Proving e simile cura simile

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  • 14-04-2024
  • di Rossana Garavaglia
Il primo principio dell’omeopatia è “il simile cura il simile” ed il “proving” (in italiano, sperimentazione pura) è il metodo usato per censire i sintomi (definiti patogenesi), causati dai ceppi omeopatici (sostanze di base), lamentati da volontari sani a cui vengono somministrati i prodotti omeopatici diluiti e succussi; succussione che, secondo la disciplina omeopatica, comporterebbe il “potenziamento”.

Già Hahnemann, alla fine del '700, aveva raccolto, nella sua “materia medica pura”, una lista dei sintomi elicitati dai diversi ceppi in volontari sani che ne avevano preso nota in appositi diari. Da questi diari venne stilata la lista dei sintomi correlati a ciascun ceppo omeopatico. L’inconsistenza dei dati ottenuti dai proving fu resa nota dall’omeopata tedesco Fritz Donner che, nella prima metà del '900, li sottopose a verifica contro placebo[1].
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Nonostante ciò, si è continuato a condurre sperimentazioni pure seguendo metodologie non controllate e non affidabili: quanto riferito da un individuo è un parametro soggettivo che risente del vissuto e delle aspettative di ciascuno e non assicura l’oggettività e la validità dell’informazione. Dovrebbe essere anche considerato il peso dell’effetto nocebo che, non conosciuto ai tempi di Hahnemann, è oggi ben caratterizzato[2]

A partire dalla fine del secolo scorso, si è tentato di introdurre il metodo scientifico conducendo molti proving in cieco, ma i dati raccolti hanno continuato a mostrare un’alta variabilità: ogni ceppo omeopatico elicitava nei sani un’infinità di sintomi.

Riconoscendo le debolezze metodologiche del proving e la mancanza di dati validi, con il lodevole obiettivo di rimediare, il Comitato Europeo di omeopatia (ECH) da alcuni anni sta tentando di applicare le stringenti procedure del metodo scientifico[3] anche al proving[4]. Il comitato ha stilato un protocollo ad hoc[5].
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Esso appare però ancora poco standardizzato lasciando così spazio alla variabilità e alla non riproducibilità. Il dato ottenuto da un gruppo di persone che insieme discutono delle loro sensazioni durante un proving è un’informazione non robusta perché la suggestionabilità la fa da padrone inficiando così i risultati[6] . Va anche rilevato che molti dei moderni proving ancora risentono della esiguità campionaria: si tratta di studi di fase I su piccoli gruppi di 10-30 persone (si veda ad esempio il proving sul lattosio in polvere esposto alla luce di Saturno in cui il ceppo omeopatico non è il lattosio, ma la luce di Saturno[7]).

Come sottolinea Tuet (2013), i dati dei molti e diversi proving restano non validati e non forniscono alcuna evidenza e l’autore chiama in causa l’effetto nocebo[8]. Lo stesso autore nel 2015[9], pur identificando procedure più rigorose con cui condurre il proving, evidenzia che quanto osservato debba ancora essere validato da gruppi indipendenti.
Ciò significa che i sintomi che ogni ceppo omeopatico dovrebbe elicitare nei sani e “curare” nei malati restano, dopo 200 anni, da definire con certezza e sono ancora oggetto di studi di fase I. Tali studi, proprio a causa delle caratteristiche metodologiche e a detta degli autori delle pubblicazioni, non forniscono ancora evidenze; nonostante ciò i prodotti omeopatici vengono usati nella pratica clinica quotidiana.
Va sottolineato che gli omeopati non sanno come e perché funzioni il principio del simile che cura il simile, ma sembra che ciò sia irrilevante. Secondo l’omeopatia il simile porta all’autoguarigione. Sintetizzando, si afferma che il sintomo elicitato dal prodotto omeopatico supererebbe in intensità il sintomo lamentato dal paziente e lo indebolirebbe a tal punto che la “forza vitale” del malato stesso avrebbe modo di riprendere il controllo, portando alla guarigione e al benessere: è quindi il corpo del paziente che mette in atto un’autoguarigione. In altri termini, non è il simile che cura, ma il paziente che si autocura mentre il prodotto omeopatico si limiterebbe a sovrastare il sintomo “patologico” indebolendolo. In questo senso, la Società Italiana di Omeopatia e Medicina Integrata (SIOMI) afferma che “Per tale ragione l’Omeopatia non deve essere intesa come una medicina sostitutiva, bensì come una medicina “di stimolo” all’autoguarigione o guarigione biologica”, quindi il simile stimola la guarigione, ma non cura.[10]

Vediamo ora se l’omeopatia, in questi ultimi 200 anni, abbia fatto passi avanti nello svelare il meccanismo d’azione. SIOMI afferma:
“Nonostante i costanti studi scientifici che sono ormai in corso da parecchi anni il meccanismo d'azione del medicinale omeopatico[11] non è ancora del tutto chiarito”.[10]
Pur non sapendo il motivo per cui i prodotti omeopatici funzionerebbero, SIOMI sostiene che anche se si dovesse assumere un quantitativo superiore di prodotto omeopatico (di solito si prescrivono dosi da ripetersi 4-5 volte al dì) non bisognerebbe preoccuparsi “perché l’effetto del farmaco non è in relazione alla quantità del preparato, ma alla sua qualità, determinata, a sua volta, dalla sua preparazione. Non è mai necessario contattare un servizio di tossicologia, neanche se un bambino ha accidentalmente ingerito un intero tubetto omeopatico!”[10].

A questo punto rimangono senza risposta molte domande.
Non conoscendo il meccanismo di azione, come è possibile affermare che esso dipenda dalla qualità del prodotto e non dalla quantità?

Se l’effetto del prodotto dipende dalla preparazione che prevede la succussione, eseguita per aumentare la potenza, allora come mai l’assunzione di dosi maggiori, e quindi di prodotto più potenziato, non dovrebbe essere pericoloso per un bambino che dovesse ingerire tutto il tubetto?
Leggendo il sito della SIOMI sembra che gli omeopati abbiano abbandonato le mai dimostrate teorie sulla memoria dell’acqua e sulla fisica quantistica a favore della ormesi affermando che nei prodotti omeopatici si osserva “una persistere di molecole del soluto nella soluzione e che tali molecole possano avviare una reazione di tipo ormetico”[10]. Questa teoria è basata su presunti effetti farmacologici dei diversi dosaggi (effetto paradosso delle micro e macrodosi) dei ceppi omeopatici: secondo questa teoria la quantità del prodotto somministrato ha una importanza cruciale.
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Sembra quindi che le risposte date da SIOMI alle 30 domande contengono informazioni contraddittorie: affermare che sia la qualità a veicolare l’effetto del prodotto ci riporta alla teoria, mai provata, della memoria dell’acqua che però sconfessa la teoria ormetica basata sulla quantità del prodotto ancora presente, secondo SIOMI, nei prodotti omeopatici diluiti.
Com’è possibile per gli stessi omeopati “ormetici” smentire l’ormesi affermando che la quantità non è rilevante ai fini dell’effetto del prodotto?

Assumendo che sia la qualità e non la quantità del prodotto a definirne l’effetto, com’è possibile per un ente regolatorio condurre un’analisi analitica qualitativa su prodotti diluiti che non contengono alcun principio attivo e quindi sono semplice acqua? Come potrebbero gli enti regolatori verificare un lotto valutandone la qualità (e la sicurezza) attraverso la verifica della composizione, della succussione e del potenziamento che sono caratteristiche del processo produttivo non analizzabili? I consumatori e gli enti regolatori dovrebbero quindi fidarsi ciecamente delle affermazioni delle multinazionali produttrici?

In conclusione, i prodotti omeopatici sono da tempo prescritti a persone malate anche se il proving ha solo da pochi anni iniziato a definire delle linee guida ed una metodologia che vorrebbe essere rigorosa; i dati disponibili in termini di sintomi elicitati nei sani dai prodotti omeopatici non sono robusti e validati da gruppi indipendenti; il meccanismo di azione è ancora sconosciuto e dibattuto nel mondo omeopatico e le analisi qualitative dei prodotti diluiti non possono discriminare tra le diverse diluizioni; se davvero, come sostengono alcuni omeopati, il prodotto omeopatico continua a contenere molecole nonostante la diluizione, allora significa che i produttori non hanno modo di garantire ciò che viene immesso sul mercato e gli enti regolatori non sanno che cosa le persone stanno assumendo.

Crediti immagini

Di Ifroz - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=36853907 https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Vipera_aspis_francisciredi_Ifroz.jpg#/media/Fil...

By NASA / JPL / Space Science Institute - http://www.ciclops.org/view/5155/Saturn-Four-Years-On http://www.nasa.gov/images/content/365640main_PIA11141_full.jpg http://photojournal.jpl.nasa.gov/catalog/PIA11141 , Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7228953 https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Saturn_during_Equinox.jpg#/media/File:Saturn_du...

By Wikidudeman - Own work, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2456100

Biografia dell’autrice: Laureata in Medicina e Chirurgia, specializzata in Psichiatria e Master in Patologia Genetico Molecolare. Ha esperienza pluriennale come medico di base, come Psichiatra e nella sperimentazione clinica di farmaci e vaccini. Si veda il profilo Linkedin per maggiori dettagli
Bibliografia
2) Häuser W, Hansen E, Enck P. Nocebo phenomena in medicine: their relevance in everyday clinical practice. Dtsch Arztebl Int. 2012 Jun; 109(26):459-65. (PubMed)
9) Scientific proving of ultra high dilutions on humans. Harald Walach, Michael Teut . Homeopathy. 2015 Oct;104 (4):322-7. DOI: 10.1016/j.homp.2015.08.008

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