sostanza), conoscendo i grammi di una sostanza sciolti in una soluzione e il peso molecolare della sostanza stessa è possibile calcolare il numero delle molecole presenti in quella soluzione. Un farmacologo italiano, Luigi Sabbatani, ha dimostrato nel 1921 che, a partire dalla tredicesima diluizione centesimale, nelle preparazioni omeopatiche non esiste che solvente puro. Se si considera, quindi, che una delle diluizioni più usate è la trentesima e che gli omeopati possono giungere fino alla duecentesima, si può ben comprendere quanto sia assurdo ritenere che in questi preparati con l'aumentare della diluizione aumenti l'azione del rimedio.

Di fronte a questa confutazione della loro teoria gli omeopati, per spiegare i pretesi effetti terapeutici dei loro rimedi, hanno fatto ricorso a una serie di ipotesi fantasiose, prive di ogni supporto sperimentale. Mentre alcuni hanno sostenuto che la "dinamizzazione" del farmaco ottenuta mediante una serie di scosse libererebbe l'energia contenuta nell'atomo, altri ritengono che l'attività delle alte diluizioni sarebbe dovuta a un riaggiustamento molecolare del solvente, riaggiustamento che sarebbe specifico del principio attivo e del livello di diluizione considerato.

Il dibattito suscitato pochi anni or sono dai risultati ottenuti dal francese Jacques Benveniste sulla cosiddetta "memoria dell'acqua" ha avuto un'eco così larga perché da più parti quei risultati sono stati interpretati come una prova a favore dell'omeopatia. Senza entrare nella polemica sulla correttezza degli esperimenti, è evidente che quella ricerca, anche se avesse provato che l'acqua possiede una "memoria", dimostrerebbe solo la possibilità che le diluizioni infinitesimali agiscono e non costituirebbe in alcun modo la conferma di una dottrina complessa come l'omeopatia.

Anche sul piano più strettamente biomedico la credibilità dell'omeopatia non è migliore. Essa non solo adopera i farmaci a diluizioni prive di significato, ma non usa solitamente i medicamenti che la farmacologia moderna ha messo a disposizione della clinica. Restando ancorata agli usi e alla terminologia della prima metà dell'Ottocento, essa impiega come farmaci solo le sostanze minerali e vegetali che venivano adoperate al tempo di Hahnemann. La cosiddetta ricerca farmacologica e la patogenesi dell'omeopatia non hanno poi nulla in comune con la farmacologia e la fisiopatologia della medicina scientifica. L'azione di un rimedio non viene infatti descritta attraverso i suoi meccanismi fisiologici o biochimici, ma solo attraverso i segni che quel rimedio provoca nel soggetto sano. Considerando poi i sintomi attribuiti dagli omeopati a ciascun farmaco, si può constatare che il loro numero è enorme e che non hanno alcuna relazione con quanto è abitualmente descritto nella letteratura scientifica. Per esempio, nella prima edizione dell'Organon, al rimedio denominato Pulsatilla nigricans venivano attribuiti 309 sintomi, mentre, dopo soli 17 anni, nella seconda edizione, i sintomi erano passati a 1164 e nel volume di un altro autore essi erano addirittura 1323. Dai sintomi provocati da un farmaco gli omeopati, poi, ritengono di poter inferire l'esistenza di tipi umani a esso sensibili e di tipi corrispondenti alle azioni del farmaco stesso. Così, per esempio, un medico omeopata dei nostri giorni ha scritto che "il soggetto Pulsatilla si caratterizza per una atonia congenita o acquisita delle pareti venose, specie dei capillari" e che "in Pulsatilla tutto ciò che aumenta la congestione venosa peggiora il suo stato mentale". Quindi "le sue idee, così come il suo umore, sono capricciose, mutevoli e instabili... Pulsatilla è dolce, tenera, servizievole, timida e romantica. Pulsatilla, che è proprio l'opposto del tipo collerico, può anche divenire aggressiva, acida, violenta ed esplodere in crisi di rabbia... L'ipocrinia, specie ovarica, orienta sensibilmente il suo atteggiamento sessuale... Se si sposa diviene gelosa proprio perché non ha fiducia nelle sue limitate capacità sessuali".

In questo modo si è venuta elaborando una dottrina costituzionalistica tanto fantastica quanto arbitraria, che i medici omeopatici tengono in gran conto nella loro pratica quotidiana.

Nell'ambito della patologia, la dottrina omeopatica ignora totalmente le acquisizioni conseguite dalla scienza negli ultimi 200 anni. Nei manuali omeopatici, infatti, si cercherebbero invano riferimenti precisi all'anatomia e all'istologia patologica, alla microbiologia o alle alterazioni endocrino-metaboliche che rappresentano tanta parte del sapere medico contemporaneo.

Quando poi, come è avvenuto in qualche occasione, si è cercato di introdurre le idee omeopatiche nell'ambito delle conoscenze fisiopatologiche moderne, si è ottenuto soltanto un miscuglio confuso di concetti e di affermazioni del tutto privi di qualsiasi coerenza interna.

Passando infine alla terapia, ancora oggi non è stata fornita alcuna giustificazione razionale del principio hahnemanniano dei simili. In realtà, mentre il principio dei contrari, non avendo più alcun senso nell'ambito della medicina moderna, è stato abbandonato, i medici omeopatici continuano a considerare la legge dei simili come il cardine di ogni terapia. Tale legge, tuttavia, non trova alcuna giustificazione nelle conoscenze fisiopatologiche attuali e può al massimo costituire una regola dettata dall'esperienza terapeutica.

Allo scopo di sostenere la validità del principio "similia similibus curantur", i seguaci dell'omeopatia si sono appellati alla tecnica delle vaccinazioni, sostenendo che, con il suo impiego, la medicina scientifica non fa altro che applicare la dottrina omeopatica. Anche se nelle apparenze l'analogia può sembrare stretta, non altrettanto si può dire della sostanza. Le vaccinazioni hanno l'intento non tanto di riprodurre i sintomi della malattia (come vuole la teoria omeopatica), quanto quello di indurre nell'organismo vaccinato la produzione di anticorpi capaci di contrastare l'agente patogeno. E il fatto che l'obiettivo finale della vaccinazione sia l'apporto di anticorpi all'organismo malato è confermato dalla considerazione che, nella pratica terapeutica, la vaccinazione - in realtà utilizzata più per la prevenzione che per la cura delle malattie - è spesso sostituita dalla immunizzazione passiva, che consiste nella somministrazione diretta di anticorpi specifici.

Tuttavia, anche se si volesse ammettere che il principio delle vaccinazioni coincide col principio omeopatico, risulta chiaro che ciò non dimostra la validità del principio di Hahnemann. Mentre infatti quest'ultimo si presenta come un principio terapeutico generale, applicabile a tutte le forme morbose, la vaccinazione rappresenta un criterio profilattico-terapeutico di uso ben circoscritto.

Ma proprio perché il principio dei simili non può essere niente di più di una regola empirica, esso dovrebbe basarsi su prove ineccepibili. Se invece si analizzano le basi cliniche consensuali su cui tale principio viene affermato, si può constatare che, dal tempo di Hahnemann, ben poco cammino è stato compiuto sul piano dell'acquisizione dei fatti. Come le affermazioni terapeutiche riportate nell'Organon appaiono del tutto insufficienti per un medico contemporaneo, così la gran parte dei successi terapeutici vantati dai medici omeopatici si rivela scientificamente inconsistente.

L'agopuntura e la medicina cinese

Altrettanto diffusa dell'omeopatia è l'agopuntura cinese. Questa è una dottrina medica, sorta in Estremo Oriente un millennio circa prima di Cristo, e una tecnica terapeutica che, come scrive Joseph Needham in La medicina cinese (Il Saggiatore, Milano, 1982), "consiste nella infissione di aghi molto sottili in differenti parti del corpo e in punti precisamente specificati secondo uno schema che ha la struttura di una mappa".

Per quanto l'agopuntura sia spesso presentata isolatamente, essa in realtà fa parte di un gruppo di tecniche terapeutiche apparentate fra loro e basate su principi teorici derivati dalI'antica filosofia cinese. Fra queste le più note sono l'auricoloterapia, l'auricolodiagnostica, lo shiatsu e la moxibustione.

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Originatesi da osservazioni popolari casuali, l'agopuntura cinese si è andata arricchendo nei secoli di contenuti teorici sempre più complessi. In seguito, venendo a contatto con culture diverse, la teoria e la pratica dell'agopuntura hanno dato vita a molte varianti.

Secondo la dottrina classica che deriva direttamente dal taoismo, l'intero universo è attraversato da una energia primordiale, detta qi o tch'i, che lo anima. Questa energia possiede due aspetti strettamente interdipendenti, al punto che non può esistere senza l'altra: lo yang e lo yin. Lo yang è ciò che sta sopra rispetto a ciò che sta sotto, ciò che è non-materiale, ciò che è più caldo, più secco, più attivo, più vivo, ciò che sta a destra; lo yin è invece ciò che sta sotto, che è materiale, che è meno caldo, meno attivo, che sta a sinistra e così via.

In realtà, yang e yin non solo sono fra loro contrapposti, ma si compenetrano, in modo tale che nessuno di questi due principi è mai assolutamente puro e ognuno dei due contiene al suo interno tracce dell'altro; per questo motivo ogni cosa del mondo è yang ed è contemporaneamente yin: così, per esemplificare, la cintola è yang in rapporto ai piedi ed è yin in rapporto alla testa, e una temperatura di 10 gradi Celsius è yin in rapporto a 30 gradi ed è yang in rapporto a 0 gradi.

Nell'uomo l'energia universale costituisce la "forza vitale" o "pneuma" e circola in continuazione fluendo in canali sottilissimi situati sotto la pelle, i quali per definizione sono inosservabili. Il sistema reticolare di canali (detti meridiani o tratti) in cui la forza vitale (qi, di natura yang) scorre e viene trasportata a tutti i tessuti dell'organismo è costituito dai 12 canali principali (zhengjing), dai canali di intersezione (jingbie), dai canali di congiunzione (luo), dalle diramazioni (luomai, sunluo ed hengluo) "di cui nessuno conosce veramente la disposizione e che devono essere almeno 300". I canali emergono alla superficie del corpo in particolari zone, i punti, che sono sfruttate dai medici agopuntori per modificare il flusso dell'energia. Circa il numero dei punti esistenti regna un rilevante disaccordo: mentre un manuale classico, il Nei Jing, in correlazione simbolica con i giorni dell'anno, indicava l'esistenza di 365 punti, i punti erano già diventati 670 nel 1974 e negli ultimi anni il loro numero si è accresciuto.

Accanto all'energia yang che scorre nei canali (sistema jingjin e sistema jingluo), esiste un'energia yin che circola attraverso i vasi sanguigni (sistema jingmai) e che è ben separata dalla prima.

Secondo la medicina cinese, la vita è costituita dalla integrazione dello yang e dello yin e l'equilibrio di queste due forze rappresenta la condizione fondamentale della salute; il loro squilibrio è invece la causa prima della malattia e la loro separazione costituisce la morte. Nell'organismo, quando il flusso dell'energia si svolge regolarmente, si mantiene lo stato di salute; quando invece si verifica uno squilibrio nella circolazione dell'energia vengono prodotte le varie malattie. Se l'equilibrio fra yang e yin non viene mantenuto, si produce una serie di fenomeni, detti "di vittoria" o "di sconfitta", i quali non sono altro che manifestazioni patologiche; così, per esempio, lo yang vittorioso provoca i segni del caldo (febbre) mentre lo yin vittorioso provoca i segni del freddo (brividi).

Gli squilibri energetici possono manifestarsi a carico di ogni organo e possono consistere in un difetto o in un eccesso. Tali squilibri, che si formano nei visceri, vengono trasmessi dai tratti viscerali ai tratti superficiali cutanei dei meridiani. Se si considera che i punti regolano il flusso dell'energia lungo i vari meridiani, si capisce perché nella medicina cinese la stimolazione dei punti mediante aghi rappresenti un momento terapeutico fondamentale. Il compito del medico è solo quello di ripristinare il normale flusso dell'energia nell'organismo e per raggiungere questo scopo egli deve infiggere aghi metallici sottilissimi là dove l'energia scorre, favorendone od ostacolandone il flusso. Per correggere le alterazioni energetiche degli organi è tuttavia necessario conoscere i rapporti di gerarchia o di parentela che collegano un organo all'altro.

L'energia fluisce nell'organismo secondo il seguente ordine ciclico: polmone → intestino crasso → stomaco → milza → cuore → intestino tenue → vescica → rene → maitre coeur → tripode del calore → vescichetta biliare → fegato→ polmone e così di seguito. In tal modo ogni organo è "figlio" e "nipote" di alcuni visceri e "genitore" e "nonno" di altri. Queste parentele rappresentano un aspetto delle relazioni che esistono fra i cinque elementi primordiali della natura, il fuoco, la terra, il metallo, l'acqua e il legno, e che costituiscono il "ciclo creativo o ciclo Cheng".

Accanto a queste esistono poi relazioni inibitorie o di sottomissione fra i vari elementi che costituiscono il "ciclo distruttivo o ciclo k'eu". Nella medicina cinese esiste una corrispondenza fra i vari elementi primordiali e gli organi, cosicché, per esempio, al legno corrispondono il fegato e la cistifellea. Riunendo ora in un solo schema i due cicli e le varie corrispondenze fra elementi e organi, si ottiene l'illustrazione qui sopra. Variando l'energia di un organo si potranno quindi influenzare, positivamente o negativamente, gli organi a esso connessi; così, un aumento energetico del fegato produrrà un analogo aumento sul cuore (organo "figlio") e sulla milza e sullo stomaco (organi "nipoti"), mentre un vuoto energetico su un viscere determinerà un'aggressione su quel viscere da parte dell'organo "nonno" e del "genitore". L'agopuntura viene eseguita per "disperdere" (diminuire) o "tonificare" (aumentare) l'energia circolante sul meridiano corrispondente e di conseguenza sul rispettivo organo e sugli organi a esso collegati.

Tralasciando la parte diagnostica della medicina cinese, che è basata sull'esame dei polsi e che è particolarmente complessa, si può dire che gli agopuntori utilizzano in pratica mappe del corpo umano in cui si riconoscono i vari punti. Il medico deve dapprima diagnosticare il tipo di alterazione energetica e la sua localizzazione; da questi elementi deve poi risalire ai meridiani che corrispondono agli organi sofferenti e riconoscere i punti più adatti per apportare l'azione terapeutica; infine deve stabilire se si debba tonificare o disperdere l'energia. Nella pratica vengono impiantati in vari punti fino a 14 aghi d'oro, d'argento o d'acciaio inossidabile, che vengono lasciati in situ per 10-20 minuti.

La tecnica dell'infissione degli aghi fu chiamata agopuntura dai gesuiti, che nel XVII e XVIII secolo si erano stabiliti alla corte imperiale cinese. Essa fu fatta conoscere in Occidente da due diplomatici, Dabry de Thiersant (1863) e, soprattutto, G. Souliè de Morant, il quale verso il 1930 suscitò in Europa un grande interesse intorno alla medicina cinese.

Attualmente l'agopuntura, da sola o associata ad altre tecniche terapeutiche di origine orientale, è largamente praticata nei paesi occidentali, dove sono sorte numerose scuole di agopuntura che si contendono il campo. Le indicazioni della terapia con agopuntura cinese, proposte dai vari seguaci di questa dottrina, sono, in linea di principio, vastissime, pur variando notevolmente a seconda degli indirizzi dei diversi terapisti. Secondo gli agopuntori più vicini al pensiero tradizionale cinese l'agopuntura può dare benefici in patologie che vanno dalla tachicardia e dalla cefalea alla febbre, all'emottisi, alla diarrea, all'asma, ai disturbi ipofisari e così via.

Negli autori più vicini al pensiero scientifico si può notare una certa limitazione nelle indicazioni dell'agopuntura che col tempo sono sempre più circoscritte ad effetti analgesici. Secondo quanto viene affermato da più parti, l'azione analgesica della infissione degli aghi sarebbe così marcata da consentire di effettuare diversi tipi di interventi chirurgici somministrando basse dosi di farmaci o addirittura senza anestesia.

Tali risultati hanno spinto molti autori a tentare di spiegare l'analgesia da agopuntura sulla base delle attuali conoscenze fisiologiche. Questi studi vengono oggi condotti applicando per lo più concetti e tecniche che non appartengono alla tradizione culturale cinese e che sono invece derivati dalle attuali conoscenze scientifiche. È quindi ovvio che i risultati di queste ricerche - al di là dei nomi che vengono impiegati - non fanno parte dell'agopuntura cinese né possono in alcun modo costituire una convalida sperimentale di questa dottrina.

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L'agopuntura cinese si presenta, sul piano concettuale, molto più lontana dell'omeopatia dalla scienza moderna. Essa infatti non solo deriva da una filosofia estremamente distante dal pensiero razionale occidentale, ma fa costantemente uso di idee che non hanno alcun elemento in comune con le conoscenze biomediche attuali. A questo si deve aggiungere che i concetti più importanti a cui essa fa riferimento - l'energia, i canali, i punti - sono per definizione inosservabili e non possono quindi entrare a far parte del discorso scientifico.

Sul piano operativo i medici agopuntori vantano notevoli successi nei campi più disparati della patologia. Nella realtà, gli effetti dell'agopuntura cinese, quando sono stati studiati con i metodi rigorosi della sperimentazione clinica controllata, o si sono rivelati estremamente modesti o addirittura non sono stati confermati. Nelle sperimentazioni più moderne sotto il nome di agopuntura vengono solitamente, ma indebitamente, comprese varie tecniche stimolatorie che vanno dall'agopuntura cinese classica fino alla elettroagopuntura e alla stimolazione nervosa transcutanea. Questo stato di cose ha portato ad avvicinare l'agopuntura tradizionale alla "analgesia elettrica locale", creando confusioni e ambiguità nei termini. L'effetto analgesico ottenuto con varie tecniche agopunturali non è obbligatoriamente legato all'agopuntura cinese e può derivare da modificazioni del metabolismo della serotonina o dei peptidi oppioidi cerebrali. Esso è comunque tuttora in fase di studio.

 

La pranoterapia

Con questo termine si designa l'attività terapeutica svolta da alcuni individui -comunemente chiamati guaritori - che "intendono e ritengono di influire sullo stato di malattia mediante la semplice imposizione delle mani sul corpo del paziente (per contatto o a breve distanza) senza l'uso di altri mezzi".

Sul piano storico, pratiche pranoterapiche sono rintracciabili sia nelle civiltà più antiche, come quella egiziana, sia presso popolazioni molto primitive. Attualmente tale prassi, che fino a pochi decenni or sono era diffusa soprattutto negli ambienti rurali, si è estesa negli ambienti metropolitani. In realtà, il mondo della pranoterapia è poco strutturato sia sul piano sociale sia su quello concettuale, cosicché, per esempio, non esistono associazioni con le caratteristiche delle società scientifiche che riuniscano tutti coloro che attuano tale prassi terapeutica, né esistono pubblicazioni che riportino una descrizione obiettiva e sistematica dei risultati ottenuti dai guaritori.

Gran parte delle pratiche pranoterapiche viene effettuata in ambienti fortemente impregnati di magia o di spiritismo e da parte di persone del tutto prive di una qualsiasi cultura scientifica; tuttavia in alcuni casi esse vengono effettuate da persone in possesso di un regolare titolo di studio in medicina. Di fronte alla quasi totale mancanza di una seria documentazione scientifica, sta invece l'enorme numero di successi che i pranoterapeuti vantano nei più diversi campi della patologia. Mentre alcuni fra loro hanno sostenuto di aver guarito soggetti affetti da neoplasie o da cerebropatie organiche o da malattie demielinizzanti o da artrite reumatoide, altri ammettono di ottenere successi solo nelle forme morbose che non sono caratterizzate da lesioni anatomiche evidenti, e le cefalee o l'epilessia o le nevralgie.

Sul piano teorico la spiegazione più antica e più diffusa circa le guarigioni ottenute con l'imposizione delle mani attribuisce il fenomeno al passaggio dalle mani del guaritore al paziente di un quid che modificherebbe lo stato di malattia dell'organismo. Tale quid è stato variamente identificato con un fluido o con un'energia fisica di natura sconosciuta denominata energia bioradiante. In realtà, il termine pranoterapia deriva dal sanscrito prana che significa respiro, vitalità, forza e che non ha nulla a che vedere con una forma di energia.

Finora l'idea del passaggio di un quid tra guaritore e malato ha ricevuto differenti versioni. Secondo un noto medico-guaritore, la base della terapia bioradiante sarebbe "il trasferimento di energia biofisica, biopsichica biospirituale fra medico e malato". Il medico emetterebbe quindi onde bioradianti di energia terapeutica che influenzerebbero sia l'organismo sia la parte psichica e spirituale dell'uomo, portandolo a uno stato di letizia interiore.

Secondo gli autori della scuola russa, attorno a ogni organismo vivente esisterebbe uno stato particolare della materia, detto bioplasma, costituito da un insieme di particelle elementari e privo di struttura atomica. Il bioplasma permetterebbe appunto di trasferire l'energia da un organismo all'altro e spiegherebbe dunque la possibilità delle guarigioni indotte dai pranoterapeuti.

Negli anni settanta le immagini fotografiche di Semion D. Kirlian, che venivano ottenute facendo attraversare la pellicola da una scarica elettrica ad alta tensione e che mostravano l'esistenza di un alone luminoso intorno agli esseri viventi, furono considerate una prova dell'esistenza di una "bioaura", ovvero di "una specie di involucro pulsante pieno di energia" o anche di "un corpo di bioplasma con caratteristiche semimateriali, che collega il corpo immateriale a quello materiale". In realtà, più tardi si vide che tali immagini si potevano ottenere anche fotografando oggetti inanimati e che erano prodotte dalla ionizzazione dei gas che li circondavano.

Altri studiosi hanno invece attribuito le guarigioni ottenute con l'imposizione delle mani alla psicocinesi, cioè alla capacità della mente di agire sulla materia. Secondo Piero Cassoli e Giovanni Iannuzzo l'effetto placebo e la possibilità di un'azione psicosomatica, pur riuscendo a spiegare un numero notevole di guarigioni pranoterapeutiche, non potrebbero venire invocati in tutti i casi. Fondandosi sui risultati delle ricerche parapsicologiche, essi ammettono che alcuni soggetti possano influenzare un sistema fisico tramite un'azione mentale, ma ritengono che al processo di guarigione possa contribuire anche quella vaga entità che i parapsicologi chiamano "psi".

Come si vede, la situazione della pranoterapia appare del tutto singolare sul piano scientifico. Da un lato infatti si assume che nelle guarigioni ottenute con l'imposizione delle mani intervengano fattori misteriosi e del tutto ignoti alla scienza moderna, dall'altro la base osservativa registrata e descritta secondo i più comuni canoni dell'osservazione scientifica è pressoché assente. Nonostante siano sorte negli ultimi anni alcune società che intendono promuovere studi obiettivi in questo campo e nonostante l'apertura di credito che alcuni studiosi di varia formazione le hanno dato, la pranoterapia resta estremamente lontana da una qualsiasi ammissibilità scientifica e, per molti aspetti, si accosta alle pratiche magiche.

Fra i pochissimi studiosi che hanno cercato di fornire una documentazione adeguata dei risultati della pranoterapia, Cassoli ha classificato i suoi pazienti in nove classi decrescenti di attendibilità diagnostica e ne ha dato una obiettiva per quanto sommaria descrizione clinica. Analizzando questa casistica con i criteri comunemente adottati in clinica medica, si può constatare che, nella grande maggioranza dei casi, queste osservazioni cliniche non sono in alcun modo dimostrative dell'efficacia della pranoterapia, e che nei casi restanti il miglioramento clinico o non era dimostrato o poteva essere spontaneo.

Naturalmente, va sottolineato che anche se i risultati riportati suggerissero realmente un effetto della pranoterapia, essi non sarebbero ancora dimostrativi sul piano scientifico. È infatti evidente che i casi riportati sono stati scelti da una casistica molto più ampia ed è risaputo che una valutazione scientificamente rigorosa dei risultati di una qualsiasi terapia impone di presentare e di analizzare tutti i risultati ottenuti e non solo quelli che hanno avuto esito favorevole.

Come valutare le medicine alternative?

Come si è visto, le medicine alternative considerate fin qui sono tutte costituite da teorie che non possiedono punti di contatto con la scienza contemporanea o addirittura si presentano in aperto contrasto con quelle che al momento attuale sono le conoscenze scientifiche più consolidate e accreditate.

La prima caratteristica delle medicine alternative che colpisce l'osservatore è la loro aperta violazione del principio di sistematicità. Una caratteristica fondamentale della conoscenza scientifica è infatti la sua tendenza alla unitarietà, alla elaborazione cioè di un sapere sistematico che colleghi le varie discipline in un corpo integrato e coerente di conoscenze. Nel mondo delle medicine eretiche tale caratteristica è del tutto assente: ogni singola medicina, infatti, vive di una vita propria e non si cura di stabilire connessioni stabili fra le proprie teorie e quelle della

medicina scientifica o quelle delle altre medicine non-scientifiche.

Analizzando ogni singola dottrina si può notare una tendenza che è esattamente opposta a quella della scienza autentica. Mentre infatti in questa i ricercatori tendono a ridurre progressivamente il dissenso, creando teorie sempre più ampie che tengano conto di tutti i fatti che si accumulano, nel mondo delle medicine alternative ogni dottrina si occupa esclusivamente dei fenomeni che concernono il proprie ambito e ignora totalmente i fenomeni che riguardano le altre dottrine. In tal modo si vanno creando sempre nuovi indirizzi e nuove scuole che, isolandosi e differenziandosi sempre più, fanno aumentare progressivamente il dissenso fra i loro aderenti.

Questo comportamento dei seguaci delle medicine alternative viola anche un'altra caratteristica basilare della conoscenza scientifica: la ricerca della consensualità e della oggettività. Come ha ben sottolineato il fisico John Ziman, "la oggettività della conoscenza scientifica risiede nel fatto che essa è un costrutto sociale che non deve la sua origine a qualche particolare individuo, ma che risulta invece da una creazione cooperativa e comunitaria".

Al di là delle questioni riguardanti il loro contenuto, le medicine alternative sono caratterizzate da numerosi vizi metodologici che le rendono radicalmente diverse dalle vere discipline scientifiche.

Prima di tutto le osservazioni fattuali, vale a dire i resoconti osservativi su cui esse si basano, sono quasi sempre caratterizzate da una estrema genericità e da una assoluta imprecisione. A volte, come avviene nel caso dell'agopuntura cinese, la massima parte dei dati sugli effetti terapeutici viene fatta risalire a osservazioni compiute molti secoli or sono, e si assume che la lunghissima tradizione popolare equivalga all'osservazione scientifica e sia, di per se stessa garanzia di veridicità.

In molti casi i successi vantati dagli aderenti alle varie medicine alternative concernono osservazioni aneddotiche, nelle quali l'esistenza di un rapporto di causalità fra provvedimento terapeutico e variazioni del quadro clinico è almeno fortemente opinabile. Quando poi gli effetti terapeutici riguardano gruppi di soggetti, spesso non viene fornita alcuna descrizione precisa sia della casistica studiata sia dei fenomeni osservati. Infine, nelle pubblicazioni delle medicine eretiche l'analisi statistica dei risultati o è completamente assente o è del tutto insufficiente e/o scorretta.

Se si considerano le teorie delle medicine alternative è facile constatare che esse non possiedono in alcun modo il carattere delle vere teorie scientifiche. Ciò appare subito evidente dal fatto che i concetti su cui si basano non sono in alcun modo definibili operativamente; l'energia primordiale, lo yang, lo yin, il punto dell'agopuntura cinese, l'energia vitale immateriale, la dinamizzazione, la psora, i miasmi della medicina hahnemanniana, il fluido, il prana, il corpo astrale, le emissioni bioelettriche della pranoterapia sono altrettanti esempi di concetti e di fenomeni che, nella forma in cui sono stati e vengono ancor oggi formulati, non possono trovare alcun supporto nell'evidenza empirica. Oltre a tutto questo, le teorie che costituiscono le medicine alternative mancano di una dote particolarmente importante per giudicarne lo status: esse non sono in grado di fare previsioni precise. E poiché la capacità di prevedere i fenomeni caratterizza le teorie scientifiche autentiche, questa incapacità che caratterizza le medicine alternative costituisce un segno della loro debolezza scientifica.

Un'altra caratteristica delle medicine alternative è costituita dal fatto che le loro teorie non sono riformabili. Esse, infatti, sono sempre uguali a se stesse come gli antichi sistemi, e se da una teoria ne viene generata un'altra, questa non è considerata un'evoluzione della prima, ma una teoria rivale e alternativa.

Ma il vizio metodologico fondamentale di tutte le medicine eretiche risiede nel fatto che le loro teorie sono sempre inconfutabili. Se si analizzano i manuali delle varie dottrine prese in esame, si constata facilmente come tutti i fatti osservati vadano sempre d'accordo con le teorie proposte e come nessuna osservazione sia veramente capace di mettere in dubbio le assunzioni di fondo. Se qualche osservazione pare mettere in pericolo la teoria o qualcuno dei concetti che la sostengono, viene immediatamente avanzata una ipotesi ad hoc che immunizza la teoria contro ogni confutazione.

Questa situazione costituisce una netta violazione di quel principio di falsificabilità che, dopo Popper, rappresenta il criterio fondamentale di demarcazione della scienza dalla pseudoscienza. A questi difetti metodologici si deve aggiungere la particolare situazione sociale delle medicine alternative. È facile infatti constatare che fra il loro mondo e quello della medicina scientifica manca ogni forma di comunicazione. Per quanto gli aderenti alle medicine eretiche accusino spesso il mondo della scienza di volerli tenere al bando, l'ostracismo di cui sono oggetto è dovuto esclusivamente al fatto che essi non si assoggettano alle regole rigorose che vigono nella comunità scientifica internazionale e che vengono accettate da tutti i ricercatori.

Le più importanti e diffuse fra le medicine alternative possiedono, per esempio, riviste proprie e gli aderenti pubblicano i loro lavori esclusivamente su queste riviste. Ovviamente ciò impedisce di fatto ogni reale esame e ogni controllo dei risultati ottenuti dai medici alternativi da parte della comunità scientifica. In tal modo ogni singola medicina alternativa si chiude nel suo mondo e, rifuggendo da ogni confronto con le idee che stanno al di fuori di essa, continua ad affermare le proprie verità, perpetuandole.

Come ha sottolineato Ziman, "tutt'intorno ai confini definiti con una relativa precisione della scienza istituzionalizzata "ufficiale" si sviluppa naturalmente una frangia di idee "parascientifiche", che cercano un riconoscimento formale dalla comunità scientifica o dalla gente in genere. Ma il parascientismo è per lo scienziato esperto un disordine pericoloso, che tende ad abbassare le sue difese scettiche e può suscitare una straordinaria disposizione alla credulità e all'illusione. Per coloro che ne sono colpiti, l'unica risposta della comunità scientifica deve essere: "Porta prove attendibili, porta valide argomentazioni e noi saremo disposti a farci convincere, ma, fino a quel giorno, non devi aspettarti da noi una grande fiducia nelle tue affermazioni, né un gran sostegno a una causa della quale non siamo veramente convinti"".

Giovanni Federspil
Metodologo clinico, Università di Padova

Cesare Azzone
Patologo generale, Università di Padova

 

Bibliografia

Carrel Alexis, Medicina ufficiale e medicine eretiche, Bompiani, Milano, 1950

Cassoli Piero e Iannuzzo Giovanni, Ricerca sulla pranoterapia e sui guaritori. La pratica e i risultati valutati dalla scienza, RED/Studio Redazionale, Como, 1988.

Federspil Giovanni, I fondamenti del metodo in medicina clinica e sperimentale, Piccin, Padova, 1980.

Federspil Giovanni e Scandellari Cesare, Medicina scientifica e medicina alternativa, Parte I in "Medicina" Riv. E.M.I., 4, pp. 433-442, 1984, Parte II in "Medicina" Riv. E.M.I, 5, pp. 89-104, 1985, USES, Firenze.

Hahnemann Samuel, Organon. Dell'arte del guarire, RED/Studio Redazionale, Como, 1989.

Velimirovic Boris, Definizioni e funzioni della medicina alternativa in "Nuova Civiltà delle Macchine", 4, pp. 56-69, 1988.

L'articolo si basa sulla conferenza tenuta dai proff. Federspil e Azzone al I Congresso del CICAP (4/5 maggio 1991); in seguito pubblicato anche su Le Scienze n. 299, luglio 1993

 

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