Edoardo Boncinelli e Umberto Galimberti sono oramai ben noti anche al grande pubblico, per i loro frequenti interventi sui media. In questo dialogo, coordinato dal giornalista Giovanni Maria Pace, ci propongono, in modo ampiamente accessibile, alcune riflessioni sul confronto fra ragioni della scienza e cultura umanistica. Mentre il biologo molecolare si dimostra affascinato dalle questioni filosofiche e coinvolto nella ricerca di un senso dell'esistere, il filosofo è sempre più impegnato nel ripensare il mondo di fronte all'imporsi della tecnica quale strumento unificante dei linguaggi.
La nostra idea sull'essenza della vita e sulle prospettive future non ha più, oggi, il conforto delle verità di fede; le tradizioni religiose si dimostrano infatti sempre più incapaci di offrire adeguate risposte ai grandi interrogativi. Ed anche le grandi ideologie conoscono un irreversibile tramonto. Le nuove conoscenze sulla biologia umana obbligano ad un continuo ripensamento; e tutti i grandi problemi vanno rivisti su basi non antropocentriche. L'uomo del ventunesimo secolo è sospeso fra le meraviglie della tecnica e il pericolo di un'autodistruzione; ma non è rifacendosi agli schemi del passato che può trovare la strada giusta per destreggiarsi di fronte alle nuove sfide della modernità.
I due pensatori si soffermano a riflettere sulla dimensione irrazionale dell'uomo, espressione della coesistenza di un cervello ancestrale con altre strutture più evolute, capaci di organizzare la vita sociale. La paura della tecnica ed una sorta di rancore per la scienza, così diffusi nel mondo attuale, deriverebbero forse anche da una certa insoddisfazione per il mancato raggiungimento di taluni obiettivi: la felicità e la salute per tutti. Occorre d'altra parte considerare come si sia a lungo enfatizzato il ruolo della scienza e della tecnica, attribuendo loro la capacità di dare in breve tempo rassicuranti risposte su tutti i grandi problemi tradizionalmente affrontati dalle religioni e dalla filosofia. L'umanità aveva ritenuto, per millenni, di potere trovare nel contesto delle grandi religioni un senso e uno scopo della vita, che non possono essere individuati oggi in una scienza che non procede in nessuna precisa direzione. L'evoluzione delle conoscenze ci libera dalle credenze ingenue, caricandoci però dell'angoscia delle scelte fondamentali. Ma forse questa disperata ricerca del senso è solo una costruzione della nostra cultura attuale, e si estinguerà del tutto con le prossime generazioni. La nostra civiltà non è inferiore a quella di un'ipotetica età dell'oro, che è solo un costrutto della nostra mente.
Fra i tanti temi trattati nel saggio segnalo l'interrogarsi sull'immagine sociale della scienza; sulle possibilità di una morale laica; sulla fine della democrazia reale in un mondo tecnicamente troppo complesso, in cui le grandi scelte non sono immediatamente percepibili e comprensibili dal grande pubblico; sulle responsabilità individuali; sul tramonto della politica.
Circa il ruolo della Chiesa cattolica nel mondo attuale, viene stigmatizzato il suo grave ritardo rispetto all'evoluzione delle conoscenze scientifiche, motivo per il quale essa rinuncia alla pretesa di autorità solo su ciò che oramai è diventato ordinaria conoscenza e sarebbe stolto negare, mentre osteggia sistematicamente tutti gli aspetti più innovativi, in particolare nella genetica. Nel contempo la religione non ha più alcuna possibilità di contrastare la maggior parte degli altri dati delle scienze naturali, in particolare quelli della fisica; ma ciononostante mantiene la sua pretesa di sottoporre la ragione alla fede, anche perché in fondo il pensiero teologico, nonostante certi propositi, fonda se stesso proprio sulla negazione dell'uso della ragione; e proprio per questo ottiene un diffuso consenso, giacché sembra offrire quei significati di cui l'uomo comune ha sempre più bisogno. o